INSEGNAMENTO SOCIALE DELLA CHIESA

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INSEGNAMENTO SOCIALE​​ DELLA CHIESA

Con i.s.d.C. si intende l’insieme delle indicazioni e delle proposte riguardanti la presenza e l’azione sociale dei cristiani, degli uomini di buona volontà, nel corso dell’ultimo sec., a seguito degli interventi (encicliche, lettere, discorsi, ecc.) papali, conciliari, episcopali circa la «questione sociale». Rispetto al passato, in cui prevaleva la dizione «Dottrina sociale della Chiesa» l’i.s.d.C. post-conciliare non solo ha approfondito meglio il suo rapporto con 1’​​ evangelizzazione e la​​ ​​ catechesi, ma ha definito meglio la propria natura e funzione nella missione della Chiesa e il suo rapporto con il mondo, la società, la cultura.

1.​​ L’i.s.d.C. elemento essenziale della nuova evangelizzazione e della catechesi.​​ Con le ultime encicliche sociali l’i.s.d.C. è definitivamente ascritto all’ambito della teologia morale (cfr.​​ Sollicitudo rei socialis​​ [SRS], n. 41). Ciò autorizza Giovanni Paolo II ad affermare anche che l’i.s.d.C. è componente essenziale della «nuova evangelizzazione» (cfr.​​ Centesimus annus​​ [CA], n. 5). Uno studio più approfondito della natura dell’i.s.d.C. e della catechesi porta proprio a concludere che tra i due c’è un’implicazione reciproca​​ e che l’i.s.d.C. è anche elemento essenziale dell’educazione alla fede. Se nell’azione catechetica e nei suoi sussidi didattici viene a mancare la recezione costante ed aggiornata dell’i.s.d.C. e il riferimento all’esperienza di vita da cui questo erompe e a cui rimanda, non si educa adeguatamente ad una fede matura. Detto diversamente, occorre che l’i.s.d.C. venga «veicolato» o «mediato» nella catechesi. Esso deve, in certo modo, «nascere» una seconda volta: essere cioè «ritrascritto» per le diverse categorie di persone – specie giovani e adulti – nei vari contesti ecclesiali di catechesi, non esclusi i centri di ascolto, i movimenti e le associazioni di apostolato. In particolare, va inserito nella dinamica della «Parola totale» (annuncio, celebrazione, servizio) e «ridetto» come messaggio per la fede, come «materia» sacramentale per la preghiera, come compito per un servizio animato dalla Carità di Cristo.

2.​​ La natura e il senso culturale dell’i.s.d.C.​​ «La dottrina sociale della Chiesa non è una “terza via” tra​​ capitalismo liberista​​ e​​ collettivismo marxista,​​ e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una​​ categoria a sé.​​ Non è neppure un’ideologia, ma l’accurata formulazione dei risultati di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di​​ interpretare​​ tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per​​ orientare,​​ quindi, il comportamento cristiano» (SRS, n. 41). L’i.s.d.C. è cioè un sapere​​ teorico-pratico,​​ che non si limita alla contemplazione della realtà sociale e dei suoi problemi; non si limita neppure all’indagine sulle cause dei mali e ad esprimere giudizi etici. È sapere formulato col fine di trasformare la realtà sociale, di modo che questa possa essere più​​ conforme al disegno di Dio,​​ secondo il quale tutte le realtà terrene debbono essere poste al servizio della crescita in pienezza della persona. È sapere, pertanto, che nascendo dall’esercizio del ministero di evangelizzazione della Chiesa in campo sociale, non solo «denuncia» i mali e le ingiustizie, ma simultaneamente e principalmente «annuncia» l’opera di salvezza di Gesù Cristo, le vie di azione, le modalità più consone, le progettualità germinali più adatte per liberare ed umanizzare il lavoro, l’economia, la politica, la comunità mondiale, la famiglia, i mezzi di comunicazione sociale, l’ecologia, rispettandone l’autonomia, destinandoli ultimamente a Cristo stesso, per mezzo del quale e in vista del quale sono stati creati (Col 1,3.12-20), partecipando alla sua incarnazione, redenzione e ricapitolazione (Col 1,15).

3.​​ L’apporto alla catechesi.​​ Ciò premesso, è facile comprendere come l’i.s.d.C. aiuta, in definitiva, gli educatori alla fede e la loro opera di catechesi nel far crescere i credenti nell’adesione al​​ mistero totale di Cristo,​​ nel vivere la​​ totalità esistenziale della fede,​​ della speranza e della carità​​ anche con riferimento al sociale. In particolare, l’i.s.d.C. dà un apporto fondamentale all’opera di catechesi in quanto: a) educa all’approccio alla storia,​​ al​​ coinvolgimento in essa,​​ ove Gesù Cristo e il suo Spirito sono già all’opera, per associarsi alla loro azione trasformatrice; b) abilita, quindi, al​​ discernimento​​ e alla​​ profezia,​​ ossia all’individuazione negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni degli uomini di ciò che indica la presenza o il disegno di Dio in se stesso e di ciò che lo contrasta (cfr.​​ Gaudium et spes,​​ n. 11); e, inoltre, a vivere le realtà sociali rimanendo​​ uniti​​ a Gesù Cristo e, pertanto, purificandole, consolidandole ed elevandole in Lui: il discernimento e la profezia, mentre sono avviati innanzitutto dall’ascolto della Parola di Dio, si avvalgono anche dell’apporto delle scienze umane e sociali per la conoscenza della questione sociale, e vanno attuati vivendo nella comunione ecclesiale; c) presenta, per conseguenza, i​​ tratti​​ ​​ sia pure sintetici e bisognosi di ulteriori mediazioni – di quella​​ ricapitolazione in Cristo,​​ che i credenti sono chiamati a concretare, specie tramite la grazia e una liberazione integrale, in un determinato periodo storico e in un determinato contesto socio-culturale, collaborando con gli altri uomini di buona volontà; d) indica​​ principi di riflessione​​ (ad es. la persona umana è immagine di Dio, della Comunità trinitaria),​​ criteri di giudizio​​ (ad es. il primato dell’uomo sul capitale, uso critico dei mezzi forniti dalle scienze sociali per l’analisi della situazione),​​ metodi e direttive di azione​​ (ad es. la lotta per la giustizia, la via della non violenza, l’opzione preferenziale per i poveri),​​ atteggiamenti di vita,​​ abbozzi di umanesimi e di culture​​ (dello sviluppo, della pace, dell’ecologia, dell’economia, della politica), fondamentali ed​​ omogenei​​ con un’esistenza umana, cristiana, ecclesiale, che voglia essere a servizio della «nuova creazione», già inaugurata da Cristo (2 Cor 5,17; Gal 6,15; CA, n. 62); e) suggerisce, in definitiva, le​​ modalità​​ essenziali del​​ compimento umano in Dio con riferimento al sociale;​​ e, congiuntamente, in un contesto culturale che propone solo etiche «deboli» e post-moderne, ovvero semplici etiche dialogiche o della legalità, del consenso, delle reciproche garanzie, di legittima difesa, tutte debitrici di una prospettiva di «terza persona», sollecita un’«etica di prima persona», cioè un’etica le cui norme e i cui precetti sono individuati guardando all’adempimento del bene e della crescita in pienezza della persona​​ reale​​ e​​ concreta,​​ e non a partire dal punto di vista di un «osservatore imparziale».

4.​​ Oltre i pregiudizi.​​ Tra i vari pregiudizi sull’i.s.d.C. due in modo particolare resistono. Innanzitutto, il pregiudizio che l’i.s.d.C. sia qualcosa di superfluo o di facoltativo o di secondario per il credente, al punto che non raramente viene prima la scelta del partito, dell’associazione e del movimento e poi si afferma che l’i.s.d.C. è dalla propria parte. Ora, ciò equivale a porre le premesse di una sua inevitabile strumentalizzazione. Dovrebbe al contrario essere l’i.s.d.C. ad orientare nella scelta del partito, dell’associazione o del movimento in campo sociale e politico. Ma non solo. Una volta operata l’adesione a questo o a quel partito, a questa o a quell’associazione, l’i.s.d.C. dovrebbe continuare ad essere punto di riferimento ineludibile per giudicare della bontà di ciò che è teorizzato e fatto all’interno dei partiti, delle associazioni e dei movimenti. La ragione di tutto ciò risiede nel fatto che l’i.s.d.C. appartiene al credente quale​​ patrimonio​​ teorico-pratico, sapienziale, che egli ha in dotazione in quanto cristiano e in quanto membro della comunità ecclesiale, il cui compito è anche quello dell’evangelizzazione del sociale. Esso inerisce al credente come uno «specifico» e come una «vocazione» che l’accompagnano ovunque, in ogni campo dell’agire sociale. In secondo luogo, oggi continua a sussistere anche il pregiudizio che l’i.s.d.C. non serve a cambiare progetti societari, sistemi, strutture ed istituzioni. Esso, al più, offrirebbe l’indicazione di​​ correttivi​​ che possono lenire i mali delle società e dei mercati, senza però modificarli dal di dentro, nei loro meccanismi e nella loro impostazione di fondo. Sicuramente l’i.s.d.C. non propone questo o quel sistema politico, economico o ideologico concreto, alternativo a quelli esistenti. Non è il suo compito. Tuttavia, esso, segnalando come cogenti quei principi e quelle direttive di azione di cui si è già detto, offre quanto è necessario per riformare o per sostituire, se ne è il caso, sistemi ed istituzioni antiumani. Detto altrimenti, l’i.s.d.C. è tutt’altro che astratto. Esso viene, infatti, a porsi come​​ fondamento e motivazione​​ per l’azione (cfr. CA, n. 57). Se accolto, entra a​​ costituire​​ l’intenzionalità più profonda dell’agire, nonché le modalità della sua attuazione, in modo così decisivo e radicale da comandare irresistibilmente il cambio delle ideologie, dei sistemi, delle istituzioni, la loro umanizzazione globale.

5.​​ Per un uso pedagogico dell’i.s.d.C.​​ Purtroppo spesso l’i.s.d.C. rimane lettera morta perché parecchi credenti o non lo conoscono ancora o non hanno la competenza per tradurlo in linguaggio politico e culturale. Anche da questo punto di vista, allora, occorre che nella catechesi, nelle università, nei vari centri culturali, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali o di ispirazione cristiana, si sviluppi un’intensa e costante opera formativa avente come riferimento irrinunciabile l’i.s.d.C. Così, da un punto di vista più pratico, occorre avviare alla conoscenza dell’i.s.d.C., non certo tramite semplici sunti, volgarizzazioni, articoli di giornale o di rotocalchi. È indispensabile la lettura specie degli ultimi testi delle encicliche, che potrà essere più fruttuosa se avviene tramite «laboratori» pastorali-catechetici, tramite gruppi e comunità educativi, ove l’indagine sui problemi cui rinvia l’i.s.d.C. e il dibattito sulla loro soluzione si svolgono a più voci e sulla base di competenze diverse, integrantisi fra loro. Ciò verso cui si deve, però, puntare, in ogni caso, è la creazione nel credente di una sensibilità che gli consenta di vivere la dimensione sociale della propria fede e del Vangelo con la stessa Carità di Gesù Cristo.

Bibliografia

Toso M.,​​ Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale della Chiesa e dintorni, Roma, LAS,​​ 22002; Id.,​​ Welfare society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici,​​ Roma, LAS,​​ 22003; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace,​​ Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Città del Vaticano, LEV, 2004; Id.,​​ Dizionario della dottrina sociale della Chiesa, a cura di S. Ecc. G. Crepaldi e E. Colom, Roma, LAS, 2005.

M. Toso