PRUDENZA

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PRUDENZA

Si chiama in causa il termine p. nella misura in cui la pedagogia e la sua storia vi fanno riferimento. Tanto più che sembra in atto un volenteroso ricupero del sistema delle​​ ​​ virtù e con esse della p. [1].

1. Né il tema, né le sue variazioni possono passare per specificamente cristiani. Allorché Ambrogio nel suo​​ De officiis​​ (I, 24; I, 27) propone come​​ cardinali​​ le​​ virtù primarie​​ della riflessione stoica, lo fa ispirandosi al modello ciceroniano. Il ricupero di Macrobio lungo il sec. XII ha fornito al sistema nuovi assetti, riesumandone le remote ascendenze platoniche e stoiche [2]. I libri IX e X dell’imponente​​ Speculum universale​​ di Randolfo Ardens rappresentano di cotali tradizioni la più esuberante rivalutazione. P., giustizia, fortezza e temperanza, sono, con la fede, virtù​​ discretivae,​​ diverse dalle virtù​​ oditivae​​ e da quelle​​ contemplativae.​​ Come tale la p. resta pericolosamente sostanziata di conoscenza:​​ memoria,​​ dispositio​​ e​​ providentia​​ sono le sue parti, e la​​ sapientia,​​ la​​ intelligentia​​ e la​​ scientia,​​ le sue specie. È ancora virtù morale? [3]. Anche Alberto Magno, prima di leggere​​ ​​ Aristotele, fa della p. una virtù discretiva e ne riassume la dinamica nei termini adusti del sillogismo:​​ «Omne bonum est faciendum. Sed hoc est bonum. Ergo est faciendum»​​ [4]. Certo esso esprime discrezione sentenziale; ma come farne un esercizio di virtù morale?

2. L’acquisizione, lungo il sec. XIII, dell’Etica​​ Nicomachea​​ di Aristotele [5] reca meticolosa precisione semantica e inedite ispirazioni. Lo studio della virtù comincia con il c. 13 del L. I, in cui il filosofo avverte che, essendo la virtù qualità dell’anima, non si può dirne adeguatamente senza prima conoscere quella. Orbene l’anima ha costituzione complessa. In parte è razionale e in parte no; e la quota irrazionale è in parte principio di passioni, voglie e suscettibilità, e in parte fermento di mero metabolismo. Ora è ovvio che mentre quest’ultima quota risulta radicalmente indisponibile, l’altra, per la complessiva sostanziale contiguità con la parte razionale, non può non riuscire suscettibile di discrezione: tra l’eccesso e il difetto può essere di caso in caso ricondotta alla misura espediente. L’appetito è disciplinabile, e la p. ne è la disciplina [6].​​ ​​ Tommaso d’Aquino dispone di Aristotele fin dagli esordii del proprio impegno, però nel suo tacito ma sicuro itinerare non può non esprimere assestamenti differenziati [7]. Convenzionalmente si accredita alla​​ Summa theologiae​​ la decantazione definitiva. Per quel che immediatamente ci interessa, mentre proprio l’Etica Nicomachea​​ ricusa all’anima umana ogni sopravvivenza, Tommaso ne sostiene pervicacemente l’assoluto buon diritto, integrando, nella virtualità di un unico principio, le​​ parti​​ cui Aristotele accredita certa rilevanza; intelligenza compresa. Unica​​ forma​​ del sinolo umano, l’anima, immateriale, concorre dialetticamente, in unità sostanziale, con la potenzialità erosiva della​​ materia.​​ Gli è che l’uomo non sussiste come valore assoluto, ma si realizza, frantumato e disperso, in tempo e spazio, nella molteplicità del numero. Della specie, per ciò stesso, il singolo è come uno scarto, o come tecnicamente si dice, una parte soggettiva. E ciò sia per l’essere, sia conseguentemente per l’agire: a nessun singolo il mestiere d’uomo può riuscire pervio per natura (Ia IIae, q. LXIII, a. 1; IIa IIae, q. LXVII, a. 15). I suoi dinamismi restano, tutti e ciascuno, un avvio avventurato; costituiranno promettente espressione solo se concorrenti in indole e misura. Disciplinare le propensioni è però, della p., compito preliminare (IIa IIae, q. XLVII, a. 6); non può di fatto esaurirne l’impegno. Ponderata, infatti, in funzione della esecuzione espediente, la disciplina in parola deve consecutivamente sostenere codesta promessa fino ad esecuzione consumata: «Prudentia est recta ratio agibilium, unde oportet quod ille sit praecipuus actus prudentiae qui est praecipuus actus rationis agibilium.​​ Cuius quidem sunt tres actus. Quorum primus est consiliari, quod pertinet ad inventionem, nam consiliari est quaerere. Secundus actus est iudicare de inventis; et hic sistit speculativa ratio. Sed practica ratio, quae ordinatur ad opus, procedit ulterius, et est tertius actus eius praecipere. Qui quidem actus consistit in applicatione consiliatorum et iudicatorum ad operandum; et quia iste actus est propinquior fini rationis practicae, unde est quod iste est principalis actus rationis practicae et per consequens prudentiae»​​ (IIa IIae, q. XLVII, a. 8).

3. L’idea d’una virtù che cavalca le propensioni, onde imporre ad esse misura, e definitiva rettitudine alla loro complessiva concorrenza nell’esercizio terminale che insieme esprimono, non è di facile assimilazione [8]. Così la p. di invenzione tomistica cede tosto l’onore della successiva cronistoria ad accezioni meno intrepide e sicuramente arruffate; quella dantesca ad es.: «Bene si pone p., cioè senno, per molti essere morale virtù; ma Aristotele dinumera quella intra le intellettuali, avvegnaché​​ essa sia conduttrice delle morali virtù e mostri la via per che elle si compongono e senza quella essere non possono» (Conv.​​ IV,17). Nella sua originale elaborazione, la p., per quanto ardua, costituisce alea indeclinabile per chi vuol correre con qualche degna speranza l’avventura umana [9]. Una straordinaria provocazione per ogni pedagogia. Vi si trova, questa, sollecitata e ad attenzioni assolutamente personalizzate, vista la perentoria originalità d’ogni singolo, e a inesauste persistenti cure, vista la fatale estenuazione del suo beneficiario tra nascita e morte.

Bibliografia

[1] Nelson D. M.,​​ The priority of prudence. Virtue and natural law in Thomas Aquinas and the​​ implications for modem ethics,​​ Park, 1992; [2] Lapidge M., «The stoic inheritance» (in​​ A history of Twelft-Century western philosophy,​​ Ed. P. Dronke), Cambridge, 1988; [3]​​ Grundel J.,​​ Die Lehre des Randulfus Ardens der Verstandestugenden auf dem Hintergrund seiner Seelenlehre,​​ München,​​ 1976; [4] Payer P. J.,​​ Prudence and the principles of natural law. A medieval development​​ (in «Speculum» LIV, 1979, 55-70); [5] Gauthier R. A., «Ethica Nicomachea» (in​​ Aristoteles Latinus,​​ 26, 1-3, vol.​​ I:​​ Praefatio),​​ Leiden, 1974; [6] Westberg D.,​​ Right practical reason. Aristotle,​​ action,​​ and prudence in Aquinas,​​ Oxford, 1994; [7] Abbà G.,​​ Lex et virtus.​​ Studi sull’evoluzione della dottrina morale di S. Tommaso d’Aquino,​​ Roma, 1983; [8] Pinckaers S., in «Bulletin Thomiste» IX, 1955, 345-362; [9] Buehler W. J.,​​ The rote of prudence in education,​​ Washington, 1950.

P. T. Stella