PEDAGOGIA

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PEDAGOGIA

Comunemente il termine è riferito alla disciplina scientifica relativa all’​​ ​​ educazione. Ma più largamente è applicato a qualsiasi riflessione, studio, ricerca scientifica e non scientifica, su e per l’educazione, la​​ ​​ formazione, l’​​ ​​ istruzione.

1.​​ Etimologia e usi storici.​​ Come suggerisce l’etimologia (dal gr.​​ pais,​​ fanciullo, e​​ agogós,​​ guida, custode), dalla​​ funzione del paidagogós,​​ schiavo o liberto incaricato di accompagnare i fanciulli a scuola o in palestra, e successivamente dalla funzione dello schiavo o liberto preposto all’educazione dei giovani aristocratici, il termine è passato ad indicare, in senso figurato, il fatto, l’attività dell’educazione, specie quella morale. Ma ancora​​ ​​ Clemente Alessandrino (ca. 150 - ca. 215) indicava Cristo come «pedagogo». Tradotto in lat. con​​ disciplina,​​ institutio,​​ il termine ritorna in uso alla fine del sec. XV e lo si trova nell’Institutio Christiana​​ di Calvino (1536), che parla di una p. divina, ad indicare la cura misericordiosa e provvidenziale con cui Dio guida l’umanità, come padre e maestro. Verso la fine del sec. XVIII viene usato per indicare​​ anche il sapere​​ riguardante l’educazione, la teoria e la scienza dell’educazione. In it. è quasi del tutto scomparsa la distinzione tra la​​ p.​​ (l’educazione) e la​​ pedagogica​​ (la teoria dell’educazione). In ingl.​​ education​​ è usato sia per il fatto che per la dottrina dell’educazione; ma per la teoria dell’educazione sta entrando nell’uso, soprattutto a livello internazionale, il termine​​ pedagogy​​ (e un po’ meno il termine​​ educalogy).​​ In ted. si ha​​ Pädagogie​​ (Erziehung:​​ prassi educativa), e​​ Pädagogik​​ (Erziehungslehre:​​ dottrina dell’educazione); ma anche​​ Erziehungswissenschaft​​ (scienza dell’educazione). In rapporto allo sviluppo dell’educazione permanente si è proposto, ma senza troppo successo, di sostituire il termine p. con quello di​​ andragogia​​ (oltretutto tacciato di «maschilismo»).

2.​​ P. non scientifica e p. scientifica.​​ Norme, precetti, esortazioni, ammonimenti, sentenze o pensieri sull’educazione, si riscontrano nelle diverse culture. Idee pedagogiche sono espresse in forma letteraria, artistica, filmica, televisiva nelle diverse letterature nazionali e nella produzione culturale mondiale; fanno inoltre parte delle ideologie, dei programmi politici, come delle concezioni religiose (e degli scritti delle grandi religioni). L’arte di educare si alimenta delle tradizioni e delle innovazioni educative apportate lungo i secoli dai grandi educatori o da interventi politici per la formazione sociale. Il discorso sull’educazione si dà sotto forma di trattazione storica o di investigazione scientifica di vario tipo (biologico, psicologico, sociologico, antropologico, linguistico); o anche sotto forma di riflessione di tipo filosofico e teologico; o ancora di ricerca e progettazione di tipo metodologico, tecnologico, didattico. A mezza via tra il letterario e lo scientifico, tra intuizione e rigore logico, tra analisi fattuale e prospettiva utopica, si pongono i​​ saggi​​ a carattere pedagogico. In tal senso si può parlare di p. come​​ ambito culturale​​ (dell’area umanistica) e in particolare​​ scientifico​​ (tra le scienze umane), che ha cominciato ad avere un suo specifico assetto disciplinare tra la fine del sec. XVIII e la prima metà del XIX.

3.​​ Antecedenti e genesi della p. come disciplina.​​ Il miglioramento dei metodi e delle tecniche educative è stato sempre un fatto pratico, «artistico», oltre che teorico. Lungo il corso di molti secoli la riflessione su e per l’educazione non ha avuto una sua organizzazione disciplinare propria. Essa è stata sviluppata all’interno del problema e del discorso sull’uomo e il suo agire o più spesso all’interno delle concezioni filosofiche sulla vita politica e l’organizzazione dello Stato, come ad es. è in​​ ​​ Platone ed​​ ​​ Aristotele ed in genere nel mondo greco-romano. Nel periodo patristico e medioevale la p. è più che altro un capitolo della morale teologica, vale a dire della riflessione volta a interpretare il senso dell’agire umano alla luce dell’evento del Cristo, Signore risorto e Verbo di Dio; oppure come problema catechetico, vale a dire relativo alla trasmissione, all’insegnamento e alla comprensione dei contenuti di fede (come è ad es. in​​ ​​ Agostino e​​ ​​ Tommaso d’Aquino). Ma nel corso del​​ ​​ Medioevo si sviluppa pure un’ampia precettistica per l’educazione di chi ha da svolgere funzioni particolari (come i re, i principi, i nobili, i chierici, i monaci, ecc.). Essa perdurerà anche nell’età moderna allargandosi ad altre categorie di persone: alle dame, alle donne, ai gentiluomini, ai semplici cristiani, ai giovani. Lo spirito umanistico-religioso ha reso sensibili all’educazione di ragazzi e ragazze dei ceti popolari. La preoccupazione tipicamente moderna per le scienze della natura e il metodo scientifico, hanno fatto ricercare anche in sede educativa «il metodo naturale», colto nella natura delle cose (​​ Comenio), nella natura dell’intelligenza umana e nella peculiarità delle lingue e delle arti (​​ Ratke) o nella natura psicologica dell’educando, come insisteranno più tardi​​ ​​ Rousseau o​​ ​​ Pestalozzi. La p. tende ad essere piuttosto vista come​​ ​​ metodologia e​​ ​​ didattica. Con i nuovi modi di produzione legati a quella che è stata detta la «rivoluzione industriale» dalla fine del sec. XVIII in poi, con l’emergenza della borghesia e con le istanze politiche liberal-democratiche a seguito della rivoluzione francese, con l’enfasi sull’istruzione tipica dello spirito illuministico, e successivamente con l’esaltazione romantica della fanciullezza, si è venuta a creare una vasta domanda di formazione che ha spinto verso una diffusa scolarizzazione «scientifica», pubblica e tendenzialmente di massa; ha richiesto una nuova cultura per la conoscenza del bambino e per la professione di​​ ​​ maestro o di insegnante. In tal senso ha fatto sorgere il bisogno di una disciplina apposita, la p., che come, auspicava lo stesso​​ ​​ Kant, trattasse razionalmente i problemi educativi.

4.​​ La ricerca dell’identità disciplinare.​​ Pur con tutte le critiche, il ruolo di Rousseau è stato certamente fondamentale: nel suo​​ Émile​​ la proposizione di una nuova educazione, che non corrompesse l’originario buono stato di natura dell’uomo, chiedeva di essere collegata alla critica socio-culturale e all’utopia politica. Dall’Illuminismo in poi, una certa vena pedagogica ha pervaso la mentalità comune, le costruzioni di pensiero più diverse e le diverse scienze umane che si sono venute affermando in questi ultimi due secoli, per eccellenza considerate scienze dell’emancipazione e della liberazione. Ma ciò ha giocato a svantaggio della p., che è rimasta esposta alla predominanza di forme disciplinari più forti. Nella prima metà dell’800​​ ​​ Herbart si augurava che la p. riflettesse di più sulle proprie idee e coltivasse maggiormente un suo pensiero indipendente non facendosi colonizzare da nessuno. Invece di fatto continuò largamente la dipendenza della p. dalla filosofia di varia denominazione (idealismo, realismo, positivismo, attualismo, storicismo, pragmatismo, neo-kantismo, marxismo, spiritualismo, personalismo, neo-scolasticismo, ecc.), fino ad essere identificata come «scienza filosofica» da​​ ​​ Gentile. D’altra parte il prevalere della parabola positivistica ha avvicinato o ha subordinato la p. al biologismo evolutivo, al sapere medico e psichiatrico, alla sociologia o alla psicologia, dietro la richiesta pressante di una p. quale «scienza dell’educazione»: assimilata ad una psicopedagogia da parte degli autori del movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove; o ad una sociologia dell’educazione da parte di​​ ​​ Durkheim (che per questo distingueva scienza dell’educazione da teoria dell’educazione e da p. pratica). Negli ambienti tedeschi, tra le due guerre si prese ad avanzare la proposta di una p. intesa come «scienza dello spirito», centrata su una riflessione di tipo ermeneutico della relazione educativa e finalizzata ad una solida formazione culturale. In tempi più vicini a noi è da segnalare anche un accostamento della p. alle scienze del comportamento e della comunicazione (antropologia culturale, etologia, linguistica, semiologia, ecc.). Tuttavia questa stessa «scienza dell’educazione» è stata radicalmente messa in questione dalla ventata della contestazione culturale che tra la fine degli anni sessanta e nel corso degli anni settanta ha investito le scienze umane in genere, considerate irrimediabilmente ideologicamente inquinate e subordinate al potere sociale dominante. La crisi ha per un verso ridimensionato e per altro verso stimolato le scienze umane a ricomprendersi, a trovare spessore e validità conoscitiva razionale, oltre le tradizionali angustie disciplinari e le rigidità metodologiche peculiari, affrontando tematiche culturalmente ed esistenzialmente significative. In sede pedagogica, se in un primo tempo ha prevalso la critica alle ideologie pedagogiche, dietro l’influsso della psicoanalisi, del marxismo libertario, della sociologia critica, dello strutturalismo, successivamente sono state particolarmente ascoltate influenze derivanti dall’organizzazione e dalla programmazione economico-sociale, dalle nuove tecnologie informatiche e dagli studi sulle intelligenze artificiali, sui processi cognitivi e sulla comunicazione interpersonale e sociale.

5.​​ La situazione attuale.​​ Il travaglio – o secondo altri lo sviluppo – della p. come disciplina scientifica è a tutt’oggi in atto. Per ciò che concerne l’assetto disciplinare si discute se essa debba intendersi come​​ disciplina specifica ed unitaria​​ o piuttosto debba risolversi come​​ ambito scientifico multidisciplinare​​ globalmente denominato​​ ​​ scienze dell’educazione; o se debba intendersi come​​ momento «generale» e sintetico​​ della riflessione, delle teorie, delle ricerche, delle tecnologie e delle pratiche educative; o piuttosto come​​ disciplina scientifica dell’organizzazione del sapere e dell’intervento educativo,​​ tra le cosiddette «scienze pratiche», attorno a cui si fanno ruotare le specificazioni educative delle scienze umane (come la biologia dell’educazione, la psicologia dell’educazione e dello sviluppo, la sociologia dell’educazione, l’antropologia educativa, ecc.), la storia delle idee e delle pratiche e delle istituzioni educative, la didattica e le didattiche disciplinari o le diverse educazioni (educazione fisica, morale, alla cittadinanza, ecc.), la​​ ​​ tecnologia dell’educazione, e magari anche una​​ ​​ filosofia dell’educazione: tutte viste come discipline ausiliarie o contestuali della p. In tal senso la p. è assimilata ad una​​ ingegneria,​​ ad una​​ clinica​​ dell’educazione, ad una​​ metateoria​​ del discorso educativo, ad una​​ logica​​ o ad una​​ sistemica​​ dell’azione educativa.

6.​​ I nodi problematici.​​ La ricerca dell’identità disciplinare della p. non è un puro fatto accademico o epistemologico, ma è collegata con le istanze che vengono dal mondo dell’educazione, con il modo di intendere la scienza e il sapere sociale, con le esigenze provenienti dalla vicenda storico-culturale cui ci si riferisce. Finora la p. per la maggior parte è stata quasi solo – come insinua l’etimologia – rivolta all’età evolutiva e al mondo della scuola e degli insegnanti. Ora invece la dilatazione della formazione a tutte le età della vita (​​ educazione permanente) e a tutte le situazioni vitali dell’esistenza personale e comunitaria, il moltiplicarsi delle figure e delle istituzioni a valenza educativa, il complessificarsi della domanda sociale di formazione richiedono anche una cultura ed un sapere pedagogico ben più variegato e specializzato che non quello tradizionale. Allo stesso modo il carattere misto del sapere pedagogico, che fondamentalmente è visto come un «conoscere per educare», richiede oltre l’indagine empirico-positiva, anche uno sforzo teorico e progettuale e una valutazione critica dei modelli operativi utilizzabili negli interventi e nelle varie situazioni educative. In tal senso si parla di «scienza pratica», che coniuga razionalità scientifica con razionalità pratica e tecnologica, logica dimostrativa con argomentazione retorica e dialettica. Più ampiamente, la scienza pedagogica dovrà connettersi con le «buone pratiche» educative, con l’arte dell’educazione, con la politica educativa, con le teorie educative, con il complesso mondo dell’industria culturale e della comunicazione mass-mediale e new-mediale. Infine è da dire che la p. – come del resto le altre scienze umane – è oggi messa in questione dai profondi processi di mutamento culturale, di innovazione tecnologica, di pluralismo e del muticulturalismo apportato dalla​​ ​​ globalizzazione della produzione economica e della esistenza sociale.

7.​​ Per una nuova paideia.​​ Più o meno coscientemente si avvertono i limiti di tanti modi di pensare e di prospettare la vita e l’educazione. Sicché la p. è oggi chiamata non solo a fornire informazioni, idee, modelli​​ per​​ l’educazione, ma anche a dover​​ ripensare globalmente​​ l’educazione, la formazione, l’istruzione. Oltre la produzione di condizioni facilitanti l’apprendimento e la maturazione personale è richiesta di essere​​ critica e ricerca di una paideia,​​ vale a dire di una «cultura formativa», di un’humanitas​​ degna di essere intenzionalmente ed impegnativamente perseguita nella differenza della vita personale e nella complessità dell’organizzazione socio-economico-politica; e nella prospettiva di una migliore qualità della vita di tutti ed ognuno, dei singoli e delle comunità. In tale contesto storico-culturale si fanno più evidenti il senso e la legittimità del pluralismo e della differenziazione degli approcci e delle impostazioni, ma anche la necessità del confronto e del dialogo interdisciplinare e sociale sui problemi della vita e dell’esistenza personale e comunitaria. In ciò consiste la «sfida» della p., che pure oggi è «sfidata», fino all’esautorazione, dalla vicenda culturale contemporanea: aiutare a ripensare la vicenda umana nella sua globalità, a prospettarne uno sviluppo «dal volto umano», e quindi a porre le basi e provare prospettive, modelli, sperimentazioni per un aiuto sociale, competente, responsabile e solidale, per la buona qualità della vita di tutti, piccoli e grandi, persone e comunità. È peraltro da notare che la limpidezza teorica ha da fare i conti con i compromessi e le carenze della pratica sociale ed istituzionale, delle procedure giuridiche ed accademiche, dei finanziamenti economici e delle iniziative politiche, che limitano in modo più o meno grave l’investigazione e la ricerca, al di là delle buone volontà personali e delle competenze scientifico-professionali.

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C. Nanni