INSEGNAMENTO

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INSEGNAMENTO

L’attività volta a promuovere l’acquisizione di​​ ​​ conoscenze,​​ ​​ abilità,​​ ​​ atteggiamenti e​​ ​​ competenze negli altri per mezzo di opportuni sistemi di rappresentazione e di​​ ​​ comunicazione. Dal lat.​​ insignare,​​ imprimere segni, il termine è stato ben presto utilizzato per indicare la rappresentazione delle informazioni e delle conoscenze​​ in signo sensibili,​​ cioè secondo un sistema di segni sensibili (in signo ponere).​​ D’altra parte​​ insignare​​ significa anche indicare, far segno. L’azione di i. può quindi essere letta sia come azione che mira a rendere sensibili, percepibili le conoscenze, le competenze, i​​ ​​ valori che si intendono proporre all’azione di​​ ​​ apprendimento degli allievi, sia come indicazione del loro significato, del loro grado di plausibilità e del loro valore soggettivo e collettivo (​​ insegnante).

1.​​ Alcuni concetti chiave.​​ S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino afferma che: «Il maestro non causa il lume intellettuale del discepolo, né direttamente le specie intelligibili, ma con il suo i. stimola il discepolo perché, applicando la capacità del proprio intelletto, formi i concetti dei quali, dal di fuori, offre i segni» (Tommaso d’Aquino, 1965, 119-121). E ancora: «Il maestro, nei riguardi del discepolo, non fa altro che proporgli dei segni o indicargli qualcosa con parole o con gesti [...]. L’insegnante esercita una funzione esteriore, come il medico che risana; e come la natura interiore è la principale causa della guarigione, così il lume interiore dell’intelletto è la principale causa del sapere» (Ibid.,​​ 113). Non solo l’attivazione dei processi di apprendimento, dunque, ma anche il loro controllo non può essere di conseguenza e in generale che solo indiretto: esso è infatti mediato dai sistemi di segni adottati, includendo tra questi anche i sistemi di relazione instaurati. È il principio fondamentale su cui si fonda la cosiddetta «didattica mediale», espressione che si riferisce all’uso valido e produttivo di adeguati​​ media​​ (ambienti e strumenti) di comunicazione culturale per raggiungere gli​​ ​​ obiettivi didattici intesi. Il primo e fondamentale sistema di segni è il contesto o ambiente di apprendimento stesso considerato nella sua totalità: edifici, aule e loro attrezzature e relativo stato di manutenzione e di pulizia; materiali e strumenti didattici disponibili ed effettivamente utilizzati; sistemi e modalità di relazione attivate e atmosfera generale presente sul piano della comunicazione interpersonale; caratteristiche personali, culturali e professionali dei docenti; attività didattiche progettate e sviluppate; forme linguistiche e conversazioni adottate; ecc. È quello che possiamo chiamare il​​ medium​​ comunicativo fondamentale che costituisce la cornice di sfondo entro cui sono lette, interpretate e valutate le singole azioni didattiche. In questo contesto o ambiente di base vengono via via predisposti e valorizzati sistemi di segni e​​ media​​ particolari.

2.​​ Diversità dei media usati nell’i.​​ I sistemi di segni principali attraverso cui possiamo rappresentare i contenuti della comunicazione culturale sono dati dalle parole (dette o scritte) e dalle immagini (statiche o dinamiche) (Pellerey, 1990), più o meno strettamente intrecciate tra di loro. L’esperienza soggettiva di quanto è segno o può farsi segno può essere diretta oppure mediata. In questo secondo caso si ha l’interposizione di un ulteriore sistema rappresentativo: è il caso del cinema, della televisione, del computer, ma anche del testo scritto, delle opere d’arte riprodotte a stampa, ecc. Nell’esperienza diretta la percezione, l’attribuzione di significato e l’appropriazione delle conoscenze e delle competenze rappresentate sono guidate e sorrette dall’interazione con una o più persone presenti. Nel secondo caso, invece, la percezione, l’attribuzione di significato e l’appropriazione dei contenuti sono nelle sole mani del soggetto. Nel primo caso si costituisce un sistema di interazioni triangolare in cui oltre alla rappresentazione e all’azione di comprensione e appropriazione del soggetto esiste una meta-comunicazione tra insegnante e allievi che sovrintende alla loro interazione. Nel secondo caso l’interazione è bipolare: tra soggetto e rappresentazione. Non solo, esiste una profonda differenza strutturale tra l’i. sviluppato tramite l’uso dell’interazione orale e quello che valorizza testi scritti,​​ ​​ audiovisivi, computer. Nella conversazione, nell’incontro diretto orale, la validità e correttezza della comunicazione vengono immediatamente e con continuità guidate e controllate dall’insegnante. Nell’uso di testi scritti, come in tutte le altre forme di comunicazione indiretta, anche artistica, ci si affida all’interpretazione. Nella lettura di testi scritti a carattere espositivo, per es., dominano la riflessione, l’analisi, la ricerca del senso, la logica, la ricerca di coerenza. Anche psicologicamente l’uso della parola è profondamente diverso dall’uso di altri mezzi comunicativi. Il parlare, infatti, nasce dal nostro profondo, dalla nostra intimità, anche se col tempo subisce evoluzioni e perfezionamenti; lo scrivere è un processo guidato da norme consapevolmente inventate, anche se ormai lo si percepisce come naturale, in quanto profondamente interiorizzato. E questo vale per molte altre tecnologie di comunicazione, come il cinema, la televisione, il computer, soprattutto usato come strumento multimediale.

3.​​ Modelli di i.​​ L’attività pratica che si svolge nell’insegnare coinvolge tre variabili essenziali: l’insegnante, lo studente, il contenuto di i. A queste tre variabili occorre evidentemente aggiungere il contesto nel quale tale attività si svolge. Il prevalere dell’una o dell’altra di queste variabili favorisce la costituzione di una tipologia di modalità di i. Gli elementi che possono essere individuati per caratterizzare tali prevalenze possono essere così sintetizzati: l’approccio teorico-filosofico che viene privilegiato; l’inquadramento psicologico che tende e specificare le modalità di sviluppo dei processi di apprendimento; l’impostazione curricolare che viene adottata. Utilizzando questo quadro di riferimento si possono distinguere almeno quattro modelli base di i.: a) il modello classico nel quale prevale il contenuto e in maniera minore l’insegnante, considerato esperto e modello; b) il modello tecnologico che esalta la scelta e l’organizzazione didattica dei contenuti; c) il modello personalistico, che sottolinea la centralità dell’alunno, attivo costruttore delle sue conoscenze; d) il modello interattivo, che focalizza l’attenzione sull’interscambio tra insegnante e alunno; è durante questa interazione che si costruiscono le conoscenze. Ovviamente nessuno di questi modelli esaurisce la complessità del lavoro di i., per cui il docente dovrà impostare la sua attività strutturando un suo personale approccio, tenuto conto dei suoi orientamenti ideali e dei vincoli istituzionali entro cui egli è tenuto a svolgere la sua professione.

4.​​ Analisi e valutazione dell’i.​​ L’analisi dell’i. può essere sviluppata a partire da approcci disciplinari molteplici. Dal punto di vista della psicologia comportamentale sono state sviluppate tecniche di analisi e modificazione del comportamento insegnante, in particolare esaminando gli scambi verbali intercorrenti tra docente e allievi. Classico è stato il lavoro pionieristico di Flanders (1970). Da un punto di vista più didattico si possono ricordare i lavori di Dussault et al. (1976). Tecniche osservative sistematiche e partecipanti hanno cercato di esplorare più dall’interno il contesto specifico dell’i. La microsociologia ha utilizzato recentemente metodi etnografici e narrazioni, o storie di vita, dei docenti per risalire dai comportamenti esterni ai pensieri e ai sentimenti che animano docenti e allievi durante le interazioni didattiche. La macrosociologia si è interessata, invece, spesso utilizzando il concetto di sistema, al complesso dell’i., visto come insieme strutturato di relazioni interpersonali e istituzionali, di reciproche influenze, di ruoli, di organizzazione dei tempi, degli spazi e delle persone. D’altra parte l’attività di i. ha come scopo fondamentale quello di promuovere un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di conoscenze, abilità e atteggiamenti da parte degli studenti. Di conseguenza la qualità dell’i. si misura dai risultati che esso riesce a raggiungere nonostante la diversità di preparazione, di capacità, di motivazione che presentano gli allievi. Tuttavia occorre evitare forme ingenue di valutazione dei risultati dell’i. scolastico o professionale che si basano solo sui livelli finali di apprendimento. Ciò che caratterizza la bontà di un sistema di i. è il guadagno conoscitivo che riesce a raggiungere, cioè la differenza tra stato di preparazione iniziale e risultati finali raggiunti, ovviamente tenendo conto dei vari condizionamenti sociali, economici e culturali sempre presenti. La tendenza a valutare efficacia ed efficienza dell’i. solo sulla base di standard finali raggiunti e riduzione di costi finanziari valorizzando una metafora economicista, può risultare gravemente dannosa nel contesto scolastico, in quanto può indurre facilmente sia a forme più o meno esplicite di selezione, sia ad abbassamento generalizzato dei livelli finali di conoscenza.

Bibliografia

Tommaso d’Aquino (s.),​​ De magistro,​​ Roma, Armando, 1965; De Giacinto S.,​​ Struttura dell’i.,​​ Napoli, Morano, 1967; Flanders N. A.,​​ Analysis teaching behavior,​​ Reading, Addison-Wesley, 1970; Lapp D. et al.,​​ Teaching and learning. Philosophical,​​ psychological,​​ curricular applications,​​ New York, Macmillan, 1975; Dussault G. et al.,​​ L’analisi dell’i.,​​ Roma, Armando, 1976; Joyce B.,​​ Models of teaching,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall,​​ 21986; Ballanti G.,​​ Modelli di apprendimento e schemi di i.,​​ Teramo, Lisciani & Giunti, 1988;​​ Not L.,​​ L’enseignement répondant,​​ Paris, PUF,​​ 1989; Scurati C. (Ed.),​​ Realtà e forme dell’i.,​​ Brescia, La Scuola, 1990; Mastromarino R.,​​ L’azione didattica,​​ Roma, Armando, 1991;​​ Gimeno Sacristán J. - A. I. Pérez Gómez,​​ Comprender y transformar la enseñanza,​​ Madrid, Morata,​​ 1992; Calidoni P.,​​ I. e ricerca in classe,​​ Brescia, La Scuola, 2004; Bottero E.,​​ Il metodo d’i., Milano, Angeli, 2007.

M. Pellerey