GALATEO

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GALATEO

Nel linguaggio comune il termine evoca il complesso di buone maniere che regolano le relazioni interpersonali e sociali. In tal senso è sinonimo di buona creanza, di garbo, di urbanità, di civiltà, di cortesia, di buona educazione, di proprietà, di correttezza, di gentilezza o, come si dice, di «bon ton» relazionale.​​ 

1. Il termine deriva dalla nota opera di mons. Giovanni Della Casa, intitolata appunto​​ G.,​​ ovvero de’ costumi​​ e uscita postuma nel 1558, dove, ad un giovane «all’inizio del viaggio della vita» si indica «cosa convenga di fare [...] in comunicando ed in usando con le genti». Il titolo, latinizzazione di Galeazzo (Galateus),​​ dice probabilmente la destinazione del libro al giovane Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa. A motivo di questa referenza letteraria, il termine g. è applicato anche ad ogni libro che contenga norme di buona educazione e condotta.

2. La contestazione giovanile e progressista della fine degli anni sessanta del sec. XX, ha stigmatizzato il g. come formalismo vuoto, «bon ton» piccolo borghese, falsità istituzionalizzata, ipocrisia e doppiezza in guanti bianchi; o, nella migliore ipotesi, l’ha visto come gentilezza di facciata, distanza vellutata, distinzione sofistica, senso di superiorità sprezzante. Ma il logorarsi delle procedure del sistema sociale e il manifestarsi vistoso delle patologie di esso, il montare del disagio diffuso e l’allargarsi delle forme di violenza verbale e della volgarità aggressiva, il bullismo giovanile telematizzato, sembrano in questi ultimi anni aver reso cospicua una riemergente e diffusa «voglia di gentilezza» come pure il desiderio di una vita e di una convivenza sociale umanamente serena e dignitosa. La proprietà del linguaggio e la civiltà del comportamento, la ricerca di modi gentili e delicati di essere con sé e con gli altri, sono ricompresi da parte di molti come segno di un vasto bisogno di difesa e di promozione della dignità personale o anche come una forma di rispetto dell’alterità personale e sociale; o ancora come una concreta strategia per modi di essere cittadini all’insegna della correttezza, della trasparenza e della democrazia.

3. In sede propriamente educativa il g. potrebbe non solo aiutare lo sviluppo delle capacità di​​ ​​ comunicazione interpersonale e di efficacia comportamentale nella vita sociale, ma potrebbe dare nuovo senso all’autodisciplina di mente, di cuore e di volontà che una vasta tradizione pedagogica crede di poter indicare come mèta educativa e come strategia alternativa ad una disciplina eteronoma, autoritaria e costrittiva. Un’azione educativa in proposito avrà da dispiegarsi nella direzione dell’istruzione, della motivazione e dell’addestramento, in modo da coniugare l’informazione con la significatività e il «tirocinio» pratico di qualcosa che si mostra come desiderabile ed umanamente degno. Un efficace rinforzo e stimolo potrà venire dalla chiara e significativa testimonianza delle figure educative, dei gruppi sociali e della collettività nella sua globalità. Peraltro l’amara costatazione di prassi contrarie in proposito insinua come tutta la questione assuma una sua dimensione etica, diventi cioè un aspetto di quella «questione morale» che si pone in maniera forte alla convivenza civile del nostro tempo.

Bibliografia

a) Per il testo di G. Della Casa:​​ G.,​​ Torino, Einaudi, 2006. b) Studi: Sotis L.,​​ Bon ton. Il nuovo dizionario delle buone maniere,​​ Milano, Mondadori, 1989; Lerario A.,​​ G. 2000. Garbo,​​ cortesia e buone maniere nella società moderna,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1991; Cremonese A.,​​ Il​​ libro della buona creanza,​​ Milano, Rizzoli, 1992; Cremaschi M.,​​ Sì grazie,​​ no grazie. Il g. oggi, Milano, Xenia, 1997; Bellinzaghi R.,​​ Il g. oggi, La Spezia, De Vecchi, 2005.​​ 

C. Nanni