METODI EDUCATIVI

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METODI EDUCATIVI

I.​​ m.e.​​ sono i modi d’essere e di agire che gli operatori dell’educazione ritengono più rispondenti, validi ed efficaci per conseguire gli obiettivi e realizzare i fini educativi, disponendo i mezzi in relazione alla promozione degli scopi che si intendono raggiungere. Un progetto educativo, pensato e costruito con motivazione razionale e anche esperienziale e geniale, contiene sempre un certo numero di modi che danno forma caratteristica alla sua organizzazione e attuazione.

1.​​ Metodo: concetto e funzione.​​ La​​ ​​ storia della pedagogia, quando non è solo storia delle idee pedagogiche o addirittura pre-pedagogiche, è principalmente storia dei progetti e dei m.e. E tuttavia il problema del m. è specificamente connesso all’età moderna, al sorgere e all’imporsi delle scienze della natura legate al controllo empirico e alla logica matematica. Ma proprio la stretta connessione tra le idee e i m. fa pensare che, a loro volta, i m. abbiano la capacità di condizionare il senso e di dimostrare la verità delle idee asserite e dei fini proposti. Il momento del m. è il momento della razionalità operazionale dell’azione e dell’intero progetto educativo. Non si tratta semplicemente di una razionalità astratta, teorica, ma di una razionalità reale, relazionale, tecnologica, strumentale. Solo così il m. può mettere nelle migliori condizioni e nei migliori rapporti tutti i complessi fattori agenti e interferenti: soggetti operatori, contenuti, fini, obiettivi e scopi, mezzi e procedimenti, processi e verifiche. Il m.e. non è solo o semplicemente tecnica esecutiva d’educazione; include ogni volta scelte e riferimenti interpretativi, assiologici, scientifici, culturali. Investe finalità e obiettivi, strutture e dinamiche, leggi di vita, di sviluppo, di divenire. Impegna idee, sentimenti, apprezzamenti, atteggiamenti e condotte. È presenza di amore e dedizione, capacità di virtù e di precedenza esemplare, pieno coinvolgimento interpersonale. Implica scelta di contenuti reali e ideali, mezzi adeguati, comunicazioni e relazioni, scambi aperti e disponibili. Elabora codici normativi ben fondati, condivisi, tendenti all’oggettività superiore.

2.​​ M.e. come tipi pedagogici reali.​​ In un lavoro sistematico E. Weber (1972) indaga e classifica le modalità metodologiche che l’educazione assume in relazione a diversi fattori antropologici, ideologici, sociali, politici, psicologici. Ma i m.e. non sono sempre frutto di rigore scientifico; sono spesso opera geniale di educatori creativi e di istituzioni accreditate, gli uni e le altre non sprovveduti di buoni fondamenti culturali, morali, esperienziali. La riflessione pedagogica li ha fatti oggetto di studio. Sistemi e m.e. tipici si riferiscono in genere all’educazione nella sua totalità, come modi di organizzarla e realizzarla accentuando l’uso di qualche procedimento, atteggiamento, contenuto, finalità, processo e forma di rapporto, luogo d’intervento, organizzazione dei ruoli, mezzi, fattori educativi, elaborazione del quadro di obiettivi finali e prossimi. Spesso hanno quadri di​​ ​​ valori da proporre come fini, risorse e problemi. Don​​ ​​ Bosco è pienamente concepibile solo in orizzonti cristiani.​​ ​​ Makarenko s’innesta nell’ordine comunista, pur rivedendolo con qualche critica originale. Dewey è statunitense e del suo tempo. Un elenco è difficile e non ancora elaborato. Alcuni m.e. storici sono più conosciuti e ancora ispiratori. È possibile riprendere e integrare il quadro di «modi di educazione» e più precisamente di «tipi pedagogici reali» proposto e analizzato per i tempi recenti da H. Henz (1975). a) Il​​ m. preventivo​​ fa suo il motto: «prevenire e non reprimere». In don Bosco spiccano la chiara visione cristiana di riferimento, la piena dedizione e la costante convivenza in clima di​​ ​​ amore e familiarità, lo spazio alla libertà e integrità giovanile, la valorizzazione contemporanea di studio, gioco, lavoro, pietà, la preparazione sociale, secondo il trinomio di «ragione, religione, amorevolezza». b) I​​ m.e. terapeutici​​ si applicano ai ragazzi difficili dentro gli ambiti normali dell’educazione, mirano con mezzi psicopedagogici alla trasformazione mentale, al cambio personale, con procedimenti per lo più non-direttivi ed assegnano ampio ruolo ai processi di chiarificazione delle percezioni e dei motivi. c) Il​​ m. integrativo​​ di autogoverno, libertario, antiautoritario si oppone al dominativo e autoritario, come vi si oppongono tutti i m. integrativi​​ democratici​​ che prendono forme di città, villaggi, comunità, repubbliche dei ragazzi. Vi dominano la parità, l’autogestione, la partecipazione e la corresponsabilità, il ruolo attivo del giovane. d) Il​​ m. della pedagogia dei valori​​ insiste sulla proposta o sull’esperienza dei valori, con progressione di assimilazione educativa. e) Il​​ m. ascetico​​ guida la lotta vincente dell’autodisciplina verso la libertà interiore dello spirito e verso Dio. f) Il​​ m. pedagogico esistenziale​​ privilegia i mezzi di richiamo, risveglio, suscitamento, esortazione, incontro, impegno, elaborazione di avvenimenti critici e apprezza l’auto-orientamento. Al quadro di Henz si possono fare alcune aggiunte. Il​​ m. psicoanalitico​​ guida l’espressione, rielaborazione e sublimazione del desiderio. Il​​ m. funzionalistico​​ lavora su bisogni e interessi. I​​ m. di​​ ​​ animazione,​​ personale, di gruppo e movimento, sul campo, nel territorio, in ambiente, privilegiano l’impianto sociopedagogico. Alcuni​​ m. organici​​ mettono al centro l’esperienza giovanile organizzata e guidata: lo​​ ​​ Scautismo, che privilegia la esperienza di vita, l’impegno, la responsabilità attiva, la forte programmazione, la natura, il gioco educativo e, oggi, la continuità con la realtà. Sono almeno da segnalare altri m.e., quale quello dell’Azione Cattolica, quelli che coinvolgono i giovani in esperienze adulte significative di movimenti e di​​ ​​ volontariato, i m. di comunità di recupero e rieducativa, i m. per l’accostamento e accompagnamento sulla strada.

3.​​ Principi di m.e.​​ Un quadro di principi di m. dovrebbe trovare posto in ogni progetto e istituzione educativa, oltre che nella formazione di chi opera nell’educazione e nella rieducazione. Concetto e quadri di proposte sono ormai diffusi nella migliore letteratura pedagogica. Uno studio in proposito dovrebbe analizzare per ogni principio il quadro di riferimento ideale e esperienziale, la definizione operazionale, una ricostruzione storica, l’uso corretto, una valutazione critica. Qui si propongono i seguenti: a)​​ Personalizzare.​​ Traduce in metodologia il miglior​​ ​​ personalismo. Fa dell’io personale il soggetto primario della propria vicenda educativa, pur in costante dialogo con gli operatori. L’​​ ​​ educando è visto come protagonista che, nell’educazione, investe in modo attivo la propria vitalità, energia, consapevolezza, comprensione, adesione, consenso, creatività personale. Con l’​​ ​​ educatore è impegnato nei processi bipolari di insegnamento e apprendimento, motivazione e adesione, proposta e consenso. Viene superata la retorica del personalismo teorico che dichiara natura, valore e dignità, senza dare spazi di libertà effettiva, sempre limitata ma sempre bisognosa di rischiare e sperimentare per fare veri cammini educativi di personalizzazione. La individualizzazione aderisce alle condizioni e situazioni particolari che ogni soggetto presenta. b)​​ Socializzare.​​ Parte assumendo e trattando il soggetto nella pienezza dei suoi contesti relazionali di vita, cultura, sviluppo. Privilegia per l’educazione condizioni di incontro,​​ ​​ gruppo, comunità, movimento. Vi funzionano sia le dinamiche relazionali che i m. e le tecniche del lavoro comune per l’efficace produzione dei fini, lontano da estremi devianti di individualismo e massificazione. L’educatore non ne è sopra, fuori o accanto, ma dentro, pari per la massima accettazione e prossimità, asimmetrico per contare quanto è giusto per il progresso educativo. Ogni cammino inizia comunicando e assumendo gli obiettivi, prosegue condividendo la scelta, volontà, attuazione dei mezzi, termina con la collegialità delle valutazioni. c)​​ Valorizzare.​​ Educare non è trasmettere valori, ma guidare a costruirseli scoprendoli nella vita posseduta e promessa in ogni realtà, comportamento, condotta: valori oggettivi e valor soggettivi, qui, nel poco, nel già e nel non ancora. La via della vita e dell’educazione è l’amore. Ma l’amore è risposta mostrata e dimostrata dalla ricchezza di valore oggettivo, soggettivo, personale, letto nelle cose, nelle persone, nelle azioni. Pertanto si chiede all’educatore di operare sia su ogni proposta educativa per evidenziarne il valore-motivo, sia sul giovane perché lo percepisca nel giudizio pratico, vi aderisca e lo assuma come prospettiva motivante. d)​​ Fare esperienza.​​ Considera la centralità dell’esperienza in ogni comprensione concreta e valida di vita personale. La libertà si educa solo esercitandola. Ne segue un’educazione nella vita, più che alla vita e per la vita, aiutando e sostenendo, accompagnando e riproponendo e andando avanti, come la scienza, anche «per prove ed errori». e)​​ Prevenire.​​ È sempre più facile che la correzione e la​​ ​​ rieducazione. Il​​ ​​ sistema preventivo ne fa il principio di m. chiave: si anticipa, preparando condizioni vincenti al sopraggiungere di confronti, tentazioni, difficoltà gravi; al contempo si promuovono potenzialità soggettive e contestuali. Gli educatori prevengono i giovani con preparazione idonea, cura tempestiva, offerta di rapporti carichi di amore, stima, fiducia, esemplarità, comunicando e venendo incontro a domande di valore. Ma si lasciano anche prevenire dai giovani che li precedono con la loro vitalità, con le loro domande e suggerimenti. L’eventuale rieducazione consiste non nel riportare entro ordini sociali, magari origine delle devianze o nella mera correzione dei comportamenti, ma nella guida a ritrovare la verità di profondità vitali autentiche e di condizioni idonee per riviverle. f)​​ Realismo,​​ pluralismo,​​ flessibilità,​​ progressività.​​ Il​​ realismo educativo​​ evita di idealizzare, generalizzare, semplificare. Riporta ogni atto educativo a stretto contatto con la realtà ambientale, collettiva, personale. Il campo è letto nelle sue molteplici e​​ pluralistiche​​ possibilità reali.​​ La flessibilità e perciò la provvisorietà ipotetica​​ di ogni premessa, opzione progettuale, metodica, istituzionale è contro ogni rigidità, uniformità, fissità. Si è attenti all’esperienza, all’infinità delle variabili, ma si ricerca anche la verificabilità di ogni asserto e la adattabilità di ogni scelta. g)​​ Tensione critica e conflitto ottimale.​​ Lo stato abituale di «crisi ottimale» di tensione e conflitto interni, è generatore di sviluppo, di crescita, di ulteriore maturazione qualitativa e quantitativa. Il troppo debole non serve; il troppo forte fa violenza e suscita resistenze e fughe. È ottimale quando è offerto e sentito come esperienza valida e significativa e alla portata di ciascuno. h)​​ Equilibrare e comporre.​​ I m. non sono tecniche dall’effetto sicuro. L’applicazione sprovveduta provoca problemi. Sono più modi di essere che di pensare e fare, legati a tipi di cultura e personalità. Ognuno di essi può rinnovare l’intero sistema, ma può anche non essere più adeguato al mutare della vita delle persone e dei contesti esistenziali.

Bibliografia

Weber E.,​​ Erziehungsstile,​​ Donauwort, Auer,​​ 31972; Henz H.,​​ Lehrbuch der systematischen Pädagogik,​​ Freiburg, Herder,​​ 19754;​​ Diel P.,​​ Les principes de l’éducation et de la rééducation,​​ fondée sur l’étude des motivations intimes,​​ Paris, Payot,​​ 1976; Gianola P., «M.», in J. E. Vecchi - J. M. Prellezo (Edd.),​​ Progetto educativo pastorale. Elementi modulari,​​ Roma, LAS, 1984, 175-187;​​ Lenzen D. (Ed.),​​ Enzyklopädie der Erziehungswissenschaft, vol. IV:​​ Methoden und Medien der Erziehung und des Unterrichts, Stuttgart, Klett-Cotta, 1985;​​ Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica, Edizione a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003; García Hoz V.,​​ L’educazione personalizzata, Brescia, La Scuola, 2005; Baldacci M.,​​ Personalizzazione o individualizzazione?, Trento, Erickson, 2006.

P. Gianola