STATO SOCIALE

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STATO SOCIALE

All’origine dello S.s. stanno il proposito e il progetto di attuare una democrazia integrale, non solo politica ma anche sociale ed economica. Con esso si voleva dare un contenuto pieno e reale ai diritti politici col realizzare anche i diritti sociali, quali ad es. il diritto al lavoro, il diritto di tutela dei bambini, dei giovani e delle operaie, il diritto di orientamento e di formazione professionale, il diritto di associazione, di tutela della salute, il diritto alla casa, alla sufficienza, alla sicurezza sociale. E ciò, non prescindendo dallo S., bensì mediante esso, facendolo​​ sussidiariamente​​ coordinatore delle iniziative dei singoli e dei gruppi, gestore di forme universalizzate di assistenza, programmatore dell’economia nella sua globalità (non nella sua totalità!) e, talora, quando necessario al bene comune, imprenditore in settori chiave.

1. Lo S.s., così come codificato in parecchie Carte costituzionali contemporanee, è stato immaginato culturalmente ed ideologicamente sostanziato da un’impostazione personalista comunitaria e solidarista.​​ In altre parole, è stato concepito come un​​ posterius​​ rispetto alla persona e ai suoi diritti e doveri, alle società minori, ovvero come espressione ed istituzione delle persone e delle società che lo precedono, come essenzialmente funzionale ad esse. E, inoltre, come​​ comunione solidale,​​ come​​ vita democratica​​ organica ed articolata a livello nazionale, regionale e locale. È, per conseguenza, intrinseco all’idealità dello S.s. l’intento di superare le forme statuali autoritarie, assolutistiche ed etiche in senso hegeliano.

2. Per ottenere una democrazia completa, quale espressione coessenziale di una società che vuole essere autenticamente umana ed umanizzatrice, si prevedono allora, tra lo S. e la società, tra le istituzioni pubbliche e i cittadini, corpi intermedi di rappresentanza e di partecipazione, quali ad es. i sindacati e i partiti. Il​​ decentramento​​ alle regioni è architettato non per favorire logiche regionalistiche o municipalistiche, ma per incentivare una responsabile e matura autopromozione democratica della base sociale, sempre però all’interno di una politica generale nazionale. Lo stesso​​ pluralismo sociale​​ è voluto e giustificato quale insieme di energie necessarie ad un più adeguato autosviluppo umano, sociale, civile, sanamente autonomo, oltre che, ovviamente, per una più ricca e consistente promozione del bene comune.

3. Col tempo, però, l’idealità dello S.s., viene offuscata e deformata da alcune sue realizzazioni concrete, specie da quella rappresentata dallo S.​​ assistenziale,​​ che ha finito per prevalere nel mondo occidentale. Lo S. assistenziale, se da una parte è riuscito, con un più allargato intervento statale, a porre rimedio a tante forme di povertà e di privazioni indegne della persona umana, dall’altra ha mostrato sempre più evidenti eccessi ed abusi, disfunzioni e difetti. In particolare: a) l’eccesso di intervento, che più di una volta giunge, contrariamente al principio di sussidiarietà, a sostituirsi ai vari soggetti sociali e alle loro reti di solidarietà primaria o gratuita, assistenzializzandoli, deresponsabilizzandoli, emarginandoli; b) l’accentramento esagerato di molti servizi sociali con conseguente aumento degli apparati pubblici, con enorme crescita delle spese, con erogazione di prestazioni dominata da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti; c) la perdita di molte energie umane, che vengono misconosciute o anche scoraggiate; d) l’instaurazione nelle prestazioni di​​ welfare​​ di un sistema​​ particolaristico-clientelare,​​ ad uso dei partiti, per ottenere consenso elettorale; e) la politica sociale praticata quale semplice predicato dello sviluppo economico; f) l’etica di solidarietà mutata in etica neocorporativistica, individualistica; g) i corpi intermedi di rappresentanza e di partecipazione trasformati in sistemi autoreferenziali, lontani dal loro ruolo di canali collettori di una domanda sociale da armonizzare con le esigenze del bene comune; h) politiche economiche assistenzialistiche; i) presenza sproporzionata di imprese pubbliche, che anziché favorire il capitale privato gli lasciano spazi sempre più ristretti.

4. Quale via di uscita? La ristrutturazione dello S.s. sembra non possa avvenire – a meno che non si voglia regredire – solo lungo la linea della​​ riorganizzazione​​ o del rafforzamento del polo dello S. e del pubblico, tramite riforme istituzionali, politiche e sociali che garantiscono prestazioni più mirate, migliori condizioni materiali e, nello stesso tempo, adeguata produzione di risorse economiche. In tal modo si accrescerebbero i difetti delle burocrazie pletoriche, dell’accentramento gestionale della solidarietà, si userebbe ancora un codice simbolico, politico, istituzionale, non valorizzando la famiglia, i vari gruppi primari, secondari e di​​ privato sociale.​​ Ma nemmeno lungo la linea della destrutturazione totale degli apparati del​​ welfare​​ o della liberalizzazione del mercato, perché si darebbe sfogo a modelli di relazioni mercantili che, come è risaputo, non vengono spontaneamente incontro ai bisogni spirituali e culturali delle persone, tantomeno ai bisogni di una società assetata di una migliore​​ qualità della vita.

5. Sembra che la soluzione più pertinente alla crisi strutturale e culturale dello S. assistenzialistico vada trovata lungo la via dell’istituzionalizzazione di un nuovo​​ complesso della cittadinanza,​​ diversificata secondo forme molteplici (politica, economica, sociale, di​​ privato sociale),​​ basata su una​​ ​​ solidarietà anch’essa concepita in un modo più differenziato, quale valore universale e particolare, valido per tutte le​​ sfere​​ sociali. La solidarietà​​ pubblica​​ è​​ una​​ forma della solidarietà. Essa può sussistere, se è mantenuta in vita ed è accresciuta, suo mediante, la solidarietà di base, primaria, secondaria, di​​ terzo settore,​​ rispetto alla quale ha funzione di integrazione e di aiuto. Secondo queste prospettive, la soluzione alla crisi dello S. assistenziale non si dovrebbe allora realizzare tramite un processo di pura inclusione o statalizzazione della solidarietà primaria, secondaria e di terzo settore, oppure tramite l’emarginazione o il depotenziamento di questa, ma riconoscendone l’autonomia, sostenendola, raccordandosi con essa, anche con sistemi di​​ mix,​​ per meglio rispondere a tutti i bisogni fondamentali della persona umana.

Bibliografia

Rosanvallon P.,​​ La nouvelle question sociale. Repenser l’État,​​ Paris, Seuil,​​ 1995; Donati P.,​​ Teoria relazionale della società,​​ Milano, Angeli, 1994; Id. (Ed.),​​ Lo S.s. in Italia. Bilanci e prospettive, Milano, Mondadori, 1999; Toso M.,​​ Welfare society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici,​​ Roma, LAS, ²2003.

M. Toso