GIOCO

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GIOCO

Tutti gli studiosi sono concordi nell’attribuire al g. un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’uomo, in quanto porta a far emergere le sue peculiari qualità potenziali: correre, saltare, lanciare, mettere alla prova il proprio corpo di fronte ad ostacoli di varia natura sono caratteristiche spontanee e naturali che appartengono all’«homo ludens». È questo il motivo per cui l’attività ludica è stata da sempre considerata una componente fondamentale del processo evolutivo che va dall’infanzia all’età adulta, quale veicolo di particolari valori portanti come la gratuità, la libertà di espressione, la creatività, la gioia, la festa, la vitalità, l’apprendimento polivalente, la cooperazione. Dal canto suo Huizinga definisce il g. un’attività libera, volontaria e del tutto gratuita, compiuta entro certi limiti di tempo e di spazio, seguendo regole liberamente accettate, provvista di un fine in sé e accompagnata da un sentimento di tensione e di gioia. Al g. spesso si accompagna e / o ne è una indispensabile componente il giocattolo, fin dall’antichità considerato nelle sue multiformi versioni creative, tutte comunque accomunate da un unico principio, funzionale allo sviluppo delle facoltà creative, immaginative ed intellettuali del soggetto ludico; semmai la messa in discussione di tale principio afferisce alla sua perfettibilità (per​​ ​​ Montessori deve avere una struttura perfezionata) o meno (per​​ ​​ Dewey deve rimanere allo stato grezzo).

1.​​ Le teorie sul g.​​ Fin dall’antichità filosofia e pedagogia e, più recentemente, psicologia, sociologia e antropologia si sono interessate di volta in volta al g. cercando di rispondere, ognuna dal proprio punto di vista, a due principali quesiti: che cosa è il g., perché l’«homo ludens» gioca.​​ ​​ Platone ed​​ ​​ Aristotele avevano attribuito al g. la funzione di «esercizio» che prepara alla vita, ma è soprattutto all’inizio di questo sec. che sono nate varie teorie sul g. Per K. Gross il g. è un pre-esercizio di attività future, serve cioè ad esercitare le più importanti abilità e funzioni necessarie per un buon adattamento dell’individuo all’ambiente. D. W.​​ ​​ Winnicott ha contribuito con varie opere allo studio del g. sui bambini ricostruendone lo scenario motivazionale sotteso: egli sostiene che il g. più che un’attività distinta dalle altre è una dimensione propria di qualsiasi attività umana in quanto creativa. L. E. Peller ha individuato 4 fasi nel g. del bambino: narcisistica, pre-edipica, edipica, post-edipica. R. Callois dal canto suo ha proposto una classificazione dei g., suddividendoli in 4 categorie: di competizione, d’azzardo, d’imitazione (o rappresentazione di un ruolo), di stimolo di stati emotivi. E. H.​​ ​​ Erikson distingue tre tipi di g.: quelli che si svolgono nell’autosfera (esplorazione del proprio corpo), quelli nella microsfera (riguardano l’ambiente circostante / vicino) e quelli nella macrosfera (coinvolgono l’ambiente sociale più allargato). E. A. Plaut suddivide il g. in 8 stadi, ciascuno rispondente ad una diversa fase della vita: scoperta del g. (prima infanzia), differenziazione del g. (seconda infanzia), g. simbolico (età pre-scolare), g. con ruoli (età scolare), giocosità con confini (adolescenza), g. integrato (giovinezza), g. generativo (età adulta), g. creativo (età matura).​​ ​​ Piaget e​​ ​​ Klein sono tra coloro che hanno studiato più a fondo l’attività ludica in rapporto alle varie tappe evolutive della vita del bambino. Il primo, pur non avendo formulato una vera e propria teoria sul g., ne ha approfondito tuttavia lo studio nel trattare lo sviluppo dell’attività intellettuale e della maturazione del bambino. Ne è scaturita così una classificazione secondo la quale il g. può essere suddiviso in tre categorie: di immaginazione o simbolico, di esercizio o funzionale, di regole. In sostanza l’A. distingue il simbolo ludico, in cui la rappresentazione è adattata a qualcosa di eterogeneo (g. simbolico), dall’intelligenza, in cui l’immagine è adeguata all’oggetto o all’esperienza reale e produce un’azione che opera sul concreto (g. di regole). A livello di ricerca sperimentale quest’ultimo si è dimostrato un prezioso strumento per stimolare l’evoluzione del bambino sul piano della partecipazione, della creatività, dell’accettazione e del rispetto delle regole, della costruzione di rapporti stabili e collaborativi nel gruppo, di democratizzazione della vita di gruppo. L’interpretazione dell’inconscio attraverso la tecnica del g. è l’obiettivo primario che si propone M. Klein, la quale parte dall’inconscio per arrivare gradualmente all’«Io» del bambino utilizzando il g. come fattore catartico. Secondo tale A. il linguaggio del g. è lo stesso di quello dei sogni e va trattato non solo analizzandolo simbolicamente ma studiando anche le associazioni fra i vari significati simbolici presenti in esso. Si tratterà perciò di fare attenzione al soggetto dei g., al tipo di g., al motivo del passaggio da un g. all’altro. Tra l’interpretazione del g. di Piaget e quella freudiana di Klein si riscontrano analogie e differenze. Per entrambi il g. mobilita tutte le potenze della psiche, dall’intelligenza all’emotività, e si radica nel profondo della stessa. La principale differenza tra i due consiste nel fatto che Piaget auspica che si realizzi un equilibrio tra «assimilazione» ed «accomodamento»; in tal senso le funzioni della creatività ludica sono integrate in quelle delle condotte intelligenti. Viceversa, per la teoria kleiniana l’ispirazione del g. è di ordine emotivo e non intellettuale; pur appoggiandosi al reale, lo trascende in virtù del potere trasfigurativo del simbolismo presente in esso, inteso quale generatore di rappresentazioni. Dall’insieme delle analisi riportate, i molteplici studi sulla natura e funzione dell’attività ludica possono essere ricondotti a tre principali filoni interpretativi: quello​​ funzionalista,​​ che cerca di stabilire quale sia la funzione del g. per perseguire un dato scopo; quello​​ cognitivista,​​ che vede il g. come metodo di apprendimento sia ai fini dello sviluppo dell’intelligenza, sia a scopo riabilitativo; quello della​​ psicologia dinamica,​​ che arricchisce l’attività ludica di significati e funzioni fino a farla divenire il mezzo attraverso cui il bambino arriva a conoscere e ad accettare i desideri più inconsci.

2.​​ «A che g. giochiamo?».​​ Anche lo​​ ​​ sport è g. e, viceversa, il g. può diventare sport. Cos’è quindi ciò che distingue il g. dallo sport e che cosa invece li accomuna? Come lo sport, il g. è un mezzo ideale per lo sviluppo della socialità, in quanto coinvolge le persone in un processo di azione e reazione dove la presenza delle «regole» fa da «collante» per la realizzazione di tale attività. La differenza, sostanziale, consiste nel fatto che lo scopo del g. non è necessariamente quello di consentire all’individuo di affermare la propria superiorità sugli altri, pur facendo salva quell’attività agonistica di base secondo la quale «senza avversario non c’è g.». Nel g., di rimando, vengono attesi e salvaguardati alcuni valori che nello sport non sono prioritari (quando non vengono del tutto disattesi), quali l’amicizia con l’altro, la scoperta dello spirito comunitario, il manifestarsi del senso di fiducia e di sicurezza che proviene dal giocare assieme, il senso di «gruppo». In sostanza, il g. dà importanza alla solidarietà più che all’ostilità, alla cooperazione più che all’opposizione, alla​​ ​​ socializzazione più che alla competizione (senza peraltro escludere la componente agonistica); favorisce le attività motorie di ogni tipo e luogo senza restrizioni di spazio, di tempo e di età; valorizza le situazioni in cui l’impatto affettivo ha una profonda risonanza sulla personalità di chi lo esercita; moltiplica le esperienze relazionali con persone e gruppi sociali diversi. Dal versante funzionale l’accento si sposta quindi sulla dimensione socio-comportamentale. I g., in particolare i g. con regole, rappresentano di conseguenza degli ottimi strumenti di maturazione della personalità in quanto permettono di passare da una socializzazione di tipo affettivo a una di carattere cooperativistico, da una visione egocentrica dei rapporti a quella che tiene conto anche del punto di vista dell’altro, da un approccio istintivo ad un maturo ed equilibrato confronto su base competitivo-agonistica. In sintesi, il g. svolge una funzione che è in grado di coinvolgere l’intera personalità dell’«homo ludens».

Bibliografia

Huizinga H.,​​ Homo ludens,Torino, Einaudi, 1968; Piaget J.,​​ La costruzione del reale nel bambino,​​ Firenze, La Nuova Italia,1973; Winnicott D.W.,​​ G. e realtà,​​ Roma, Armando, 1974; Callois R.,​​ I g. e gli uomini,​​ Milano, Bompiani, 1981; Polisportive Giovanili Salesiane,​​ A che g. giochiamo?,​​ Roma, Juvenilia, 1991; D’Andretta P.,​​ Il g. nella didattica interculturale, Bologna, EMI, 1999; Kaiser A.,​​ Genius ludi: il g. nella formazione umana, Roma, Armando, 2001; Lucchini E.,​​ Giocattoli e bambini dall’antichità al 2000, Lanciano, Ed. Carabba, 2003.

V. Pieroni