CRISI

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CRISI

Termine di origine gr. (krino =​​ scelgo, discrimino, separo) usato dalla medicina ippocratica per indicare il momento decisivo del decorso d’una malattia.

1.​​ Definizione.​​ In ambito psicopedagogico si riferisce a una fase della vita caratterizzata dalla rottura dell’equilibrio precedentemente acquisito e dalla capacità di trasformare quegli schemi di atteggiamento e di comportamento che si rivelano inadeguati a far fronte alla nuova situazione.

2.​​ Tipologia.​​ La tendenza attuale della moderna​​ ​​ psicopedagogia è quella di distinguere tra vari tipi di c. alla luce di due criteri: la​​ natura del legame​​ della c. stessa con le fasi o gli eventi della vita, e la​​ libertà del soggetto​​ d’affrontare le varie situazioni di c. Prendendo in considerazione, anzitutto, il rapporto tra c. ed esistenza, avremo due tipi di situazioni critiche: a) c.​​ essenziali,​​ perché legate, direttamente o indirettamente, all’evolversi naturale della vita. Tali c., a loro volta, possono esser ancora di due tipi:​​ evolutive,​​ quelle connesse intrinsecamente alle stagioni classiche dell’esistenza umana (infanzia, adolescenza ecc., oggetto della psicologia evolutiva), o a particolari settori di sviluppo (e avremo allora le varie teorie dello sviluppo intellettuale di​​ ​​ Piaget, affettivo-sessuale di​​ ​​ Erikson, morale di​​ ​​ Kohlberg...). Tali c. sono prevedibili o, in ogni caso, è possibile preparare l’individuo ad affrontarle, espletando i corrispondenti «compiti evolutivi». Altro tipo di c. essenziale è la c.​​ vocazionale,​​ legata di per sé a un preciso passaggio evolutivo, quello che dalla​​ ​​ preadolescenza porta all’adolescenza e poi alla giovinezza, lungo il quale il soggetto decide della sua identità ideale e, all’interno d’essa, del suo futuro. Di fatto tale c. dovrebbe accompagnare in qualche modo tutta l’esistenza. b) Il secondo tipo di situazione esistenziale critica è rappresentato dalle c.​​ accidentali,​​ legate a eventi traumatici imprevedibili e indipendenti dalla persona, come lutti, malattie, cambi repentini, incidenti vari e quant’altro venga a turbare in modo emotivamente rilevante e spesso improvviso un certo assetto intrapsichico. La c. accidentale può esser determinata anche da eventi non del tutto imprevedibili né indipendenti dal soggetto, come possono essere situazioni d’infedeltà e incoerenza personali rispetto al proprio piano ideale di vita. Anche la c. accidentale può divenire fattore di sviluppo, purché il soggetto sia aiutato a integrare il limite esistenziale e personale. Prendendo in considerazione il grado di libertà interiore con cui si affronta la c. avremo queste due fondamentali distinzioni: a)​​ c. vera e propria d’identità:​​ è quella che è legata al concetto d’identità, concetto che è per natura sua dinamico al punto da comprendere l’idea stessa di c. Il senso dell’io, infatti, a partire da un nucleo di riferimento sostanzialmente positivo e stabile, deve continuamente riorganizzarsi nella definizione sempre più accurata dei suoi elementi costitutivi (io attuale e io ideale) e del rapporto interno a essi (di consistenza o inconsistenza), lungo i diversi stadi di sviluppo. Tale c. d’identità è normale e salutare per la crescita, poiché indica un io forte e pure duttile, disponibile a cogliere, di volta in volta, la non corrispondenza tra identità personale, esigenze e provocazioni della realtà esterna, e libero di lasciarsi sfidare dalle mutevoli situazioni della vita; b)​​ diffusione-dispersione d’identità​​ (Identity diffusion):​​ è di natura opposta alla precedente. È una situazione di contrasto fra «stati dell’Io vicendevolmente dissociati» (Kernberg, 1980, 222), come un conflitto interno che la persona non riesce a gestire ed armonizzare e che ne assorbe tutte le energie, impedendole di comunicare con la realtà esterna e di coglierne gli stimoli critici come opportunità educative. Tale chiusura segnala debolezza d’identità e preclude ogni possibilità di formazione permanente. In una prospettiva credente tale distinzione tra c. dell’io e diffusione d’identità prelude a un’altra e corrispondente distinzione, quella tra​​ c. psicologica​​ e​​ c. spirituale: la prima è un conflitto intrapsichico e senza sbocco, d’una parte dell’io contro un’altra parte; la seconda indica la lotta con Dio e i suoi desideri, un confronto con la sua parola e la sua volontà che è sempre oltre il progetto solo umano. È lotta biblica (cfr. Es 32,23-33) e sana, perché espone l’uomo alla massima provocazione e all’autentica realizzazione di sé.

3.​​ C. e opportunità educativa.​​ È ormai un dato acquisito dalle scienze pedagogiche la fondamentale ambiguità del concetto di c. che, infatti, nella lingua cinese, viene rappresentato dalla combinazione di due ideogrammi che indicano pericolo e opportunità. La «pedagogia della c.» è oggi sempre più orientata a studiare come sfruttare e non solo come evitare la c., e a capire come rendere la c. fattore di sviluppo e non di stasi o regressione, momento evolutivo e non involutivo, sottolineando le seguenti caratteristiche della c. «buona» o feconda (in opposizione a quella regressiva-sterile). Essa dev’essere: a)​​ Preparata,​​ almeno per quanto è possibile preparare i passaggi evolutivi dell’esistenza. Basti pensare a certi passaggi strategici, come quello tra preadolescenza e adolescenza, o tra vita attiva e ritiro dall’azione; una c. preparata è spesso una c. prevenuta. b) A volte la c. va addirittura​​ provocata.​​ È l’arte educativa finissima del sapere sfruttare certe «situazioni pedagogiche», come i momenti apparentemente negativi di frustrazione, assenza, silenzio, attesa, desiderio inappagato, domanda, lotta, nei quali emerge, in realtà, una dimensione ulteriore e inesplorata dell’uomo, o la verità più profonda del mistero umano. Sapere sfruttare significa la fatica di aiutare a scrutare questa verità, di cogliere il senso più autentico dell’attesa, «scavando domanda e desiderio» (Godin, 1983, 181ss.) per capire cosa il singolo stia cercando anche se non lo sa. La c. vocazionale, ad es., può esser intelligentemente provocata. c) Per esser fattore di sviluppo la c. deve però esser​​ proporzionata,​​ su misura del reale indice di maturità del soggetto, che non potrebbe «intendere» una provocazione eccessiva, né sarebbe adeguatamente sollecitato da proposte o ambienti educativi inferiori al suo livello di maturazione e dunque non abbastanza stimolanti. Secondo Kohlberg, l’autentica situazione critica educativa è quella che propone un compito e una sfida a un livello immediatamente superiore a quello raggiunto dal soggetto (Duska-Whelan, 1975, 65-66). d) Infine, condizione importante è che la c. sia​​ accompagnata​​ da un «fratello maggiore», che aiuti a individuarne la radice profonda, per verificare poi il tipo di risposta. Tale presenza amica, che nella tradizione ascetica cristiana è la guida spirituale, dovrà saper dosare accoglienza e provocazione, pazienza e urgenza, capacità di comprendere e confrontare, e quanto insomma consenta al giovane di vivere intensamente la sua c., e di non evitarla per paura o ignoranza.

Bibliografia

Duska R. - M. Whelan,​​ Lo sviluppo morale nell’età evolutiva,​​ Una guida a Piaget e Kohlberg,​​ Torino, Marietti, 1975; Godin A.,​​ Psicologia delle esperienze religiose. Il desiderio e la realtà,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Guardini R.,​​ Le età della vita. Loro significato educativo e morale,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1992; Del Core P. (Ed.),​​ Difficoltà e c. nella vita consacrata,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1996; Tripani G., «Perché non posso seguirti ora?» Momenti di prova e formazione permanente,​​ Milano, Paoline, 2004; Grun A.,​​ 40 anni: età di c. o tempo di grazia?,​​ Padova, Messaggero, 2006; Parolari C.,​​ Vivere le prove con sincerità di cuore,​​ in «Tre Dimensioni» 2 (2006) 207-211.

A. Cencini