POLITICA
1. Potere politico e → formazione. Vi è connessione tra esercizio del potere politico e processo educativo. L’azione p. implica necessariamente una concezione dell’uomo e della società (eguaglianza e perequazione sociale, tolleranza e pacifica convivenza, p. culturale e difesa delle minoranze, ecc.). La formazione non può sfuggire a quei modelli politici con cui nella prassi deve misurarsi (assetto istituzionale, distribuzione del potere, ripartizione dei ruoli, ecc.). Da una parte l’esercizio del potere comporta scelte di indirizzo e di intervento, con conseguente incremento ad una cultura della p. che è anche ricerca e formazione Dall’altra il conseguimento di un’istruzione superiore o di nozioni speciali si configura come una condizione primaria, tale da permettere la strada al successo e a vere e proprie posizioni di potere. Politologi e attori politici svolgono ruoli concettualmente distinti, tuttavia non separabili, talora assommati in una stessa persona se questa appartiene ad uno schieramento politico. Infatti la p. è arte e scienza: arte come tecnica, tattica e prudenza insieme; scienza come elaborazione di strutture conoscitive. Da → Socrate in poi, gli aspetti politici dell’educazione vengono messi in risalto sotto questo o quel profilo. Per → Platone vi è coincidenza tra formazione dei filosofi e formazione dei reggitori della polis. Nella storia occidentale, con l’avvento del concetto di societas, i grandi movimenti politici sono stati preceduti, accompagnati o seguiti dalla fondazione di istituzioni educative. Circa gli studiosi del nesso tra p. e educazione possiamo partire da J. Locke e → Rousseau, per giungere a W. von Humboldt e J. S. Mill e terminare con i più vicini ai problemi del nostro tempo: da M. Weber a M. Horkheimer, J. → Maritain e J. Rawls. L’idea di p. come vocazione, l’umanesimo integrale e il neocontrattualismo uniscono e distinguono p., formazione e giustizia. Ugualmente la teoria critica non mirava al puro aumento del sapere, bensì all’emancipazione dell’uomo. Ulteriori contributi sono ricavabili tuttora dalla riflessione di → Gramsci sul nesso tra azione educativa e prassi p. L’esercizio del potere può assumere due aspetti nei riguardi dell’universo educativo. Si può parlare di una p. educante oppure di una p. educativa. Nel primo caso, la p. stessa, in quanto ordinamento della società secondo un orientamento valoriale, pone le premesse dell’educazione, intesa come iniziazione etica e civile. È in una società, e più precisamente entro istituzioni giuste, che un soggetto esistente diviene soggetto responsabile, consapevole, storico. Ciò che è accidentale o precario è elemento costitutivo delle singole realtà, problematiche per natura e definizione rispetto a determinati obiettivi da spostare sempre più avanti e in vista di valori perennemente da realizzare. La p. esercita una sua funzione educante proprio perché indirizzata, con forte realismo, nelle sue espressioni più nobili, verso quei fini che, per largo consenso, sono fondamentali per ogni assetto sociale: libertà, razionalità, democrazia, uguaglianza, sicurezza, progresso, solidarietà. Tuttavia l’indagine circa i risultati deve essere avalutativa, ossia imparziale e oggettiva a prescindere dai motivi ideali a cui si sono richiamati gli attori politici. L’Occidente del secondo dopoguerra, nei casi felici della ricostruzione e della pace, ha mostrato la tendenza verso una paideia fatta, come dev’essere, di cultura (coltivazione e tutela di beni artistici e scientifici) e di civiltà (ordinamento razionale delle istituzioni, sulla base dei diritti dell’uomo e del cittadino). Ora, la connessione tra p. e educazione non è mai un punto di partenza, bensì una meta perenne. Finanche le situazioni migliori possibili presentano punti di frizione. Se poi guardiamo ad archi di tempo secolari, se non addirittura millenari, scorgiamo non poche fratture tra esercizio del potere e disegno ordinato della società. La classe p., in ogni epoca, mira a interessi politici. Entro questa prospettiva la formazione, la cultura, la scienza possono essere strumentalizzate per il potere o a favore dell’immagine di chi lo detiene. Il mecenatismo è prodigo di benefici per poche persone ed ignora il rimanente della società. L’assolutismo illuminato si ispira alla ragione che, in primo luogo, è ragione di Stato. Il tiranno che erige monumenti perenni, a testimonianza della propria gloria, opprime chi non si piega ai suoi voleri. Ogni forma di protezionismo culturale e formativo, a favore di individui o di ceti privilegiati, tende alla egemonia e alla censura. Se la cultura ufficiale, in nome di un ugualitarismo di facciata, è omologata, vengono ostacolate la irriducibilità e singolarità di ciascuna persona e ogni forma di creatività individuale o collettiva. La p. educativa, almeno così come viene intesa comunemente in senso riduttivo, si occupa di quelle particolari istituzioni sociali che, insieme a vari apparati di supporto, hanno per scopo l’istruzione di vario livello ed indirizzo. Se non sono accettabili, per nessun campo politico, l’improvvisazione e il dilettantismo, tanto più questa affermazione vale per coloro che gestiscono strutture e risorse per la formazione delle coscienze. Sono facilmente prevedibili effetti perversi, a danno di intere generazioni, quando gli attori politici sono impreparati e quando vi sono contraddizioni tra successive gestioni. Per ogni caso ed ogni situazione l’impatto dottrinale o ideologico è indubbio, se non addirittura funzionale. Però va colto esso stesso come oggetto d’indagine per i segnali che fornisce e le conseguenze che provoca. Inoltre tutte le iniziative politiche cadono su realtà dinamicamente complesse, rese tali dai rapporti di forza esistenti tra ceti e gruppi sociali che esprimono interessi e aspettative più o meno maturi e livelli culturali di base più o meno elevati. Per queste ed altre ragioni non esistono istituzioni e modelli educativi trasferibili da una situazione nazionale all’altra, anche se si possono costruire criteri e paradigmi per valutare differenti situazioni e confrontarle. Un discorso parallelo, integrativo e complementare a quello della p. educativa è quello sulla → educazione sociopolitica. Con quest’ultima espressione ci riferiamo sia alla maturazione dei cittadini in quanto tali sia ad una vera e propria materia scolastica. Uno dei fini dell’educazione, considerata sotto questo profilo, è la formazione dei soggetti e dei gruppi sociali alla cultura p., fatta di concettualizzazione e di determinate conoscenze. Si possono avere opinioni diverse, o anche diametralmente opposte, circa i medesimi fatti o eventi politici. Però le regole del discorso devono essere uguali per tutti perché universali e le regole del gioco devono essere rispettate da tutti perché pattuite. La conoscenza di ciò che è negativo in una determinata situazione non è lo scopo ultimo dell’educazione sociopolitica; occorre anche sapere perché si ritiene negativo questo o quello. Se è inammissibile una pedagogia di Stato, è altrettanto illecito che la classe p. contraddica con i suoi interventi le linee di sviluppo, scientificamente fondate, dell’azione educativa. Di qui la necessità di definire i compiti degli attori politici nel campo della formazione. Non occorre che costoro siano esperti di pedagogia: è necessaria la consapevolezza da parte loro dei rapporti tra scopi e scelte, tra scelte e risultati, tra risultati e successivi interventi in un campo specifico dell’azione p. Neppure si chiede che dirigenti scolastici e insegnanti siano scienziati della p. per il fatto di svolgere una funzione pubblica che, in quanto tale, ha rilevanza p. Si chiede però che siano consapevoli di tale rilevanza. I problemi della scuola rimangono velleitari se vengono ignorate quelle premesse politiche che sole permettono di affrontarli.
2. La scienza p. dell’educazione. La scienza p. dell’educazione rappresenta un netto progresso rispetto alla p. educativa, genericamente intesa. Essa studia la funzione educativa degli atti politici e i risvolti politici dei fenomeni educativi. È una disciplina applicata a quelle istituzioni e a quegli interventi che possono favorire per tutti i cittadini la migliore educazione possibile. Pertanto per scienza p. dell’educazione si intende l’insieme ordinato di dottrine e teorie che regolano sia le scelte di grande rilievo (programmazione, riforme, investimenti, ecc.) sia i provvedimenti concreti (organizzazione, gestione, dirigenza delle scuole, ecc.) per l’educazione dei singoli e l’elevazione culturale dei gruppi sociali. Essa è una specializzazione della scienza p. generale. Con l’espressione onnicomprensiva volontà p. possiamo denominare sia l’imperio della classe p. sia l’influenza della classe dominante sulle istituzioni formative, scolastiche ed extrascolastiche. La classe p. è composta dalle persone collocate in sedi politiche (parlamento, governo, partiti politici). La classe dominante è composta da coloro che, pur non ricoprendo cariche politiche, esercitano le loro attività entro istituzioni non-politiche ma con indubbi riflessi politici (grande finanza, industria culturale, ordini professionali, corpi accademici, centri di informazione, ecc.). Possiamo usare l’espressione valenza p. per denotare gli aspetti politici dell’educazione, per quanto riguarda sia gli educatori (esercizio di un’autorità legittimata da determinati principi e regolata da una legislazione speciale), sia gli educandi (arricchimento delle loro capacità e abilità con conseguente arricchimento della loro personale forza contrattuale; riconoscimento del loro status di studenti con diritti di partecipazione e integrazione; flessibilità dei piani di studio con «crediti» e opzioni). Il diritto all’educazione, in tutte le sue forme, è il riconoscimento globale di questi aspetti politici dell’educazione. Nei Paesi di consolidata tradizione democratica la formazione tende ad emancipare le persone e ad esaltarne le caratteristiche. Di qui lo spazio concesso a percorsi mobili (uscite e rientri, curricoli individualizzati, sistema dei crediti, ecc.). Nei Paesi del socialismo reale, fino alla fine degli anni Ottanta, gli interessi individuali erano subordinati a quelli collettivi. Di qui una stretta correlazione tra programmazione educativa e pianificazione economica. Per comprendere la varietà dei modelli e delle strutture occorre rifarsi a ragioni storico-politiche.
3. Prospettive di sviluppo. Lo scopo della scienza p., nella mente dei suoi fondatori, consiste nella scoperta e dimostrazione di quelle leggi o tendenze costanti che regolano l’ordinamento politico (Mosca, 1895). La sua natura, oltre che teorica, è operativa. La scienza p. dell’educazione, un suo settore tendenzialmente autonomo, ne condivide la vocazione pragmatica (Izzo, 1994). Dalla scienza p. generale essa acquisisce l’approccio sistemico a particolari aspetti della realtà sociale. Pertanto essa prende l’avvio dai temi di fondo: i rapporti di potere, la formazione delle decisioni, la legittimità delle leggi, la legalità delle norme, la discrezionalità degli atti. Riprende anche alcune distinzioni categoriali, quali consenso, assenso e dissenso; classe p., dominante e dirigente; potere, autorità e dominio, ecc. Sotto questo profilo si arricchiscono di significato e divengono comprensibili alcune espressioni pedagogiche, come educazione compensatrice, pari opportunità, libertà didattica, ecc. Gli studi sulla p. educativa, condotti fino a farne una scienza, sono stati incrementati dallo Stato sociale e dalla conseguente evoluzione delle politiche sociali. Per comprendere il passaggio da condotte empiriche ai fondamenti di una vera e propria scienza p. dell’educazione, si può partire da una classificazione che di recente si è andata precisando nel campo della politologia. È ufficio della p. generale (politics) gestire interventi ordinari e affrontare eventi straordinari. Alle singole condotte politiche (policies) spetta garantire unitarietà d’indirizzo e di programmazione nei singoli settori specifici (difesa, interni, esteri, ecc.), con buone approssimazioni circa gli effetti prevedibili. Però è da preventivare anche l’imprevedibile, giacché non è sopprimibile ogni elemento di accidentalità o di disordine. Ciò che è precario costituisce elemento costitutivo dell’esperienza sociale e p. Per quanto concerne la realtà educativa, va detto che essa è fatta di persone consapevoli, ciascuna a sua misura, dei propri bisogni. Rimangono inavvertite spesso le reali necessità. Lo scopo politico è quello di sollecitare nelle persone la coscienza dei propri bisogni reali e di elevare i livelli delle loro aspettative, mediante interventi coordinati di natura sociale. Rispondere soltanto a domande esplicite, ancorché arretrate, significa consolidare l’esistente. L’educazione rientra nelle materie delle social policies (insieme all’assistenza, alla sanità, alla previdenza sociale, ecc.), dando luogo appunto alla cosiddetta educational policy. Con quest’ultima espressione non si intende «p. educativa» nel senso comune (l’opera dei ministri o degli amministratori), bensì condotta p., basata scientificamente, a proposito di ciò che è «educazionale». E per educazionale si intende la somma degli interventi o dei provvedimenti che, pur non essendo direttamente educativi (per es., la valutazione della «produttività» scolastica), promuovono l’azione educativa in ogni sua espressione. Fondare o gestire razionalmente le istituzioni formative sono atti squisitamente politici. La razionalità delle istituzioni lascia campo all’attività professionale dei dirigenti e dei docenti. La p. educazionale non detta precettistiche pedagogiche. Designa e assegna ruoli (attori politici, funzionari amministrativi, esperti, e via di seguito). Ogni policy ha un’importanza equivalente rispetto a tutte le altre. Tuttavia la educational policy, a giusto titolo, può essere considerata preminente e prioritaria perché permette al cittadino di fruire al meglio dei servizi erogati da tutte le altre condotte politiche. Questa affermazione è convalidata da una recente teoria circa la massimizzazione dei fini. I fini delle varie condotte politiche sono molteplici e, oltre certi livelli di incremento, divengono tra loro contraddittori. Per es., «i processi sociali congruenti con la massimizzazione del valore di sicurezza non sono necessariamente adeguati anche come strumenti per la realizzazione del valore di libertà o di uguaglianza» (Fisichella, 1994, 52). Fanno eccezione i fini educativi, che non presentano alcuna contraddizione con nessun altro fine sociale, ma addirittura, quando sono perseguiti nel modo migliore possibile, permettono di regolare e valutare tutti i fini sociali.
Bibliografia
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D. Izzo