CONGREGAZIONI INSEGNANTI FEMMINILI
Istituzioni religiose il cui scopo principale è l’assistenza, l’insegnamento e l’educazione della gioventù femminile.
1. Fin dal → Medioevo la storia dell’educazione extrafamiliare della → donna è strettamente legata all’azione educativa dei monasteri femminili cui spesso le famiglie, specialmente nobili, affidavano le loro figlie, in tenera età, perché potessero realizzarvi la loro formazione. Nell’età del Concilio di Trento, quando l’impegno educativo della Chiesa si intensificò, si affermò notevolmente il desiderio di molte donne di una vita religiosa sciolta dalla clausura (già manifestatosi precedentemente con la fondazione delle Orsoline e delle Angeliche impegnate prevalentemente nell’educazione). Nonostante gli interventi del Concilio di Trento e di Papa Pio V, che ribadivano l’obbligo della clausura, nel tardo Cinquecento e nel Seicento sorsero nuovi istituti femminili, che accoglievano le fanciulle povere per toglierle dai pericoli della strada e per offrire loro almeno il minimo indispensabile di educazione e di formazione cristiana.
2. Al fervore educativo dell’età della Riforma Cattolica si collega l’origine delle scuole per le fanciulle del popolo, la prima delle quali (o una delle prime) fu fondata da S. Rosa Venerini, la quale andò oltre la tradizione che concedeva la possibilità di istruirsi solo a poche donne «privilegiate» la cui formazione comunque si realizzava o nei monasteri o in famiglia. Le scuole di Rosa Venerini e delle sue compagne, le quali non erano religiose e vivevano in piccole comunità, dedicandosi a «fare scuola gratis alle fanciulle», mirando «ad majorem Dei Gloriam», erano istituzioni educative «nuove» che ebbero il merito di offrire a tutte le donne l’opportunità di istruirsi che nel Seicento veniva offerta soltanto a poche. La «novità» delle scuole della Venerini inoltre è dovuta al fatto che in un’epoca in cui la convinzione della «vulnerabilità» degli esseri umani e particolarmente della donna determinava l’affermazione di istituzioni educative «chiuse» si proponevano come «istituzioni aperte». Le alunne infatti vivevano «in famiglia» nelle loro case, con i loro genitori, cioè in un ambiente naturale. Con queste scuole, che seguivano il «metodo» scritto dalla Fondatrice, che quindi avevano «programmi» e che prevedevano, accanto all’educazione e all’educazione religiosa, anche l’insegnamento dei «lavori femminili», «orari», «maestre» e «regole», si intendeva gettare le basi che potevano consentire a tutte le fanciulle di continuare a coltivare la loro spiritualità e il loro saper lavorare (per rendersi economicamente autonome) nel corso della loro esistenza. L’azione di queste scuole, pur essendo culturalmente modesta, contribuì a diffondere, anche se limitatamente, la cultura dell’educazione, a stimolare il Papato, il clero e i «governi» perché si facessero carico della formazione della donna, incoraggiando le famiglie ad assumere le loro responsabilità educativa e aiutandole, rivolgendo la loro attenzione alle madri, le quali erano invitate a partecipare a momenti di preghiera ed a parlare con le maestre dei loro problemi familiari e dell’educazione dei loro figli. Con la fondazione delle scuole, finalmente, si indicava alla donna una prospettiva professionale. Infatti le prime donne laiche, che si facevano chiamare «maestre», sono le prime professioniste dell’educazione che la storia ci presenta, anche se meritano di essere considerate «professioniste» non tanto per le loro competenze e per la loro cultura quanto per la tensione religiosa e morale che sorreggeva la loro azione e per la consapevolezza del significato dell’impegno educativo che testimoniavano nei confronti delle donne adulte con l’intento di sostenere e di aiutare le famiglie nell’educazione cristiana dei figli. Le «maestre», comunque, ebbero il merito, in un tempo in cui faticosamente nel mondo occidentale andava affermandosi la scuola, di creare un’istituzione chiamata a configurarsi come luogo in cui l’educazione, da spontanea e irriflessa, diventa riflessa e specifica, che si propone non solo la trasmissione del sapere ma anche finalità formative. Nelle scuole aperte a tutte le fanciulle dovevano operare educatrici opportunamente preparate allo svolgimento del loro apostolato «magistrale». Pertanto alle donne che si sentivano «vocate» all’insegnamento si concedeva la possibilità di liberarsi dall’obbligo di vivere in famiglia o nei monasteri.
3. Nel corso del Settecento le scuole per le fanciulle e per le giovani si moltiplicarono, anche se il diritto canonico non riuscì ad arrivare ad una collocazione giuridica specifica per gli istituti religiosi, che non prevedevano la clausura e i voti solenni e che talvolta si facevano riconoscere come secolari degli stessi organi civili degli Stati in cui si trovavano ad operare. La presenza di questi istituti si è diffusa e si è intensificata, in particolare nell’Ottocento, ottenendo, soltanto alla fine di quel secolo, pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa come istituzioni religiose, di cui è stata ampiamente apprezzata l’azione educativa, vista come espressione di apostolato e forma specifica di carità. Nel corso del Novecento le c.i.f. si sono particolarmente impegnate nella formazione professionale (iniziale e in servizio) dei loro membri per renderli «pari all’altezza del loro ufficio», per potenziare la qualità culturale delle loro scuole, che, in questi ultimi anni, in molti Paesi accolgono alunni di ambo i sessi e che spesso hanno conquistato una loro propria identità, determinata dalla loro ispirazione cristiana, dalla fedeltà allo specifico «carisma» e dalla spiritualità dei vari istituti, dalla capacità di rispondere con differenziata adeguatezza alle domande di educazione dei singoli e delle comunità in cui operano. Pertanto la loro proposta formativa si è ampliata ed ha rivolto l’attenzione anche alla formazione professionale. Inoltre, talvolta, le educatrici religiose insegnano anche nella scuola di Stato e le loro scuole, che nell’Ottocento e nel primo Novecento hanno accolto particolarmente bambini e fanciulli, impegnandosi nella preparazione delle educatrici, hanno moltiplicato i loro indirizzi, aprendosi anche all’«educazione a livello universitario», pur testimoniando una speciale attenzione per i «piccoli» e per coloro che sono vittime delle vecchie e delle nuove povertà.
4. A queste c.i.f. si deve il merito di aver diffuso nel mondo la scuola cattolica, impegnandosi particolarmente per la promozione umana della donna, aprendosi ai problemi della società, testimoniando una carità fattiva e operosa, realizzando spesso una forma di «maternità affettiva, culturale e spirituale», alla quale la Chiesa guarda con particolare attenzione e con «speranza», chiedendo alle educatrici di testimoniare il Vangelo, capacità di accoglienza, di ascolto, di relazionalità positiva, di servizio e di coltivare la loro formazione spirituale, culturale e professionale.
Bibliografia
Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi (Ed.), Conferenze tenute nel primo Convegno nazionale di studio per le Suore insegnanti d’Italia, Milano, Vita e Pensiero, 1940; Braido P. (Ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, Vol. I e II, Roma, LAS, 1981; Paolocci C. (Ed.), C. laicali femminili e promozione della donna in Italia nei sec. XVI e XVII, Genova, Associazione Amici della Biblioteca Franzoniana, 1995; Loparco G., Gli Istituti religiosi femminili e l’educazione delle donne in Italia tra Otto e Novecento, in «Seminarium» (2004) 1-2, 209-258; Bartoloni S. (Ed.), Per le strade del mondo laiche e religiose fra Otto e Novecento, Bologna, Il Mulino, 2007.
S. S. Macchietti