RISORGIMENTO
Nell’analisi e nell’interpretazione del R. è a lungo prevalso un criterio storiografico che sovrapponeva la progettualità e la conclusione unitaria alla questione educativa. L’elaborazione pedagogica e le realizzazioni educative sono state conseguentemente spesso esplorate secondo il loro grado di funzionalità rispetto allo svolgimento del processo di indipendenza e unità nazionale. Tutti i maggiori studiosi (da Vidari a Calò, compreso lo stesso Gambaro a cui si deve una sintesi storico-pedagogica tuttora di grande autorevolezza) sono stati influenzati, in misura diversa, da istanze e analisi di tipo risorgimentale.
1. Gli apporti storiografici più recenti preferiscono invece collocare la riflessione pedagogica e le esperienze educative sviluppatesi nella stagione risorgimentale in primo luogo nel novero dei fenomeni suscitati dalle trasformazioni culturali, politiche, sociali, produttive, religiose di quegli anni, contestualizzandole, dunque, non tanto in rapporto a quello che sarebbe stato poi il complesso e controverso esito unitario, quanto in stretta relazione ai mutamenti connessi all’incipiente manifestarsi della modernità. Questo approccio consente di sfuggire ad un duplice rischio: d’un lato, che i contributi dei singoli protagonisti siano letti e interpretati secondo una prevalente e talora esclusiva categoria politica e, dall’altro, che le varie realtà regionali siano comprese nella loro specificità senza cadere nella manichea distinzione di approvazione o condanna a seconda che l’ipotesi risorgimentale-liberale sia stata più o meno presente nei rispettivi programmi. Proprio le diverse storie regionali ci consentono di verificare, inoltre, che se l’esperienza risorgimentale fu complessivamente ispirata a forte sentimento nazionale, ciò non impedì, tuttavia, che essa si sia svolta con modi e approcci differenziati in rapporto alle specifiche tradizioni locali. Questo dato risulta particolarmente significativo in campo pedagogico e scolastico ove interagirono differenti culture educative, da quella piemontese che guardò preferenzialmente alle esperienze svizzere e francesi, a quella lombarda e veneta sensibile alla tradizione mitteleuropea, a quella toscana che si costituì facendo riferimento ad una pluralità di apporti di respiro europeo.
2. Uno dei tratti caratterizzanti la stagione risorgimentale è rappresentato da una pedagogia connotata in senso fortemente popolare. Gli anni della rivoluzione e l’età napoleonica avevano mostrato la vitalità e la forza non solo dei ceti alto-borghesi, ma anche di quella piccola borghesia e degli strati alti dei ceti popolari che, a lungo marginali, si stavano, talvolta disordinatamente, affacciando sulla scena della storia e che avrebbero potuto portarvi il proprio fattivo apporto o contribuire a far precipitare la società nel disordine. Da → Cuoco in poi il problema dell’educazione popolare è al centro delle riflessioni e delle preoccupazioni educative tanto di reazionari a tutto tondo, come Monaldo Leopardi (che poneva tra le principali cause dei mali del mondo non soltanto le libertà costituzionali, ma anche la diffusione dell’istruzione), quanto, più costruttivamente, di moderati e democratici. Il progetto educativo dei democratici (Mazzini, Cattaneo, Mayer) puntava, per es., ad associare strettamente iniziativa politica e riflessione pedagogica, sulla linea già tracciata, invero con intenti moderati, dal Cuoco nel Saggio sulla rivoluzione napoletana e negli scritti sul «Giornale Italiano». L’anima moderata del R., a sua volta, guardava al popolo con altri sentimenti, non contraddittori, ma certamente diversi dalla prevalente lettura politico-pedagogica dei democratici. Alla base dell’iniziativa del riformismo moderato stavano sentimenti e atteggiamenti caritativi e filantropici attraverso cui ci si proponeva di sconfiggere in primo luogo il pauperismo, fonte di malessere sociale, di ignoranza e di miseria materiale e morale. Gli → Aporti, i Lambruschini, i Capponi, i Tommaseo, i Rosmini guardavano, in particolare, all’istruzione come ad un potente mezzo d’incivilimento. Essi avevano ben presente che i Paesi europei più progrediti potevano contare su una fitta rete di scuole. Il moltiplicarsi di asili infantili, la creazione di un vero e proprio sistema di scuole elementari e professionali, la scoperta della «gioventù povera e abbandonata» come di una nuova categoria di «poveri» verso cui si devono esercitare specifiche cure formative, rappresentano soltanto alcuni dei tasselli attraverso cui si costruisce una pedagogia centrata sulla fiducia nell’educabilità dell’uomo, sulla prevenzione piuttosto che sulla repressione, sul rispetto della tradizione religiosa, sullo stretto confronto con le trasformazioni produttive in corso (basterebbe ricordare in tal senso la lezione degli «Annali Universali di Statistica»).
3. Nell’uno come nell’altro caso la pedagogia è innervata di una forte tensione spirituale e religiosa, così da poter individuare nella dimensione della spiritualità e della religiosità la seconda forte caratteristica della pedagogia del R. L’uomo è concepito, con evidenti tratti romantici, come cuore, fede, sentimento e la sua educabilità è riposta proprio nella possibilità di incidere nella sua interiorità. In Mazzini si tratta di una religiosità immanente e laica capace di orientare la libertà dell’individuo secondo un fine sovraindividuale. Negli esponenti della cultura cattolico-liberale la religiosità si richiama al principio paolino della carità attiva, capace di manifestare con le opere la forza rinnovatrice del Cristianesimo. Si tratta di una religiosità non rinchiusa su se stessa, ma aperta al confronto con il nuovo che si sta definendo e disponibile, perciò, a misurarsi anche con le libertà moderne nella convinzione che la forza del bene è tale da essere in grado di assicurare lo sviluppo ordinato della società. Un progetto ambizioso e complesso destinato a incontrare difficoltà, diffidenze e resistenze (la vicenda umana, prima ancora che culturale, dello stesso → Rosmini costituisce, a questo riguardo, un caso tanto doloroso quanto emblematico) nel momento in cui, radicalizzatosi lo scontro tra Stato e Chiesa a partire dal terreno educativo, i vertici ecclesiastici tenderanno a rinchiudersi in modo difensivo e a diffidare della modernità e, in particolare, delle libertà che presumono di potersi costituire in forma indipendente dalla rivelazione cristiana.
4. Resta, infine, da segnalare una terza e decisiva caratteristica della riflessione educativa della stagione risorgimentale. Essa consiste nella funzione pedagogica attribuita ai ceti aristocratici e all’alta borghesia nei confronti delle classi popolari. Dovendo definire in che modo si debba realizzare la «popolarità» nell’educazione, uno dei periodici pedagogici più autorevoli e significativi del tempo, «L’Educatore Primario» di Torino, affermava che «la vera popolarità è quella che ha per iscopo di istruire il popolo, non quella di prendere dal popolo le sue stesse idee, poche e semplici, indefinite, esclusive e imperfette e avvolte in un mare di parole e di frasi». La pedagogia del primo Ottocento mentre riconosce il diritto di cittadinanza anche ai ceti subalterni, non giunge tuttavia ad ammettere la capacità autoeducativa del popolo, neppure nelle componenti democratiche: Mazzini, Gioberti, Cavour, Tommaseo in modo e con sfumature certo diverse, convengono tuttavia sulla necessità che il popolo sia «educato» e cioè governato e guidato con prudenza e amorevolezza e, attraverso tale via, possa giungere ad esplicare tutte le proprie potenzialità positive. Soltanto nel rispetto dell’ordine è infatti possibile che esso assuma le responsabilità che pur gli toccano nella vita sociale e produttiva. Si definisce in tal modo un doppio principio di lealtà e di partecipazione alla vita sociale e politica destinato ad imprimere un carattere oligarchico allo sviluppo del processo unitario: una cittadinanza piena riconosciuta ai ceti dirigenti, una cittadinanza dimezzata e «in prova» propria delle classi subalterne. Democratici e moderati si differenziano non tanto sul principio in sé, né sulle modalità di passaggio dall’uno all’altro tipo di cittadinanza (regolato da una legge di cooptazione sociale più che sulla base di un «diritto») quanto piuttosto per i tempi e le caratteristiche delle sue dimensioni.
5. Per la piena comprensione degli sviluppi dei processi di → alfabetizzazione e scolarizzazione che si compiono in età risorgimentale non si può infine prescindere da una circolazione pedagogica «povera» – che si svolge cioè senza approfondite elaborazioni teoriche – che tuttavia costituisce una pagina importante nella storia educativa dei ceti popolari. Essa si manifesta attraverso la presenza attiva di sacerdoti, aristocratici, laici, nuove congregazioni religiose che, nel reagire al flagello rivoluzionario, si propongono di «educare il popolo» non soltanto mediante le pratiche religiose e devozionali, ma anche attraverso la cura dei bambini, l’istruzione dei fanciulli e delle fanciulle, l’avviamento al lavoro, le attività ricreative. I loro punti di riferimento sono il principio della perfezione cristiana e le conseguenti prassi disciplinatrici segnate dalla amorevolezza, dalla correzione fraterna, da una disciplina severa, ma non violenta. Lungo è l’elenco delle iniziative intraprese in varie parti d’Italia tra cui spiccano quelle dei fratelli Cavanis (Venezia), Pietro Leonardi e Nicola Mazza (Verona), Luca Passi e Lodovico Pavoni (Brescia), i marchesi Falletti di Barolo, don Cocchi e don → Bosco (Torino), Luigi Aiello (Napoli), Antonio Lombardo (Palermo) e molti altri. Questo breve elenco non rende che in modo molto parziale il fervore dei promotori. Tra il 1800 e il 1860 sorsero infatti in Italia oltre 140 nuove congregazioni religiose con prevalenti scopi educativi che andarono a incrementare la presenza di quegli ordini religiosi di più antica data da tempo impegnati in questo campo.
Bibliografia
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G. Chiosso