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Definizioni troppo generiche di g., inteso per es. come sinonimo di collettività, si dimostrano inutilizzabili proprio per la loro indeterminatezza. Occorre perciò distinguere tipi diversi di g. e differenziarli rispetto ad altre forme aggregative. Riprendendo e integrando una tipologia ormai «classica» (Cooley, 1909), un’importante distinzione passa fra​​ g. primario​​ e​​ g. secondario.

1.​​ Il​​ «g. primario».​​ È un insieme ristretto di persone (​​ famiglia, g. di amici, g. di adolescenti, talvolta «fermenti» collettivi in ambito religioso o politico, ecc.) che interagiscono in misura intensa, secondo moduli solidaristici di origine emotiva più che razionale. Le piccole dimensioni rafforzano l’interdipendenza fra i membri; consentono la possibilità di incontri faccia a faccia (Homans, 1950), la conoscenza e la comunicazione diretta; favoriscono inoltre rapporti relativamente intensi e durevoli, limitando così la dispersione (cioè l’interazione fra membri persiste oltre i momenti di incontro formali). La rilevanza dei rapporti interpersonali, la condivisione di atteggiamenti e di stili di vita, la percezione di se stessi come persone piuttosto che per i ruoli svolti, insomma l’identificazione con la totalità del g. spesso prevalgono su altri scopi e finalità. Uguale rilevanza riveste la percezione di appartenere al g., di condividere con gli altri membri alcune importanti qualità (età, affiliazione religiosa...), di contribuire alla solidarietà interna.

2.​​ Il​​ «g. secondario».​​ Il g. secondario (associazioni, società sportive, partiti, «g. di interesse», istituzioni, ecc.) invece è maggiormente esteso, organizzato in maniera più formale e più differenziata, basato su un’interazione meno «calda» e meno profonda. Inoltre esso si prefigge compiti specifici e «istituzionalizzati», proiettati soprattutto verso l’esterno, da conseguire secondo criteri di efficacia / efficienza, anche a costo di abbassare il livello di gratificazione interna. Poiché il significato di «g. secondario» comprende anche quello di «associazione» (​​ associazionismo), ad essa rinviamo, limitando qui la definizione di g. alle aggregazioni di natura «primaria». Naturalmente la distinzione primario / secondario non è netta, poiché vi è sempre una valenza primaria nel g. secondario e viceversa. Ad es., il g. primario condivide con altre aggregazioni (folla, pubblico...) i caratteri di fluidità, flessibilità, transitorietà, ma ha anche un certo grado di sistematicità, regolazione, coordinamento funzionale che lo avvicina invece alle aggregazioni secondarie. In seno a una aggregazione secondaria possono costituirsi articolazioni più vicine al tipo primario, come nel caso di piccoli g. che siano emanazione, più o meno diretta, di istituzioni religiose, culturali, sportive, ecc. (Amerio et al., 1990,42). Altre aggregazioni sono di difficile classificazione, come per esempio le «cerchie sociali» che intrecciano rapporti primari (relazioni amicali / parentali) e obiettivi proiettati all’esterno (v. per es.​​ network​​ politici, forme di​​ selfhelp,​​ ecc.). Per queste forme particolarmente ibride si potrebbe forse parlare di​​ g. quasi-primari.

3.​​ I​​ piccoli g.​​ Sono stati molto studiati, spesso nella convinzione che ciò fosse il modo migliore per comprendere le «forme elementari del comportamento sociale» e per estendere da lì la comprensione della società in generale. Sembra però illusorio pretendere di individuare un punto di vista privilegiato nell’analisi della società. Volta a volta il g. è stato analizzato per studiare le aggregazioni di diseredati (Scuola di Chicago), l’organizzazione del lavoro (Roethlisberger-Dikson, 1939), la conversazione quotidiana e i processi comunicativi (Bales, 1950), le reti di rapporti (Moreno, 1943), le dinamiche interne (Lewin, 1951), ecc. Anche i g. giovanili sono stati studiati molto: inizialmente, negli Stati Uniti degli anni ’30-’40, l’attenzione si è rivolta quasi esclusivamente alle bande o ai g. di amici, considerati espressione, rispettivamente, delle fasce marginali e delle classi medie. In un momento successivo l’interesse di sociologi, antropologi, psicologi, pedagogisti ha travalicato i confini americani e, nel contempo, si è esteso anche a molte altre forme di g. o di associazioni.

4.​​ La diffusione dei g.​​ Probabilmente questa estensione dell’analisi ha accompagnato la diffusione di g., propagatisi per il concorso di varie condizioni. Una di queste può essere la contiguità spaziale, le distanze territoriali oggi ridotte anche grazie all’incremento della comunicazione e della mobilità. Spesso i g. si basano su questa contiguità o definiscono un loro territorio di appartenenza che delimiti anche spazialmente i confini con l’outgroup.​​ Fra le cause della diffusione dei g. vanno ricordati anche il diffondersi di un senso di solitudine, il disagio rispetto all’inadeguatezza di altre agenzie (per es. la famiglia), la «freddezza» di altre aggregazioni, il senso di impotenza rispetto alla complessità sociale o riguardo alle decisioni dei grandi apparati, delle istituzioni collocate nei livelli più alti dell’organizzazione sociale. Tutto ciò può spingere il singolo a entrare in un g. per immergersi nelle correnti «calde» dei rapporti interpersonali; per trovare risposte adeguate ai propri bisogni giudicati importanti; per realizzare azioni concrete e immediate, controllabili direttamente. Le motivazioni che presiedono all’ingresso in un g. sono quindi abbastanza distanti da ragioni esplicitamente utilitariste. «Quando gli individui che scoprono di avere degli interessi in comune si riuniscono, non lo fanno solo per difendere i loro interessi, ma per essere uniti, cioè per non sentirsi spersi fra avversari, per sentire il parere della comunità, per sentirsi divenuti, di molti, uno solo» (Durkheim, 1971, 21).

5.​​ Le funzioni del g.​​ Secondo Simmel (1908), nella società si intrecciano due distinte esigenze di natura psicosociale: da una parte l’uniformità, la coesione, l’uguaglianza, lo «essere per gli altri», la fusione nel g. di appartenenza; dall’altra, la volontà di distinguersi, di segnare una differenza dagli altri appartenenti, di «essere per sé». Il rapporto fra queste due opposte esigenze è di natura dialettica, priva di conciliazione definitiva; ma proprio il conflitto fra i due opposti consente, sempre secondo questo A., la formazione dell’individuo. In particolare, aprirsi oltre la cerchia familiare, partecipare a più g. esterni ed intersecantisi, vivere quella dialettica svolgono un’importante funzione nella formazione dell’individualità. Sulle orme di Simmel troviamo altri autori, più recenti (per es. Crespi, 1985, 381 ss.) Per le sue caratteristiche, il g. può diventare spazio di spontaneità, creatività, affettività; l’intensità dei rapporti interpersonali può sollecitare una disposizione più matura e responsabile verso gli altri, con positive conseguenze su un assetto più armonico della sfera emotiva. Una dialettica interna al g. e meno vincolata da preoccupazioni formali può facilitare nel soggetto una maggiore criticità​​ ​​ Freud (1921) sottolinea inoltre l’importanza della funzione di​​ ​​ identificazione con la quale si stabilisce la solidarietà tra i membri del g., che si assimilano l’uno all’altro sia per effetto delle costrizioni normative del Super-Io, sia in conseguenza degli «istinti» e delle pulsioni dell’Es. Per agevolare ulteriormente le funzioni formative del g., può svolgere un ruolo importante il​​ leader.​​ Egli è sempre una figura strategica per l’influenza che esercita e per la distribuzione dell’autorità e delle informazioni. Lippit-White (1943) e​​ ​​ Lewin (1951), a proposito dei g. di ragazzi, sottolineano proprio la necessità di una leadership «democratica»: animato da intenti partecipativi e pedagogici, il leader sollecita la massima collaborazione, accetta critiche e suggerimenti, favorisce il dialogo. Egli può contemperare positivamente due necessità: tutelare le norme del g. (codificate o latenti che siano) per garantire la conformità e la prevedibilità dei comportamenti; ma deve anche introdurre quel tanto di innovazione che consenta al g. di adattarsi costantemente alla realtà esterna in mutamento.

6.​​ La funzione pedagogica del g.​​ Le potenzialità possibili in questo tipo di aggregazioni e nei loro leader spiegano perché spesso si auspica che l’educazione venga svolta proprio attraverso g. Essi facilitano nei loro aderenti il cambiamento di opinioni o di atteggiamenti (Asch, 1952): quando il singolo membro avverte un desiderio di riconoscimento reciproco, di sicurezza, egli è disposto a seguire i riferimenti, i modelli che prevalgono nel g. Al punto 2 è stata inoltre richiamata la capacità di coinvolgimento che il g. può sviluppare. Solo in casi estremi questo coinvolgimento finisce per annullare la personalità individuale, mentre è sicuramente più facile cadere in un​​ ​​ conformismo comunque non patologico. Una forte identificazione, il timore nel singolo di lacerare la coesione interna o di perdere con il g. anche la propria identità individuale, spostano le ragioni dell’adesione al g. dalla simpatia fra aderenti alla difesa dell’unità fine a se stessa. In alcuni casi, per le stesse ragioni difensive, le norme del g. diventano oggetto di attaccamento affettivo, tanto da suscitare reazioni sproporzionate contro coloro che le violano o tentano di modificarle. Se queste dinamiche si diffondono fra i vari aderenti, il g. si irrigidisce e ciò va a scapito della sua proiezione verso l’esterno, della sua funzionalità e della sua capacità di incidenza sulla realtà (Amerio et al., 1990, 38). Soprattutto in situazioni di crisi, di forte disorientamento, di mutamenti inquietanti, alcuni g. (primari e quasi-primari) offrono al singolo l’occasione di​​ ri-socializzarsi,​​ cioè di abbandonare completamente i vecchi riferimenti e di riscrivere daccapo le proprie mappe cognitive fino ad una trasformazione apparentemente totale della propria soggettività: in questi casi il g. viene organizzato in maniera molto simile alle agenzie di « socializzazione primaria», quali la famiglia, per cercare di ripeterne l’efficacia. Agli occhi del singolo il g. diviene così fonte di costanti conferme, mondo-base, realtà per eccellenza, confine marcato rispetto all’esterno, luogo di interazioni concentrate soprattutto sugli agenti più significativi di questa ri-socializzazione, spazio simbolico nei cui confronti il singolo stabilisce rapporti di identificazione forte e di stretta dipendenza emotiva (Berger-Luckmann, 1969). Se alcune condizioni della nostra società favoriscono questi esiti, altre producono tendenze opposte. Infatti oggi si diffonde anche il fenomeno delle «multiappartenenze» del singolo, il quale aderisce a più aggregazioni evitando, spesso intenzionalmente, di investire gran parte di se stesso in un’unica appartenenza. Inoltre egli può sempre mantenere una distanza dal suo ruolo nel g. e avere la capacità di negoziare le interpretazioni, i ruoli, le aspettative; solo così sarà in grado di dominare se stesso, di offrire un apporto efficace agli altri aderenti, di padroneggiare situazioni impreviste. Infine, tranne che in momenti «forti» durante i quali il g. si ricompatta in maniera decisa, l’identificazione è un fenomeno discontinuo e distribuito irregolarmente fra i membri.

7. I g. giovanili.​​ Molti g. sono formati da giovani che vi trovano un motivo di grande interesse. Le considerazioni generali fin qui proposte valgono a maggior ragione per i g. giovanili, con qualche accentuazione ulteriore. Per effetto dei modelli di socializzazione liberale prevalsi dal secondo dopoguerra in Occidente, la personalità giovanile richiede un sostegno del g., una difesa necessaria ad un ego non abbastanza strutturato per far fronte ai rapporti sociali che coinvolgono singoli segmenti di ruolo piuttosto che l’intera persona. Specialmente nelle nuove generazioni il g. è un insieme di riferimenti significativi (eventuale presenza di adulti che «guidano» il g., disponibilità di uno spazio fisico a propria esclusiva disposizione, punto di riferimento territoriale non casuale, norme, stili, gerghi comuni). Il g. è vissuto come la prima grande occasione di autonomia dal mondo adulto; un’evoluzione rispetto ai g. precedenti formati da bambini o pre-adolescenti; un banco di prova di quelle cooperazioni e conflitti in cui il giovane entrerà con la vita di adulto; un’importante occasione per maturare competenze comunicative, valutative, gestionali, relazionali. I g. dunque assumono un valore cognitivo-costruttivo come luogo di apprendimento nei processi di sviluppo e di formazione identitaria. La funzione di socializzazione svolge un ruolo preminente (anche se non sempre esplicito) fra le finalità interne, spesso in maniera autonoma rispetto ad altre agenzie di socializzazione: tale funzione, d’altra parte, non si contrappone radicalmente alla socializzazione familiare, scolastica, ecc. ma se ne differenzia, in un gioco di costante negoziazione fra generazioni (Amerio et al., 1990). Pur con tutti i rischi richiamati, il g. può ridurre la tensione rispetto ad una pressione esagerata dei genitori e costituire un valido fattore di maturazione rispetto all’egocentrismo e all’egoismo infantile.

Bibliografia

Durkheim É.,​​ Division du travail social,​​ Parigi, Alcan, 1893;​​ Simmel G., «Die Erweiterung der Gruppe und die Ausbildung der Individualität», in O. Rammstedt,​​ Georg Simmel-Gesamtausgabe, XI, Frankfurt a. M., Suhrkamp​​ (trad. it.​​ Individuo e g., Roma, Armando, 2006); Moreno J. L.,​​ Who shall survive? Foundations of sociometry,​​ group psychotherapy and sociodramma,​​ New York, Beacon House, 1943; Bales R. F.,​​ Interaction process analysis: a method for the study of small groups,​​ Cambridge, Addison-Wesley, 1950; Homans G. C,​​ The human group,​​ New York, Harcourt Brace, 1950; Lewin K.,​​ Field theory in social science,​​ New York, Harper, 1951; Asch S. E.,​​ Social psychology,​​ New York, Prentice-Hall, 1952; Amerio P. et al.,​​ G. di adolescenti e processi di socializzazione,​​ Bologna, Il Mulino, 1990, 31-51; Crespi F.,​​ Le vie della sociologia, Ibid., 1994; Paroni P.,​​ Un porto in strada: g. giovanile e intervento sociale, Milano, Angeli, 2004.

P. Montesperelli