RELIGIONE: insegnamento della
Designa la disciplina scolastica e la corrispondente attività didattica, che, nei sistemi educativi pubblici, ha per oggetto materiale lo studio del fatto religioso nella sua dimensione e valenza culturale, e per obiettivo formale la formazione cognitiva, critica ed etica dell’alunno in quanto persona e cittadino. Invece nelle scuole cattoliche la proposta religiosa conserva anche il carattere di una iniziazione ai contenuti della tradizione religiosa di appartenenza.
1. Premesse. L’insegnamento della r. (i.r.), pur con legittimazioni e identità disciplinari variabili da paese a paese, è parte integrante dell’organico delle materie di studio nella quasi totalità dei sistemi scolastici occidentali. Nell’ultimo trentennio l’i.r. ha assunto progressivamente un profilo scolastico specifico che lo distingue sia dalla → catechesi ecclesiale propriamente detta, come anche dalla più generica → educazione religiosa. Tale profilo scolastico, tuttavia, è lungi dal presentarsi con caratteri uniformi e univoci nelle varie aree culturali e nei diversi sistemi scolastici nazionali. Ogni Paese infatti, stando anche solo all’interno dell’area occidentale, ha una sua configurazione culturale segnata dal prevalere storico dell’una o dell’altra confessione, da determinati assetti di rapporto Stato-Chiesa e Chiesa-scuola, da una propria tipologia di leggi e istituzioni scolastiche (pubbliche, confessionali, miste, a gestione statale o regionale o locale), per cui risulta assai improbabile, almeno a breve termine, un’armonizzazione dei diversi profili disciplinari di i.r. ereditati dalla tradizione. La stessa denominazione della disciplina risente inevitabilmente delle peculiarità semantiche e confessionali di ciascuna area linguistica: Religionsunterricht (Germania, Austria, Svizzera tedesca), Culture religieuse o Enseignement du fait religieux (Francia, dove Enseignement religieux sopravvive solo come sinonimo di catechesi), Cours de religion, éthique non confessionnelle (Belgio), Instruction religieuse (Lussemburgo), Levensbeschouwing, o educazione alle visioni della vita (Olanda), Enseñanza religiosa escolar (Spagna), Ensino de moral e religion catolica (Portogallo), Religious education o Multifaith education o ancora Teaching on Religion (Regno Unito), Religious instruction (Irlanda), Religious instruction and education (Malta)… In casi particolari, in area tedesca, si parla di Bibelunterricht, di Ethikunterricht, di LER (= studio dei problemi della vita, dell’etica e della r.). Nell’area dei Paesi europei post-comunisti le situazioni sono manifestamente ancora più fluide e frammentate, per ragioni che attengono al riassetto giuridico ancor recente delle libertà di r., al diverso posizionarsi delle Chiese orientali con lo Stato e la società civile, alla insufficiente (sinora) distinzione tra iniziazione religiosa intraecclesiale e i.r. nello spazio laico e democratico della scuola pubblica.
2. Legittimazione. Quali motivi vengono addotti oggi – dalle leggi di riforma scolastica, dalle nuove normative concordatarie, dai programmi ufficiali di r. – per giustificare l’i.r. nella scuola pubblica gestita dallo Stato? La → scuola pubblica è oggi l’agenzia educativa di cui la società pluralistica si serve come luogo di elaborazione critica e sistematica della cultura, quella religiosa non esclusa, in vista della formazione umana e civile della personalità attraverso quel canale, non unico ma privilegiato, che è 1’ → istruzione. In coerenza con questo ruolo prioritariamente cognitivo-critico della scuola, e tenuto conto dei crescenti tassi di multiculturalità delle odierne società, l’i.r. non potrà fondarsi sulla sola legittimazione teologico-pastorale (cioè come momento e strumento dell’attività missionaria delle chiese), meno ancora su presupposti di tipo ideologico (per es., la r. vista come «fondamento e coronamento dell’istruzione scolastica» del vecchio sistema italiano), o di tipo politico-diplomatico (come nel caso di una particolare confessione cristiana che funge da r. di Stato), ma si fonda sempre più diffusamente su una legittimazione pedagogico-scolastica, che fa perno normalmente su una serie di argomentazioni come queste: a) dal punto di vista storico-culturale, se la r. (in particolare, in Europa, il cristianesimo) è un dato di fatto nella storia e nel presente al punto da costituire parte integrante – anzi, una delle «radici» – del patrimonio culturale occidentale, la scuola deve rendere possibile a tutti gli alunni una trattazione storica, critica, minimamente sistematica, di questo fatto religioso; b) dal punto di vista antropologico, se è proprio dell’uomo interrogarsi sul senso fondamentale della vita e se la r. tenta di dare risposte coerenti a tale ricerca, la scuola aiuta i giovani a crescere abilitandoli a porsi correttamente il problema religioso e a misurarsi criticamente con le risposte provenienti dalle tradizioni religiose e da altri sistemi di significato non religiosi; c) dal punto di vista educativo-scolastico, se la scuola ambisce a formare l’uomo nell’integralità delle sue dimensioni e in particolare intende educare la capacità di giudizio critico e di decisione responsabile, essa non può ignorare il ruolo che la r. ha svolto nel promuovere storicamente tali diritti umani e offre agli alunni quella competenza religiosa ed etica che contribuisce a darsi una capacità di giudizio e di scelta, per situarsi criticamente e costruttivamente nella società, per smascherare i falsi assoluti, per opporsi ad ogni uso strumentale della persona; d) dal punto di vista giuridico-istituzionale se lo Stato riconosce e garantisce il diritto alla cultura di tutti i cittadini senza discriminazione, e se la cultura religiosa è riconosciuta oggettivamente – per contenuti di sapere e per valori etici che può veicolare – una parte irrinunciabile e qualificante della cultura umana, lo Stato dovrà regolare giuridicamente anche l’insegnamento della cultura religiosa nella sua scuola, e conseguentemente, tale insegnamento dovrà disporre di condizioni paritarie a quelle riservate alle altre discipline dell’ordinamento scolastico. A questa legittimazione scolastica, per cui l’i.r. è sollecitato come componente intrinseca della scuola, non contraddice né la corresponsabilità delle chiese assai spesso coinvolte con lo Stato nel gestire l’attività didattica, né l’esigenza di confessionalità dei contenuti materiali dell’insegnamento stesso, come nel caso di un i.r. disciplinato da normativa concordataria. L’aggancio immancabile dell’i.r. – del suo insegnante come dei suoi alunni – ad una concreta tradizione confessionale può risultare anzi un’opportuna misura di trasparenza oltre che di realismo didattico. Tuttavia le condizioni di crescente pluralismo religioso nelle attuali società obbligano ormai ogni progetto di i.r. non solo ad aprirsi ad obiettivi educativi di dialogo ecumenico, ma a confrontarsi costruttivamente con le r. non cristiane, con altre filosofie di vita.
3. Profilo giuridico e disciplinare dell’i.r. cattolica in Italia. La revisione concordataria (18 febbraio 1984) e l’Intesa tra il Ministro PI e il Presidente della CEI (14 dicembre 1985) hanno consegnato alla scuola italiana una figura relativamente inedita della r. come disciplina scolastica. Essa viene legittimata in base alla riconosciuta rilevanza culturale del cristianesimo nella storia e nel costume del popolo italiano. Come disciplina scolastica si colloca «nel quadro delle finalità della scuola», va impartita «in conformità alla dottrina della chiesa cattolica» e «nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori» (art. 9.2 dell’Accordo). È disciplina istituzionalmente curricolare, in quanto contribuisce a determinare il normale quadro orario settimanale delle lezioni, ma è al tempo stesso soggettivamente facoltativa, sia perché è fruibile per libera scelta annuale espressa dai genitori o dallo studente, sia perché pone l’alunno che non se ne avvale nello «stato di non obbligo» a seguire corsi scolastici alternativi. È disciplina confessionale quanto ai contenuti materiali (afferenti al cristianesimo cattolico e alla sua visione delle altre r.) e quanto all’insegnante titolare (dichiarato idoneo dall’autorità ecclesiastica), ma non è confessionale quanto agli obiettivi educativi (l’i.r. contribuisce infatti, secondo i programmi ufficiali, a «formare l’uomo e il cittadino»), né quanto alla composizione della classe essendo l’i.r. aperto a tutte le tipologie di alunni (cattolici e non, praticanti e non, alunni in ricerca, ecc.). I contenuti culturali suggeriti dai programmi di i.r. (1987, rielaborati nel 2002), pur facendo perno sul fatto cristiano e sulla sua interpretazione teologica (lo stesso nucleo centrale del cristianesimo è riproposto infatti nei due cicli scolastici con dimensioni e accenti proporzionati alle età) appartengono a una mappa di aree molto più vasta di quella strettamente dogmatica: attingono dall’area antropologica, storica, linguistica, etica oltre che dall’area biblico-teologica. La struttura di tali contenuti, enunciati in modo poco più che allusivo sotto forma di OA (= obiettivi di apprendimento), adotta un’articolazione che non è più quella della sistematica teologica o catechistica, ma non è nemmeno ancora quella propriamente didattica, che resta da costruire prima in sede di libri di testo e ulteriormente nella programmazione didattica locale. La figura dell’insegnante di r. è inquadrata da tratti che ha in comune con gli altri insegnanti del sistema pubblico, specialmente dopo gli esami di concorso e l’immissione in ruolo della categoria (2004), e da tratti specifici, talora problematici, quali il giudizio di idoneità e i titoli di qualificazione professionale, definiti dall’Intesa 1985 tra Ministero PI e CEI.
4. Identità degli i.r. in Europa. All’interno di ciascun sistema nazionale l’istruzione religiosa scolastica è entrata in questi anni in stato di fibrillazione assai generalizzata, sia per il mutevole atteggiamento culturale nei confronti del religioso da parte della società in generale e degli alunni in particolare, sia per gli assestamenti provocati un po’ ovunque dalle riforme scolastiche in corso, sia per l’evolversi inquieto dei rapporti istituzionali tra Stati e Chiese, dei rapporti ecumenici tra confessioni cristiane, dei rapporti interreligiosi tra queste e le crescenti presenze non cristiane. L’esistenza di una cospicua rete di scuole confessionali pubbliche (cattoliche, evangeliche, anglicane, e talora anche coraniche), che godono in genere di una effettiva → libertà di insegnamento perché sovvenzionate in tutto o in parte dallo Stato, contribuisce a sdrammatizzare non poco il problema dell’i.r. Vasta e complessa la tipologia degli i.r. attivati. Dal punto di vista della base legale, il corso di r. può godere di una garanzia costituzionale (come in Germania), o essere oggetto di legislazione parlamentare (Austria, Belgio, Grecia, Irlanda, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Scandinavia), o dipendere da convenzioni concordatarie tra Stato e confessioni religiose (Croazia, Italia Lussemburgo, Malta, Polonia, Slovacchia, Spagna...), o infine essere escluso come disciplina dalla scuola pubblica (come nei casi del sistema separatista francese o sloveno). Anche sotto il profilo disciplinare gli i.r. si presentano estremamente diversificati: da materia ordinaria obbligatoria con facoltà di scelta di un’alternativa, a materia opzionale con obbligo di scelta tra più offerte confessionali e non, da materia facoltativa senza incidenza determinante nel curricolo dell’alunno, ad attività nettamente extra-curricolare. Infine, dal punto di vista del carattere confessionale, si hanno i.r. di tipo transconfessionale intesi come informazione oggettiva e comparata sulle tradizioni religiose presenti nel Paese (Multifaith religious education: in Olanda, Regno Unito, Paesi scandinavi); di tipo materialmente confessionale ma formalmente aconfessionali o comunque non catechistici (nei Paesi dell’area linguistica tedesca, in Belgio e nei Paesi soggetti a normativa concordataria); di tipo monoconfessionale (nei Paesi dell’Est europeo, in Irlanda, nel caso francese con l’aumônerie scolaire); infine di tipo etico non confessionale o «morale laica» (come materia alternativa in Belgio, Germania, Lussemburgo, Spagna…). Si moltiplicano nell’area tedesca a confessione cristiana mista i casi di insegnamento bi-confessionale. Un tratto emergente che sembra ormai accomunare di fatto i vari modelli di i.r. attuati nel continente è la tendenza a privilegiare il conseguimento di obiettivi (cognitivi, critici, etici) di tipo preconfessionale, transconfessionale e interreligioso ed insieme aperto alla specifica comprensione confessionale o teologica della chiesa di riferimento. Emergono infatti nella scala delle urgenze educative istanze come l’educazione alla cittadinanza democratica, l’apertura al problema religioso, la ricognizione di forme e significati dell’esperienza religiosa universale, l’iniziazione al linguaggio dei simboli, l’esplorazione della dimensione profonda del vissuto umano, il confronto tra visioni di vita diverse.
Bibliografia
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F. Pajer