INFANZIA

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INFANZIA

L’etimo del termine rimanda all’età in cui il​​ ​​ bambino non parla (in-fans). Nell’uso corrente la parola i. indica quel periodo della vita che va dalla nascita ai sei anni di età che si distingue in prima (0-3 anni) e in seconda i. (3-6 anni). Talvolta si parla di terza i. come sinonimo di fanciullezza e di i. fetale per indicare il periodo di sviluppo del prematuro che si estende dalla nascita alla data presunta del parto.

1. L’i. è un’età preziosa, la cui importanza è stata gradualmente scoperta dalla pedagogia da​​ ​​ Comenio in poi. Esaltata da​​ ​​ Rousseau​​ e considerata età del gioco da​​ ​​ Fröbel, è stata riscoperta dalle sorelle​​ ​​ Agazzi e dalla​​ ​​ Montessori. Le teorie classiche (da quelle di Fröbel, da quelle di​​ ​​ Aporti a quelle delle Agazzi e della Montessori) sono oggi assunte per la funzione culturale che hanno esercitato e che continuano ad esercitare e per le sollecitazioni che esprimono nei riguardi della ricerca scientifica che ha privilegiato come suo oggetto l’i. Dei contributi di questa ricerca si fa tesoro per definire ed affermare l’educabilità del bambino, per conoscerne il potenziale educativo che chiede di essere coltivato, sviluppato e valorizzato, prestando attenzione a tutte le funzioni che interagiscono sinergicamente nella personalità individuale. Le varie scuole psicologiche e le diverse teorie che ad esse si collegano sottolineano infatti «l’unità e la sinergia delle diverse funzioni (motorie, percettive, affettive, sociali, intellettuali) nello sviluppo del bambino». In questa prospettiva appare evidente la necessità di superare le visioni riduttivistiche dell’i. e le rappresentazioni che di essa si danno, che evidenziano la complessità e le contraddizioni di cui è vittima, influendo sull’identità reale dei bambini e sui rapporti che gli adulti instaurano con loro.

2. Gli studi di psicologia dello sviluppo dimostrano che il bambino è psicologicamente forte e capace di conquistare la capacità di tenersi per mano, di sentirsi saldo su se stesso, di comunicare, di esprimersi, di interagire con gli altri, di essere attivo nel flusso della vita, di osservare, di intuire, di capire la solidarietà che sostiene il mondo, di gratificare la propria curiosità, di decifrare l’orizzonte della cultura umana, di soddisfare il bisogno di significato e di senso. Emerge infatti da queste teorie l’immagine di un bambino attivo, «costruttore» e «lettore della realtà», «protagonista della propria storia», «capace di interagire con le figure di riferimento» e con i «coetanei» di influenzare gli altri, di conquistare competenze, di acquisire progressivamente un sistema di norme morali e sociali. Per coltivare ed esprimere queste sue «potenzialità» è indispensabile che il bambino possa soddisfare i suoi bisogni fisiologici, affettivi, cognitivi che, mentre chiedono di essere analiticamente studiati e conosciuti, reclamano una risposta unitaria, cioè un sistema di interventi coordinati. Questi bisogni interagiscono e si condizionano nella personalità individuale ed emergono in un sistema in cui si riconosce via via il bisogno del bambino di essere amato e di amare, di giocare, di immaginare, di esercitare la libera scelta, di sperimentare, di comunicare, di esprimersi, di apprendere, di soddisfare la «domanda di senso» e le esigenze «spirituali». Se il bambino ha questi bisogni e se deve essere considerato la «misura» di tutti gli interventi rivolti all’i., questi bisogni meritano di essere soddisfatti e ad ognuno deve essere concesso di concretizzare i diritti che ad essi corrispondono, i quali costituiscono, a loro volta, un sistema, che si configura come risposta ad un insieme di istanze unificate.

3. Nel diritto all’educazione si assommano e si sintonizzano tutti questi diritti ed il suo esercizio è collegato a quello di tutti gli altri, in particolare a quello della vita, a quello di vivere in un’atmosfera di affetto, alla sicurezza sociale, alla salute, al benessere, alla pace ed alla rimozione di svantaggi affettivi, culturali, sociali, economici. La concretizzazione di questi diritti esige l’impegno della famiglia, della scuola, della comunità civile, che sono chiamate ad operare intenzionalmente e responsabilmente in vista della realizzazione dell’ideale della «qualità della vita», che è legata al rispetto ed alla cura dell’i., la quale ha bisogno di premura e di protezione. Essa anche oggi è un’età socialmente debole e la nostra stessa cultura, pur riconoscendola «come soggetto sociale e culturale dotato di una sua specificità», e pur offrendole «opportunità» di crescita umana, la rende anche vittima di condizionamenti, di negligenze, di deprivazioni, di violenze di «vecchie e nuove povertà». Milioni di bambini, come risulta dai recenti rapporti UNICEF e di quelli del Centro Nazionale di documentazione e di analisi per l’i. e l’adolescenzaIstituto degli Innocenti», Firenze), sono ancora «esclusi e invisibili», malnutriti, privi di un’identità ufficiale, delle attenzioni dei genitori, fruttati, abusati e vittime della guerra.

4. È pertanto indispensabile prestare una maggiore attenzione alle condizioni esistenziali, alle attese, alle promesse e al significato vitale dell’i., che non può essere tradita né dall’esaltazione astorica e idilliaca di questa «età dell’oro» né dalle logiche del consumismo, del conformismo e dell’adultismo o dalle perduranti forme di precocismo e nella scuola da un programmismo sterile ed ambizioso e quindi incapace di consentire ad ogni bambino di essere tale, di apprendere ad apprendere e di vivere gioiosamente la sua vita.

Bibliografia

Mencarelli M.,​​ I. progetto pedagogico, Brescia, La Scuola, 1987; Cuccurullo R. et al.,​​ I. e «luoghi» educativi, Roma, Euroma-La Goliardica, 2002; Paparella N.,​​ Pedagogia dell’i., Roma, Armando, 2005; Pati L.,​​ I. violata e solidarietà sociale, Milano, Isu Università Cattolica, 2006; Moro A. C.,​​ Una nuova cultura dell’i. e dell’adolescenza, Milano, Angeli, 2006; Limone P. (Ed.),​​ L’accoglienza del bambino nella città globale, Roma, Armando, 2007.

S. S. Macchietti