PEDAGOGIA SPERIMENTALE

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PEDAGOGIA SPERIMENTALE

Con tale denominazione viene designato sia il complesso sistematico delle norme metodologiche da usarsi per lo studio positivo-sperimentale dei fatti educativi e didattici, sia l’insieme organico dei risultati, delle conclusioni raggiunte utilizzando un’appropriata metodologia sperimentale. Questa duplice concezione si riflette nelle denominazioni diversamente usate dai vari autori e nelle diverse lingue.

1.​​ Origine e sviluppo.​​ ​​ Herbart riteneva che la p. si appoggiasse sulle conclusioni della filosofia e della psicologia, ma costituisse un sapere indipendente e scientifico, basato anche su fatti rigorosamente accertati. Le origini della p.s. si legano a quelle della sperimentazione in psicologia. È stato​​ ​​ Wundt a dare origine a quest’ultima. I suoi studi e i suoi esperimenti non hanno riguardato il fatto educativo e neppure fatti psicologici rilevanti per un educatore. I suoi allievi invece si sono occupati di psicologia scolastica, di controllo dei risultati dell’apprendimento, di strumenti per la misura delle attitudini e dei prodotti del conoscere, attivando laboratori di p.s. e pubblicando monografie e manuali. Tra questi si possono ricordare E. Meumann, che collaborò con W. Lay in Germania, V. Mercante in Argentina, M. Schuyten in Belgio, W.H. Winch in Inghilterra, il gruppo degli allievi americani, tra cui J.M. Rice. Il sorgere e lo svilupparsi della p.s. è dipeso da vari motivi oltre che da una tendenza allo sviluppo delle scienze sperimentali presente un po’ ovunque. È stato però anche oggetto di polemiche, di riserve, di incertezze. In Germania Dilthey, allievo di Herbart, contrapponeva a una scienza che voleva «spiegare» i fatti (erklären)​​ una conoscenza che voleva comprenderli (verstehen),​​ più consona alla peculiarità di una scienza umana; dava così origine a una corrente di pensiero destinata a riemergere (​​ ricerca educativa). Una tradizione che risale a​​ ​​ Rousseau aveva posto il fanciullo al centro delle cure educative, insistendo sull’utilità di creargli attorno un ambiente naturale, appropriato, formativo ma gaio. Da questo filone erano maturate iniziative di vario genere: quelle che traevano indicazioni per l’educazione dalla medicina, dalla psicologia e insistevano perché i problemi della crescita infantile fruissero delle conquiste scientifiche. Il metodo scientifico cui diceva d’ispirarsi​​ ​​ Montessori può esserne un esempio; le polemiche e le proposte fatte dalla p. scientifica (recensite da​​ ​​ Buyse nella​​ Expérimentation en pédagogie​​ e da Fornaca e Di Pol in​​ La p. scientifica)​​ sono altri esempi di questa tendenza. Anche la p. nuova, quella attiva, quella funzionale (per quanto queste denominazioni possano designare movimenti distinti) avevano la preoccupazione di adeguarsi ai progressi della p., della psicologia e della medicina. Non c’era però, nei più, l’estensione, formalmente intesa, della​​ ​​ sperimentazione vera e propria ai fatti educativi. Buyse, per sottolineare questa realtà, contrapponeva la p.​​ expérienciée​​ a quella​​ expérimentale,​​ da lui propugnata. In vari studiosi di​​ ​​ pedologia e psicotecnica, come essi stessi si denominavano, la divaricazione tra innovazione attivistica e ricerca in educazione era meno accentuata.​​ ​​ Binet,​​ ​​ Claparède,​​ ​​ Decroly, ognuno con la propria fisionomia, cercavano d’introdurre nella scuola la ricerca, si occupavano molto degli anormali, trasferendo i metodi diagnostici della psicologia allo studio di questi allievi e inserendo nella didattica abituale il materiale e le iniziative prima predisposti per i ragazzi in difficoltà. Studiosi come Binet si consideravano (ed erano considerati) psicologi, ma effettuavano ricerche scolastiche che interessavano la didattica e la p. (Les idées modernes sur les enfants,​​ 1911). Agli inizi del secolo cominciarono ad apparire negli USA, oltre alle molte ricerche, manuali bilancio per la misurazione dei risultati nella scuola e per la sperimentazione (W. McCall,​​ How to experiment,​​ 1924). In Francia Th. Simon, collaboratore di Binet, pubblicò nel 1922​​ La pédagogie expérimentale​​ e accolse, sul bollettino della​​ Société Binet,​​ i contributi per una «scuola su misura». Claparède fece il bilancio dei metodi della p.s. (Psychologie de l’enfant et pédagogie expérimentale).​​ In Belgio R. Buyse, allievo di O. Decroly, tracciò una storia del metodo sperimentale, illustrò una serie di piani d’esperimento e raccolse ricerche modello (L’expérimentation en pédagogie,​​ 1935). La ricerca nomotetica in p. aveva raggiunto così lo stato adulto. Le opere citate ignoravano per lo più i problemi epistemologici ed offrivano invece considerazioni su come condurre di fatto le ricerche. Tracciando un bilancio della produzione americana ed europea in p.s., si rilevano ricerche poderose per numero ma non sempre altrettanto per rilevanza teoretica e pratica. Già Binet sottolineava, a suo modo, l’abbondanza di ricerche conoscitive, condotte senza una teoria interpretativa, protese a rilevare fatti limitati, senza compiere il ciclo che dalle constatazioni risale a modelli interpretativi più generali e più profondi, per poter offrire indicazioni utili a chi opera nel campo scolastico.

2.​​ Positivismo e ricerca positiva.​​ L’ambiente culturale in cui si è sviluppata la p.s. è, in senso largo, il​​ ​​ positivismo, espresso anche in varie forme come il sociologismo, il pragmatismo, lo scientismo. Per i positivisti l’unico metodo veramente scientifico è quello induttivo, fondato sull’osservazione e sull’esperimento, che si applica indistintamente a tutti i fenomeni, naturali, culturali, sociali, educativi. Si pensa anche a una «metafisica induttiva» che non vuol però arrivare ad alcun assoluto, ma è simile a un’etica sociale, espressione delle esigenze storiche di una società. Il positivismo ha ispirato e giustificato lo studio osservativo e sperimentale dei fatti positivi e l’incidenza della p.s. sull’organizzazione scolastica e nel trattamento dei meno dotati e dei disabili. L’Italia, fino all’affermazione e al prevalere dell’idealismo, era un esempio di questo fervore di iniziative. Gli studi di p.s. hanno ripreso a svilupparsi a metà del XX sec., nell’ultima decade si sono istituite le prime cattedre universitarie. La p.s. ha trovato e trova giustificazione in un quadro filosofico diverso dal quello del positivismo, come avviene per il metodo sperimentale usato nelle scienze e quale è andato formulandosi con sempre maggior precisione e rigore, da Bacone a Galileo, a Descartes. Per parecchi studiosi è appunto questo il metodo da usare anche, in modo analogico, nella p.s., mutuandolo appunto dalla ricerca scientifica.​​ è​​ quindi storicamente e teoricamente inesatto qualificare come positivistico ogni metodo sperimentale. Il determinismo che stava dietro alle posizioni positiviste è stato progressivamente superato dalle teorie più recenti, che si rifanno al realismo critico, che arriva ad asserti probabilistici con cui si interpretano le regolarità. Dunque diversi paradigmi epistemologici dal positivismo in poi hanno fondato i metodi di ricerca quantitativa (ricerca educativa). Il filone ermeneutico e fenomenologico sono invece il quadro di riferimento dei metodi qualitativi.

3.​​ Diffusione della p.s.​​ L’opera di Buyse è rimasta per anni un apporto isolato in Europa; altrettanto è da dire per le molte e interessanti ricerche sviluppate presso l’Università di Lovanio, soprattutto sotto forma di tesi di licenza o di dottorato. Buyse esclude dalla ricerca pedagogica i «fatti morali» e quindi la limita al settore tecnico e alla didattica. Così penserà anche E. Planchard, discepolo di Buyse e docente a Coimbra, che si è dedicato soprattutto alla divulgazione del metodo sperimentale e degli strumenti per la rilevazione. Lo studioso belga, e gli altri che lo hanno seguito, hanno posto queste restrizioni perché ritenevano scarsamente compatibile una ricerca sperimentale, formalmente intesa, con la filosofia professata allora da molti cattolici. Questa posizione è stata superata dai contributi dei pedagogisti italiani. In proposito va sottolineato che l’Italia è arrivata tardi alla ricerca sperimentale in educazione, ma ha insistito sul problema epistemologico. Dopo la seconda guerra mondiale, in Europa l’esempio di Buyse ha avuto più seguito. Oltre all’Università di Lovanio,​​ ​​ Dottrens a Ginevra, G. Mialaret a Caen,​​ ​​ Calonghi all’Università Salesiana in Italia, V. García Hoz a Madrid sono stati, con le loro ricerche e gli studi da loro ispirati, i rianimatori di questo tipo di ricerca. In molte nazioni la sperimentazione in didattica e in p. ha assunto proporzioni sempre maggiori e si è data un’organizzazione efficiente. Presso le università sono state istituite cattedre e sezioni apposite; si sono creati mezzi di espressione e di confronto con riviste specializzate e convegni. Sono apparse le rassegne periodiche delle ricerche come l’Encyclopedia of educational research,​​ i bilanci inglesi (Educational research in Britain,​​ editi periodicamente dalla University of London Press), quelli statunitensi (Review of research in education,​​ editi a cura dell’A.E.R.A.), gli ampi manuali di ricerca sull’insegnamento (Handbook of research on teaching), che continuano con aggiornamenti e completamenti curati da specialisti. Il progresso riguarda anche aspetti meno estrinseci e concerne in particolare questioni edumetriche: nella rilevazione è stata superata un’angusta concezione della misura dei fatti in favore della loro valutazione; le tecniche statistiche si sono arricchite e affinate per sfruttare le possibilità dei computer, per adeguarsi così meglio alla complessità delle situazioni. L’elaborazione di dati non metrici e non parametrici, i nuovi piani d’esperimento, la campionatura e la pianificazione delle ricerche, lo studio e la verifica delle loro condizioni di validità, sono state oggetto di sforzi più intensi e di più consapevoli impostazioni, anche epistemologiche. Da studi quasi esclusivamente didattici e piuttosto frammentari, si è passati a verificare l’efficacia di interventi educativi, a dare più rilievo al quadro teorico e all’incidenza dei fattori sociali, allo studio dei problemi visti nella loro complessità, includendo le variabili legate alle caratteristiche personali e quelle meno facilmente quantificabili.

4.​​ Conclusione.​​ Già all’origine, ma ancor più dopo le articolazioni assunte dalla ricerca educativa e didattica, la denominazione p.s. appare inadeguata. Privilegia, apparentemente, l’aspetto sperimentale su quello osservativo; sembra ritenere esaustivo il metodo sperimentale, mentre non è l’unica prospettiva da adottare per lo studio empirico dei fatti educativi. Non include inoltre i metodi qualitativi di ricerca che si sono diffusi sempre più, ad integrazione dell’approccio quantitativo sperimentale della ricerca. Oggi si privilegia inoltre la distinzione tra gli aspetti metodologici e gli esiti conseguiti con gli stessi.

Bibliografia

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L. Calonghi - C. Coggi