DIFFERENZA / DIFFERENZIAZIONE

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DIFFERENZA /​​ DIFFERENZIAZIONE

I concetti di d. e di differenziazione sono ampi e complessi. La loro articolazione di viene sempre più sofisticata in relazione allo sviluppo della ricerca scientifica medico biologica e sociologico-sociale. Né vanno trascurate le implicazioni filosofiche, teologiche e morali che si intersecano con la scoperta di varietà umane da considerare sotto ogni profilo. La d. si riferisce ad uno stato psicologico e sociale dell’individuo che si percepisce e / o è percepito come differente, altro, rispetto ad un universo di per sé compatto ed integrato. La differenziazione è invece un processo e richiama esplicitamente quei cambiamenti progressivi che riguardano lo sviluppo dell’individuo e / o il carattere evolutivo concernente la specie o la razza. Si distingue la differenziazione in senso biologico, dalla modificazione in senso ambientale.

1.​​ Evoluzione del concetto.​​ Soprattutto all’inizio del ’900 si tendeva a considerare il differente come la persona anticonformista che poteva facilmente scivolare nel patologico e nel criminologico: si propendeva quindi per l’identificazione delle definizioni di differente e di deviante. Nei decenni successivi gli studi hanno ripetuta mente dimostrato che i termini non esprimono la stessa realtà e che il passaggio dal differente / diverso al deviante e al delinquente non rappresenta un continuum nel percorso esistenziale della persona. Proprio nel primo caso il soggetto chiede di vivere entro una società che ne legittimi la presenza, eventualmente con modifiche normative. Nel secondo e nel terzo caso vi è invece una trasgressione ora dei codici culturali, ora dei codici penali. In sociologia e in psicologia si parla di​​ teoria dell’associazione differenziata,​​ che sostiene che l’apprendimento di comportamenti subculturali anticonformisti avverrebbe attraverso forme di comunicazione negativa e la relativa possibilità di azioni di rinforzo o discriminazione. In base a materiale empirico comparato, la​​ ​​ psicologia sociale e l’antropologia culturale notano come le differenziazioni culturali relative a valori e norme intervengono orientando la​​ ​​ comunicazione che può favorire situazioni di conflitto o di comprensione tra appartenenti a culture diverse. Le d. individuali sono state anche studiate nella tendenza al​​ ​​ conformismo: gli individui reagiscono diversamente alla pressione di gruppo. In questo caso la d. registrabile è quella relativa al soggetto e al gruppo, ma ci si riferisce sempre ad una misura che pone a confronto elementi considerati oggetto di analisi di laboratorio. Altra cosa è la d. che negli anni ’70 si è cominciata a valutare guardando al suo carattere di alternativa culturale e politica con risvolti anche comportamentali. Soggetti determinati sono andati a formare categorie specifiche di analisi, al punto da permettere letture circoscritte della struttura e della dinamica sociale. Pensiamo ad es. ai giovani, alle donne, all’infanzia, ai tossicodipendenti, agli omosessuali, al dissenso religioso, ai soggetti con handicap, agli emarginati, alle minoranze, agli stranieri e agli extracomunitari. La d. di queste categorie individuali e sociali viene di volta in volta descritta rispetto alla separazione da un insieme omogeneo per​​ ​​ cultura, razza, religione, morale, stile di vita ed altro.

2.​​ Diritto alla d. e pedagogia della d.​​ Tra le tesi che esaltano la d. come opposto dell’omologazione culturale, vi sono quelle che considerano l’uguaglianza fra uomo e donna realizzabile solo in un «pensiero del genere» appartenente culturalmente a due sessi distinti, ma senza una riscrittura che differenzia diritti e doveri ora per un sesso ora per l’altro. La d. sessuale è una realtà insopprimibile; ciò che appare importante è la definizione dei valori di appartenenza a un genere nel rispetto di ciascuno dei due sessi. Secondo questa visione la d. sessuale risulterebbe necessaria alla conservazione della specie umana, legata alla cultura e ai linguaggi della società di riferimento. C’è poi chi individua nella d. un vero e proprio traguardo formativo nel senso che ogni persona ha diritto a non essere considerata parte indistinta di un tutto amorfo, di un «pluralismo informe». Altra questione è quella della non-d., intesa come diritto all’inserimento sociale e umano di minorati fisici, sensoriali e psichici che, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (fine degli anni ’80), riguardano il 13% della popolazione; l’80% delle minorazioni si registrano nel cosiddetto Terzo Mondo. La differenziazione in pedagogia va dall’idea dell’educazione all’unità nella molteplicità, alle questioni metodologiche connesse al superamento della univocità dei programmi di studio. Nella differenziazione didattica si tiene conto della varietà di metodi di insegnamento capaci di attuare i programmi scolastici ufficiali attraverso interventi e mezzi riferibili ad una specifica ispirazione pedagogica, come nel caso delle scuole di metodo (es. metodo​​ ​​ Steiner, metodo​​ ​​ Montessori). Né va dimenticato l’ampio capitolo delle d. individuali e del rendimento scolastico al centro del dibattito tra ambientalisti ed innatisti; nonché la differenziazione della pedagogia come scienza sempre più articolata in nuove discipline.

Bibliografia

Ballanti G.,​​ Modelli di apprendimento e schemi di insegnamento,​​ Teramo, Lisciani & Giunti, 1988; Chistolini S.,​​ Tagore Aurobindo Krishnamurti. Unità dell’uomo e universalità dell’educazione,​​ Roma, Euroma-La Goliardica, 1990; Mayor Zaragoza F.,​​ Domani è troppo tardi. Sviluppo,​​ istruzione,​​ democrazia,​​ Roma, Studium, 1991; Irigaray L.,​​ Io,​​ tu,​​ noi. Per una cultura della d.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1992; Rossi B.,​​ Identità e d. I compiti dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Vattimo G.,​​ Le avventure della d., Milano, Garzanti, 2001; Sartini A.,​​ Figure della d.: percorsi della filosofia francese del Novecento, Milano, Mondadori, 2006.

S. Chistolini