GIOVANI

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GIOVANI

Soggetti umani particolarmente interessanti per l’educazione e la pedagogia, a motivo della loro condizione vitale al termine dell’età evolutiva e delle preoccupazioni sociali per il loro attivo e positivo inserimento nel mondo adulto.

1.​​ Il​​ disagio interpretativo.​​ Rispetto ad appena vent’anni fa oggi disponiamo di un quadro assai articolato di riflessioni teoretiche e di una vasta collezione di ricerche empiriche sui g. (Mion, 1985). Eppure l’accumulo di dati e di considerazioni non è privo di aspetti problematici. Tra questi: la molteplicità delle prospettive adottate non rende i dati immediatamente componibili in un quadro sinottico; l’accresciuto pluralismo di approcci e di metodi, l’eccedenza di prospettive, i complessi problemi metodologici rendono difficile una sintesi unitaria ingenerando smarrimenti o appiattimenti riduttivi della ricchezza degli sforzi iniziali.

2. Il​​ concetto di gioventù.​​ Sia nel linguaggio comune che nel lessico delle scienze sociali regna una certa confusione in merito al contenuto, cui si fa riferimento quando si utilizzano le parole «g.», «gioventù» o «giovinezza».​​ Nel linguaggio comune​​ questi termini indicano in genere una fase di transizione interposta tra l’infanzia e l’età adulta. Assai spesso essi sono marcati di accentuazioni valutative sia positive che negative, di potenziale forza rivoluzionaria o di immatura generazione «bohémienne». Neppure​​ nell’ambito delle scienze sociali​​ la terminologia è consolidata. Vi è incertezza in particolare sui significati di «​​ ​​ adolescenza» e di «gioventù» e sui confini tra le realtà corrispondenti alle varie fasi di vita. Alcuni autori usano di fatto i termini come sinonimi, gli psicologi dell’età evolutiva tendono a parlare di «adolescenza», mentre il termine «gioventù» è usato prevalentemente dai sociologi, assieme a quello di «condizione giovanile» che ne esprime specialmente la sua valenza strutturale sociopolitica. Adottando la prospettiva secondo cui adolescenza e giovinezza sono due fasi diverse della vita, tale distinzione risulta abbastanza facile se si sottolinea l’importanza delle trasformazioni biosomatiche. Se invece si evidenziano quelle biopsichiche il problema si complica, e ciò in misura molto maggiore se si prendono in considerazione anche i mutamenti sia politici che economici e culturali della società. Ulteriori fattori di complessificazione sono dati dai processi di anticipazione individuale che in alcuni ambiti si stanno verificando per effetto dell’accelerazione del cambio sociale e dell’innovazione tecnologica. In sintesi una corretta impostazione dello studio della cultura giovanile dovrà tener conto in modo complementare di una​​ duplice linea di lettura:​​ descrittiva (presentazione dei dati) e interpretativa (ricerca delle cause, dei fattori intervenienti e delle ragioni esplicative), e di​​ un duplice livello di analisi:​​ strutturale (relativo alle condizioni obiettive esterne di tipo socio-politico ed economico) e culturale (relativo ai valori, stili di vita, risposte esistenziali e comportamentali che i g. nella loro soggettività elaborano in rapporto ai processi a cui sono sottoposti nelle strutture). Si dovrà inoltre prendere in considerazione una​​ pluralità di approcci,​​ che secondo una prospettiva educativa privilegiano nello studio della condizione giovanile certe dimensioni particolari e specifiche. Essi sono: gli approcci biofisiologico, psico-evolutivo, demografico (espansione e / o contrazione delle fasce giovanili), storico, etno-antropologico, pedagogico (interventi educativi scanditi da fini, obiettivi e strategie metodologiche), politico (interventi strutturali organizzati della società politica), sociologico (la cultura giovanile come sottosistema organico nel più vasto sistema sociale).​​ In una prospettiva socio-pedagogica,​​ come è la nostra, si può risolvere il problema terminologico rinviandolo alla definizione del​​ terminus ad quem,​​ considerando cioè g. tutti coloro che, se da un lato hanno superato la soglia dell’infanzia, dall’altro non hanno ancora raggiunto appieno lo status della persona adulta: si tratta di quanti sono impegnati nel compito di diventare adulti. Questa definizione non è del tutto soddisfacente, perché dice poco sulle caratteristiche della gioventù e insiste solo su quelle che ai g. mancano per essere adulti. È un’ulteriore conferma della difficoltà di fissare i confini dell’età giovanile che perciò risultano assai incerti.

3.​​ Nelle società della rivoluzione industriale,​​ la condizione giovanile si trasforma radicalmente rispetto alla storia del passato.​​ Nelle campagne​​ con il diffondersi dell’industria agricola domestica, aumentano le opportunità per i g. di rendersi economicamente indipendenti dalla famiglia patriarcale o anche di emigrare verso le città.​​ Nelle città,​​ l’apprendistato entra in crisi per la presenza di una classe permanente di lavoratori salariati e perché anche l’apprendista si stabilizza nella condizione di lavoratore salariato dipendente. Nello stesso tempo è difficile parlare di fase giovanile del ciclo di vita per quegli adolescenti che vanno ad ingrossare le file del proletariato industriale nelle fabbriche, in cui entrano, appena lasciata la sponda dell’infanzia.​​ Nei ceti urbani benestanti,​​ la gioventù vive una fase prolungata di preparazione e di attesa. I figli dei nobili si preparano per le carriere militari e burocratiche; i figli della borghesia professionale si orientano a seguire le carriere dei padri; i figli della borghesia industriale e commerciale sono in attesa di ereditare le imprese familiari.​​ Nelle istituzioni educative,​​ i g. sono tenuti per lungo tempo a stretto contatto con i coetanei dello stesso sesso, e ciò dà luogo alla formazione di gruppi solidaristici di carattere ludico, religioso, intellettuale e politico, sulla cui base si sviluppano assai spesso stili di vita, correnti culturali e movimenti politici, che si contrappongono all’ordine morale, sociale e politico della società adulta.​​ Verso la fine del sec. XIX​​ quando ormai il periodo di​​ «moratoria»​​ dell’istruzione secondaria e superiore coinvolge una quota crescente di figli dei ceti medio-alti, i gruppi giovanili assumono più spesso una connotazione ideologica che si rivolge sia verso​​ i​​ movimenti​​ nazionalistici sia verso quelli radicali e socialisti. In questo stesso periodo si accentua l’interesse per i g. anche da parte dello​​ Stato,​​ soprattutto in vista della formazione dei grandi eserciti territoriali. La «militarizzazione» della gioventù, che troverà il proprio fondamento nella coscrizione obbligatoria al servizio militare, raggiungerà il culmine nelle grandi organizzazioni giovanili di massa dei regimi totalitari di stampo sia nazionalistico (la​​ Hitlerjugend​​ in Germania, la​​ GIL​​ in Italia), che comunistico (i​​ Komsomol​​ in Russia).

4.​​ Nelle società avanzate contemporanee.​​ I confini tra le varie età del ciclo di vita appaiono sempre più sfumati. Non vi sono più veri e propri riti di passaggio per l’ingresso nell’età adulta, anche se come tali vengono ritenute le seguenti cinque soglie: la conclusione degli studi e / o del percorso formativo, l’entrata nel mondo del lavoro, l’uscita dalla casa paterna, il matrimonio, le responsabilità della maternità e della paternità. Negli ultimi venti anni vi è stato un cambiamento radicale nei modi in cui queste cinque soglie sono attraversate: vi è la tendenza a dilazionare ognuno di questi passaggi, a non seguire l’ordine con cui sono segnati, a dilatare le distanze tra il tempo della prima e dell’ultima. La dilatazione e la moratoria psicosociale cresce con l’elevarsi della classe sociale di appartenenza. È possibile individuare di fatto​​ quattro modelli​​ di «moratoria psicosociale della gioventù»: – il modello​​ mediterraneo​​ caratterizzato da un aumento degli anni di studio, dalla precarietà lavorativa e dal prolungamento della coabitazione con i genitori, anche quando si è raggiunta l’indipendenza economica; – il modello​​ nordico,​​ in cui i g. precocemente abbandonano la casa, vivono o da soli o in convivenze, che non preludono al matrimonio, mentre questo viene ritardato così come la decisione di avere figli; – il modello​​ francese​​ che ha in comune con quello mediterraneo la tendenza al prolungamento degli studi, e con quello nordico una più lunga moratoria tra abbandono della casa e matrimonio; – il modello​​ britannico​​ in cui la gioventù precocemente termina gli studi, entra nel mercato del lavoro e si sposa, ma ritarda invece ad avere figli. La generalizzazione dell’istruzione e l’allungamento dei percorsi formativi sono processi che hanno portato​​ alla diffusività della condizione di studente.​​ E ciò per diversi fattori: la domanda di lavoro sempre più qualificato richiede tempi lunghi di formazione, i g. sono sollecitati a proseguire gli studi nell’attesa che ciò garantisca loro maggiori opportunità di mobilità sociale, infine l’istruzione e la cultura sono diventati valori non più limitati a qualche élite particolare. Il prolungamento della fase giovanile diventa quindi una conseguenza anche del processo di scolarizzazione di massa. La conclusione dei cicli formativi non significa più​​ ingresso​​ automatico​​ in un ruolo lavorativo stabile​​ sia perché oggi è difficile stabilire la fine della fase di formazione, sia perché si inseriscono sempre più ampi periodi di disoccupazione e di lavoro precario, anche vari anni dopo la conclusione degli studi. Ciò significa un prolungamento dei rapporti di dipendenza economica, e soprattutto psicologica, dalla famiglia di origine. La prolungata transizione dalla​​ ​​ scuola al​​ ​​ lavoro determina inoltre la dilatazione dei tempi di uscita dalla​​ ​​ famiglia di origine e di formazione di una nuova famiglia. Anche nella sola Europa occidentale il fenomeno della de-coabitazione varia molto da Paese a Paese, e secondo i modelli già indicati: quello «mediterraneo» (più dipendente anche nelle norme morali) e quello «nordeuropeo» (più indipendente e permissivo). Col prolungarsi della coabitazione con i genitori mutano anche i rapporti fra le generazioni. Infatti da un’ambivalenza adolescenziale, che si muove tra dipendenza e indipendenza, questi rapporti tendono a diventare nella famiglia «lunga» (Scabini e Donati, 1988) meno asimmetrici. Ciò è determinato proprio dagli stili di esercizio dell’autorità parentale, che in queste condizioni concede ai figli di godere gradi di libertà e di autonomia crescenti, senza eccessive differenze tra maschi e femmine.

5.​​ La cultura giovanile.​​ Le dilatazioni dei tempi di ingresso nella vita adulta e i fenomeni collaterali costituiscono la base sulla quale oggi si sviluppano valori, orientamenti, stili di vita e atteggiamenti particolari che sono comunemente designati col termine di «cultura giovanile». Essi condizionano anche i processi di formazione dell’identità personale, caratterizzata da quella che è stata definita «l’incertezza biografica». Per cui più che un processo teso al raggiungimento dello status adulto l’adolescenza sembra diventare quasi una «condizione», certo non permanente, ma tuttavia abbastanza consistente, proprio per il prolungamento della moratoria psicosociale, così da dar vita a forme di cultura proprie delle fasce di età coinvolte. Tratti salienti della cultura giovanile possono in conclusione essere identificati nei seguenti: – accentuata valorizzazione del «sé» e dell’autorealizzazione nell’eccedenza delle opportunità di scelte molteplici per definire il proprio futuro (valori «post-materialistici»; «neo-individualismo» e «cultura del narcisismo»); – cura preferenziale dell’autoesplorazione attraverso la comunicazione e la relazione con gli altri; – attenzione al tempo concentrata prevalentemente sul presente in una «sindrome di destrutturazione temporale» (Cavalli, 1985); – desiderio di non restringere con scelte troppo precoci l’orizzonte dei futuri possibili; – molteplicità di appartenenze che si fanno sempre più deboli e provvisorie, in considerazione dei benefici ottenibili; – insistente domanda di protagonismo e di soggettività; – tendenza alla reversibilità delle decisioni, alla relativizzazione degli assoluti e dei riferimenti fondamentali, all’accettazione acritica del pluralismo, all’indifferenza religiosa; – disponibilità sempre più ampia di quote del tempo libero da programmare; – proliferazione delle attività espressive in particolare di quelle musicali secondo una forte tendenza all’omologazione dei gusti anche a livello internazionale; – elevato grado di esposizione ai​​ ​​ mezzi di comunicazione di massa; – accurato e selettivo conformismo nell’abbigliamento, nella foggia dei capelli, nel linguaggio e nei segni esteriori di appartenenza, in adesione a identità provvisorie ma collettive; – cura difensiva dell’immagine e delle mode giovanili rispetto alle imitazioni e contraffazioni degli adulti. Infine un’attenzione particolare va data all’emergere di comportamenti collettivi che negli ultimi trent’anni hanno costellato l’orizzonte giovanile nei diversi​​ ​​ movimenti di protesta politica. Alla fine degli anni ’60 in America e in Europa sono sorti movimenti giovanili con un profilo ideologico-politico di stampo contestatore e rivoluzionario che hanno trovato visibilità nelle​​ ​​ università. Successivamente nella metà degli anni ’70, in un clima generale di «riflusso nel privato» questi movimenti hanno assunto tratti diversi, meno politicizzati, ma non meno espressivi, secondo un duplice orientamento, quello radicale della violenza contro lo Stato (Brigate Rosse) e quello dai toni più morbidi, ironici ed espressivi degli «indiani metropolitani». Ormai però lo stile dell’aggregazione movimentistica studentesca si era affermato e si organizzava nelle diverse occasioni, specialmente nelle «marce della pace» e nelle contestazioni contro la scuola: «il movimento del ’77», «i ragazzi dell’85», «la pantera nera del ’90», per quanto riguarda specificamente l’Italia. Compaiono nel frattempo anche altri fenomeni collettivi del tutto diversi e di segno contrastante: da un lato le manifestazioni musicali (concerti rock, live), che aggregano pacificamente decine di migliaia di g. e dall’altro episodi, legati per lo più al tifo sportivo, che vedono gruppi di g. in scontri anche violenti ed in azioni vandaliche. La frequenza di tali episodi è andata crescendo negli anni ’80 e in tutti i Paesi europei. Anche se coinvolge solo minoranze di g., segnala tuttavia l’esistenza di un potenziale aggressivo che trova modo di esprimersi solo in comportamenti distruttivi. In generale tuttavia la cultura giovanile non è per definizione conflittuale rispetto a quella adulta; più spesso esprime non tanto il conflitto, quanto lo «scarto» generazionale che si produce fisiologicamente in società soggette a rapidi e profondi processi di mutamento, quasi assumendo i caratteri di una subcultura. In ogni caso le rappresentazioni sociali, che della gioventù sono venute maturando lungo la storia, possono essere sinteticamente indicate in alcune metafore relative al modo con cui la società da sempre ha guardato ai g.: come soggetti da educare e da formare, come energia da incanalare, come capitale sociale da incentivare, come pericoloso problema sociale da controllare. Sulla maggiore o minore predominanza di queste immagini si sono poi nei secoli innestati gli interventi delle più benemerite istituzioni educative, religiose e laiche fino agli attuali progetti educativi delle varie amministrazioni locali («Progetti G.») oltre alle differenziate politiche sociali nazionali ed oggi anche europee.​​ 

Bibliografia

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R. Mion​​