CONFLITTO

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CONFLITTO

La persona sperimenta il c. quando è motivata ad attuare due o più attività che si escludono vicendevolmente. Si tratta pertanto di situazioni nelle quali si vorrebbero attuare simultaneamente comportamenti incompatibili come avvicinarsi ad una persona e distanziarsi da essa, parlare schiettamente e trattenersi dall’esprimersi per paura di offendere, intrattenere il pensiero che i criminali meritano compassione e pensare che dovrebbero essere mandati su un’isola deserta.

1. Il c. psicologico.​​ Nella letteratura psicologica il c. ha un’importanza centrale nelle​​ ​​ nevrosi, nei disturbi psicosomatici, nelle deviazioni sessuali, nelle psicosi funzionali e in diverse forme di patologia sociale, come nei fallimenti matrimoniali, educativi e professionali. La teoria psicoanalitica dà molta importanza al c. tra gli istinti sessuali regolati dalla società e gli istinti biologici. Essa sostiene che la nevrosi è il risultato della repressione dei desideri libidici mediante l’​​ ​​ ansia e che lo sviluppo della personalità non è altro che la risoluzione di una serie di c. tra le inibizioni sociali e le esigenze degli istinti biologici. Uno dei modi più costruttivi di risolvere i c. psicologici sarebbe la sublimazione mediante la quale le spinte libidiche represse si scaricherebbero attraverso attività socialmente utili, come quelle artistiche, scientifiche o il lavoro. I teorici della psicologia dell’io hanno dimostrato che l’interesse sociale nella scienza, nell’arte e nel lavoro possono essere indipendenti dallo sviluppo libidico. Anche i teorici psicoanalitici di orientamento culturale hanno proposto spiegazioni alternative a quelle di​​ ​​ Freud. Ad es.​​ ​​ Horney sostiene che lo sviluppo della personalità riguarda essenzialmente la sicurezza e che nelle situazioni sociali, che sono fonte di minaccia, le strategie per affrontarle possono essere esagerate e trasformarsi in c.​​ ​​ Lewin ha distinto tre tipi di c.: a) il c. nel quale la persona si trova tra due aspirazioni con valenza di segno positivo; b) il c. nel quale la persona si trova di fronte ad un’aspirazione che ha valenze positive e negative; c) il c. nel quale la persona si trova di fronte a due aspirazioni tutte e due di valenza negativa. Questi tipi di c. sono noti come c. di vicinanza-vicinanza, vicinanza-evitamento, e evitamento-evitamento. Ai tre c. è stato aggiunto un quarto: vicinanza-evitamento doppio. Il c. vicinanza-vicinanza è quello rappresentato dalla «parabola» dell’asino di Buridano, che, di fronte a due mucchi di fieno, non seppe decidersi da quale mucchio mangiare e che perciò morì di fame. Di solito questo tipo di c. è risolto facilmente perché l’equilibrio non è stabile e così anche un piccolo spostamento verso una delle due aspirazioni tende a potenziare la valenza positiva. Il c. vicinanza-evitamento tende ad essere stabile perché le due aspirazioni si contrappongono l’una all’altra in modo che una mossa di avvicinamento produce un aumento della valenza negativa e un movimento compensatorio di evitamento e viceversa. Il c. può generare molta incertezza e vacillazione; è il c. del bambino che deve eseguire un compito spiacevole per avere un premio. Oltre a sentirsi vacillante tra le due possibilità il bambino cercherà di fare il meno possibile e perderà il premio o cercherà qualche mossa evasiva. Il c. evitamento-evitamento è risolto con difficoltà e lentamente; spesso si conclude in un blocco. L’esempio tipico è quello del bambino che deve eseguire un compito, che non gli piace, sotto la minaccia di punizione. Il bambino tenta la fuga e se quella non è possibile, Lewin sostiene che le scappatoie più probabili sono che il bambino si chiude in se stesso o esplode emotivamente. Anche il c. vicinanza-evitamento doppio, che si manifesta in situazioni nelle quali vi sono due attrattive ognuna con tendenze di vicinanza-evitamento, tende a produrre situazioni di blocco. Esso ha notevoli ripercussioni controproducenti quando una o tutte e due le aspettative sono inconsapevoli; spesso il desiderio di una delle attrattive suscita la paura inconscia di perderle tutte e due e così la persona finisce in un doppio c. vicinanza-evitamento. È la situazione caratteristica nella quale si trova un uomo attratto consciamente da due donne ma inconsciamente impaurito da tutte e due, e quindi non si tratta di un semplice c. vicinanza-vicinanza come potrebbe apparire. Il c. psicologico, essendo dentro la persona, si riduce in ultima analisi a un problema di confronto e scelta tra valori e non implica necessariamente interazioni con altre persone o gruppi. Tuttavia il c. interno può essere visto come c. tra diverse​​ parti​​ interne e in quel senso può avere connotazioni relazionali e interpersonali. Quando si esaminano gruppi e organizzazioni, i c. possono essere visti a diversi livelli sistemici: da un lato si può guardare al sistema dei componenti del gruppo o dell’organizzazione e si tratta di c. sociali; ma d’altro canto il c. esterno può essere esaminato dalla prospettiva di un altro livello sistemico, quello dell’individuo, come una espressione analoga del c. interno all’individuo. Una persona che non ha fatto i conti con i c. normativi dentro se stessa, facilmente può interpretare i processi relazionali e interpersonali secondo i significati dei propri c. interni e, ad es., leggere un​​ invito​​ da parte dell’autorità come una​​ imposizione.​​ In altri termini ogni persona nel gruppo potrebbe rispondere non solo agli stimoli oggettivi esterni, fonte di c. sociale, ma anche alle proprie proiezioni interne. In questo senso molti c. interni possono essere visti come c. importanti in senso sociale.

2.​​ Il​​ c. sociale.​​ Due processi strettamente collegati si manifestano in qualsiasi situazione di rapporto umano: un processo conflittuale e un processo integrativo. Quando due persone o gruppi si incontrano, essi possono scegliere di relazionarsi in termini conflittuali o in termini integrativi di collaborazione e reciproco sostegno. Ma i due aspetti non si elidono a vicenda. Se l’incontro iniziale è conflittuale, si sviluppano regole minime di intesa, se non altro l’intesa di non intendersi. Se invece l’incontro è essenzialmente integrativo, necessariamente si svilupperanno dinamiche conflittuali, perché si dovranno comporre le esigenze del gruppo come tale e le esigenze degli individui che lo compongono. Per tal motivo diversi studiosi concordano che là dove esiste l’idea di comunità immancabilmente esiste anche l’idea di c., perché è necessario far fronte a due funzioni incompatibili allo stesso tempo. Il c. avrebbe la funzione di legare insieme gli elementi (persone o gruppi) che prima erano separati e ora agiscono insieme. Il c. di solito si sviluppa quando almeno uno degli elementi della comunità o gruppo si rende conto che una o più aspirazioni o preferenze o strumenti per raggiungere i propri scopi è minacciata od ostacolata dalle intenzioni o dalle attività di uno o più elementi del gruppo o della comunità. Un tipo di c. particolarmente importante è quello che si sviluppa quando un elemento (individuo o sottogruppo di un insieme di gruppi) cambia così ampiamente il campo dell’altro che quest’altro reagisce e la reazione a sua volta cambia il campo del primo elemento che provoca un’altra mossa da parte dell’altro e così via (Boulding, 1962, 25). L’elemento A percepisce, a torto o a ragione, di essere minacciato dall’elemento B. Mentre A ritiene di assumere una posizione protettiva, B la interpreta come offensiva e minacciosa. Quando B risponde «difensivamente», A, che ora ritiene di avere una conferma dei suoi timori iniziali, si attiva ancora di più e il c. si acuisce. Con l’aumento delle minacce e delle offese, non rimane che l’alternativa di lottare fino in fondo, finché uno degli elementi viene costretto a cedere. Se però col crescere delle incomprensioni e delle ostilità lo scotto che si deve pagare aumenta ed è eccessivo per tutti e due gli elementi, il c. diminuisce, ma lascia strascichi di disagio, ansia, timori e presto o tardi il c. riemerge. Se non si trovano soluzioni di reciproca soddisfazione, il c. può sfociare nell’oppressione dell’altro o nella separazione dall’altro e nella disgregazione della comunità.

3.​​ Composizione del c.​​ Diverse strategie sono adottate per operare processi di integrazione quando ci sono c. o prospettive che insorgano. Una strategia è quella di forzare l’altro alla sottomissione sulla base dell’assunto che l’altro «accetta» la soluzione; così si arriva ad una integrazione che però produce una relazione coercitiva. Se l’elemento in causa non accetta la coercizione, e neppure vuole apertamente opporsi, si sviluppa la resistenza passiva, che di solito ha effetti distruttivi sulla comunità in quanto si sviluppano fini e metodi procedurali incompatibili e spesso sconosciuti all’altro; viene meno una intesa contrattuale esplicita. Più comuni e accettate sono invece le strategie di composizione consensuale o di prevenzione mediante la creazione di contratti, di statuti che regolano i comportamenti, di costituzioni che stabiliscono gli orientamenti di base dell’attività della comunità, l’introduzione nelle intese esistenti di articoli di incorporazione, di confederazione, la concessione di autonomie e così via. Le intese non sono necessariamente scritte. Quanto un’intesa integrativa possa essere valida o possa durare dipende da diversi fattori: a) dal potere o dalla volontà da parte di ogni elemento di imporre la propria volontà; b) dall’insoddisfazione evocata o dalle penalità inflitte, dal tipo di rapporto esistente tra gli elementi legati insieme; c) dall’esperienza che altre intese precedenti sono state efficaci per gli elementi coinvolti. In genere se gli elementi A e B sono ugualmente forti e ugualmente insoddisfatti del loro rapporto contrattuale e sono ugualmente convinti che il separarsi comporta elevati costi, allora l’intesa raggiunta probabilmente sarà duratura; gli elementi che compongono la comunità non avranno interesse a essere puntigliosi nelle interpretazioni dell’intesa e possono anche violarla se non ci sono grossi rischi di essere scoperti; comunque intese di questo tipo anche se durature tendono ad avere bassa efficacia. Se invece A è potente e soddisfatto del rapporto con B, ma B è debole e insoddisfatto, è probabile che l’intesa duri ed essendo B debole, l’efficacia dell’intesa sarà probabilmente buona perché A sarà in grado di esigere l’osservanza dell’intesa; l’intesa sarà caratterizzata da molti piccoli c. di rivendicazioni, ci sarà notevole c. nascosto e notevole tensione. B col passare del tempo si sentirà frustrato e se si sentirà forte ritornerà all’attacco, a volte anche come pretesto per separarsi e andarsene. L’abbandono in questo caso spesso deriva anche da una illusoria convinzione di poter punire A per una relazione così poco rispettosa. Se però B continua ad essere debole e diminuisce l’insoddisfazione, col passare del tempo potrebbe accettare come normale la nuova situazione e considerare appropriate diverse vie istituzionali per affrontare i c. Il tempo in questo caso favorisce «l’usurpatore». Nel caso in cui A avesse molto potere, ma non lo volesse usare per imporsi a B, A facilmente potrebbe abbandonare B al suo destino se le perdite derivanti dall’abbandono non fossero significative per A. Nella discussione appena riportata un assunto di base è che una comunità dura se le parti che la compongono ottengono dalla relazione la soddisfazione desiderata. Tale soddisfazione dipende di solito dal quadro di valori che i diversi componenti della comunità intrattengono; tali valori spesso sono espressi in uno statuto, in una costituzione o in altro documento contrattuale accettato dai componenti della comunità.

4.​​ Le intese democratiche.​​ Nelle società occidentali viene dato molto peso all’intesa consensuale piuttosto che a quella coercitiva. La differenza tra consenso e coercizione dipende dal grado nel quale la coesione e la gestione dei c. è democraticamente decisa piuttosto che imposta unilateralmente. Ma dipende pure dal grado nel quale la forza, che eventualmente si usa, deriva dal consenso della maggioranza dei componenti della comunità; se viene usata per gli scopi e secondo i limiti consensualmente sanciti; e se vi è un adeguato livello di protezione per le minoranze dissenzienti.

5.​​ Il c. in campo educativo.​​ L’educazione è rivolta all’azione e si confronta necessariamente con il normativo. La popolazione che l’educatore incontra spesso ha origini etniche, culturali, sociali diverse che superano anche i confini nazionali e continentali e pone dei problemi normativi di alto potenziale conflittuale. Nel processo di socializzazione di cui l’educatore è investito, il compito della integrazione di molteplici elementi normativi conflittuali richiede interventi complessi. Nella società moderna tale complessità si presenta anche all’interno di popolazioni appartenenti alla stessa cultura, per il continuo sovrapporsi di subculture a causa di spostamenti migratori, soprattutto per ragioni di lavoro. L’educatore viene quasi naturalmente investito del compito integrativo e dal successo del suo lavoro può dipendere in modo importante l’agibilità della convivenza umana.

Bibliografia

Boulding K. E.,​​ Conflict and defense: a general theory,​​ New York, Harper, 1962; Grottanello V. L.,​​ Gerarchie etiche e c. culturale,​​ Milano, Angeli, 1976; Dahrendorf R.,​​ Il​​ c. sociale nella modernità,​​ Bari, Laterza, 1988; Disanto A. M.​​ Il c. educativo,​​ Roma, Borla, 1990; Novellino M.,​​ C.​​ intrapsichico e ridecisione,​​ Roma, Città Nuova, 1990; Delle Donne M.,​​ Immigrazione in Europa: solidarietà c.,​​ Roma, Dipartimento di Sociologia della «Sapienza» di Roma, 1993; Gadotti M.,​​ Pedagogia: dialogo e c.,​​ Torino, SEI, 1995; Cesareo V.,​​ L’altro: identità,​​ dialogo e c. nella società plurale, Milano, Vita e Pensiero, 2004.

P. Scilligo