ANTROPOLOGIA E EDUCAZIONE

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ANTROPOLOGIA E EDUCAZIONE

Il rapporto tra a. e​​ ​​ educazione può essere visto in una duplice articolazione: da una parte l’a. come contributo di una scienza all’analisi delle problematiche e dei temi dell’educazione, in una prospettiva multidisciplinare; dall’altra, al contrario, l’educazione come un particolare fenomeno della​​ ​​ cultura e specifico campo nell’ambito degli studi antropologici.

1.​​ Definizione.​​ Entrambe le prospettive sono proficue, soprattutto se si parte da una loro definizione ampia e cioè: l’a. come studio della distanza culturale, con particolare riferimento alle società extra-europee; l’educazione come attività sociale deliberata e sistematica del trasmettere ed acquisire valori e conoscenze, ideologie e tecniche, competenze ed abilità, che fanno parte del patrimonio della cultura in cui gli individui si trovano a vivere. In particolare l’educazione così definita non si esaurisce nelle teorie e pratiche messe in atto con i sistemi formali scolastici ma, volendo comprendere sia il contesto culturale occidentale che quello delle culture etnografiche, va verso il concetto di «inculturazione», comprendendo aspetti formali e non formali di una serie di processi che si esprimono nella relazione individuo-cultura più in generale. Questi processi sono numerosi e riguardano: l’apprendimento dello standard richiesto per divenire​​ ​​ adulto in una società data, la trasmissione della cultura tra le successive generazioni, la dinamica sociale della cultura, la formazione di società multietniche. Così, ancora, luogo di svolgimento dell’educazione non è solo quello dell’istituzione​​ ​​ scuola, ma è coperto anche da una serie di agenzie che concorrono al​​ ​​ processo educativo dell’individuo, a partire dalla sua​​ ​​ famiglia di origine: il​​ ​​ gruppo dei coetanei, la strada e il vicinato, la​​ ​​ chiesa, il partito, il sindacato, le associazioni del​​ ​​ tempo libero, e soprattutto i mezzi di​​ ​​ comunicazione di massa, con particolare riferimento alle società occidentali. In altre parole, secondo questa accezione ampia del rapporto a. e educazione, i termini della relazione costituiscono ciascuno un «processo» e non un «fatto», per quanto complesso, in cui il processo culturale ed il processo educativo interagiscono costantemente. È in questa prospettiva che alcuni studiosi parlano di a. educativa o a. dell’educazione.

2.​​ Prospettive antropologiche.​​ Nella storia del pensiero scientifico degli studi etno-antropologici il rapporto a. e educazione si trova sviluppato in entrambe le direzioni sopra delineate. La prima prospettiva trova affermazione negli USA a partire dagli inizi di questo sec. con F. Boas, E. Sapir, R. Benedict,​​ ​​ Mead ed altri, ed acquisisce negli anni successivi un rinnovato impulso sotto la spinta delle teorie psicoanalitiche freudiane, in particolare con R. Linton e A. Kardiner. La seconda prospettiva vede la figura di B. Malinowski che, impegnato negli anni ’30 del secolo scorso nella fondazione di una teoria scientifica della cultura, in opposizione alle teorie evoluzioniste e diffusioniste in a., pone le istituzioni, in quanto appunto istituzioni sociali, come tratto differenziante la società umana dalla vita animale. Queste istituzioni – economia, politica, famiglia, educazione, magia / religione / scienza (con termine oggi più adeguato parleremmo di sistema simbolico o di sistema di credenze) – formano la cultura e sono la risposta sul piano organizzativo dell’uomo ai​​ ​​ bisogni naturali primari e comuni a più specie (sopravvivenza dell’individuo, del gruppo, della specie). Ancora, queste istituzioni sono identificabili come tratti universali dell’uomo e si configurano come «sistemi», cioè complesso di elementi interdipendenti tali, cioè, che al variare di uno di essi variano anche gli altri, in una logica organicistica. In particolare, poi, l’educazione svolge la funzione di rinnovare, formare, addestrare, istruire con i contenuti culturali l’elemento umano delle diverse generazioni, realizzando così il processo di continuità della cultura stessa quale apparato per la soddisfazione dei bisogni.

3.​​ Cultura e personalità.​​ Nella cultura statunitense degli inizi del sec. il dibattito sull’educazione vede incontrarsi, al di là delle loro differenze interne, i due filoni di pensiero del pragmatismo e del neo-idealismo nella convinzione che il mondo possa migliorare ad opera della ragione umana e che l’educazione – intesa solo come istruzione scolastica – costituisca la forza propulsiva di questa ragione. L’educazione viene così considerata dal punto di vista dell’​​ ​​ educatore, piuttosto che dal punto di vista del bambino che sta imparando, e definita essenzialmente come processo attraverso cui il bambino deve diventare ciò che l’adulto vuole che lui diventi. Di contro l’a. statunitense degli anni ‘30, nel più generale spirito di contributo alla crescita civile della società contemporanea, intende partire proprio dall’analisi dei processi d’apprendimento del bambino, individuando nell’analisi di contesti etnografici gli strumenti teorici e metodologici per stabilire i meccanismi che sovrintendono al processo di apprendimento. La ricerca antropologica è in grado di determinare le variazioni di questi meccanismi conseguenti alle differenze di cultura. Inoltre, per questa strada comparativa, l’educazione viene individuata come processo molto più ampio e comprendente tutto l’apprendimento formalizzato e non formalizzato, che porta l’individuo ad acquisire la cultura, a formarsi una​​ ​​ personalità, a socializzarsi, ad imparare ad adattare se stesso a vivere come membro di una data società. Lo sviluppo di questo filone di studi antropologici va suddiviso in due periodi successivi: dopo un primo periodo caratterizzato dalle ricerche comparative della Mead, nuovo impulso alla riflessione teorica avviene sotto la spinta delle teorie psicoanalitiche freudiane, in particolare con R. Linton e A. Kardiner. Interesse prevalente nel primo periodo è la dimostrazione della plasticità bio-psicologica della specie umana, sufficiente a consentire il condizionamento culturale degli schemi di comportamento degli adolescenti secondo modalità in contrasto con lo stereotipo dell’​​ ​​ adolescenza nella cultura del ceto medio europeo e statunitense. Così la Mead, al termine di numerosi studi sul campo presso diverse società dell’area del Pacifico, conclude che la responsabilità della formazione di quello che solitamente chiamiamo «temperamento» è da attribuire non a determinanti biologiche ma a contenuti educativi che, in armonia con le istanze più generali della cultura, privilegiano un comportamento particolare tra i tanti possibili. Inoltre, questa formazione non riguarda solo la fase dell’adolescenza del soggetto in formazione, ma molti altri momenti dello sviluppo e della formazione della personalità dell’individuo, anche nella sua età adulta. Infine la Mead riprende e sviluppa un tema caro ai suoi maestri, Sapir e Benedict, sulla «coerenza delle culture genuine» e la «incoerenza delle culture spurie»: le prime sono quelle prive di contraddizioni che, invece, sono caratteristica prevalente delle seconde, nel loro complesso. Queste contraddizioni, come la loro assenza, sono da riportare al modello educativo presente in una data cultura; compito dell’a. è, allora, quello di ricostruire la rete di questi caratteri educativi a partire da come il modello culturale complessivo si realizza storicamente in una cultura specifica. Ma a ben vedere, dato che la cultura delle popolazioni a livello etnografico non può essere individuata in istituzioni formali, il modello culturale viene colto dall’antropologo solo attraverso l’informatore di cui egli si avvale nella ricerca e che assume quale portatore dei valori espressi dal modello in questione. Alcuni interrogativi a catena, rimasti insoluti per questa posizione teorica, e che avranno soluzione successivamente solo con gli antropologi neo-freudiani, sono: a) quale relazione intercorre tra la cultura di un gruppo e la personalità dei suoi membri; b) perché alcune caratteristiche psicologiche sono condivise dai membri di un gruppo e sono coerenti, congruenti, appropriate alla cultura del gruppo stesso; c) come si spiega il cambiamento della società; d) se ogni individuo ripete quanto ci si aspetta dalle norme previste culturalmente, come, perché e quando l’individuo crea norme nuove che non corrispondono a quelle che ha introiettate nell’infanzia e nell’adolescenza; oppure, da dove prende norme esterne difformi, da introiettare una seconda volta, dopo aver introiettato nella fase infantile le prime norme. Alcune ipotesi di lavoro elaborate dagli antropologi statunitensi di questo periodo, come risposte a tali interrogativi, sono: a) gli esseri umani raggiungono la condizione umana attraverso l’apprendimento ma, poiché questo apprendimento è posto all’interno di un ambiente sociale diverso per i differenti gruppi umani, ogni individuo che nasce in un gruppo è strutturato in un modo caratteristico, corrispondente alle norme che orientano il comportamento dei membri della sua società. Egli è un essere umano in quanto ha appreso, ma di una comunità particolare in quanto l’apprendimento varia da società a società; b) nella fase dell’inculturazione la cultura viene ricostruita dentro ogni individuo in modo da costituire la struttura della personalità: egli è psicologicamente pronto a fare ciò che deve fare secondo le norme coercitive del suo gruppo; c) queste norme esterne, che portano al cambiamento, possono derivare dal contatto del gruppo con altri gruppi esterni, organizzati secondo norme diverse, da rapporti di «acculturazione». Da qui una visione dei processi educativi alquanto difforme dalla sua iniziale visione idealizzata: l’apprendimento non avviene in modo naturale, senza problemi, per chi deve apprendere, ma in una situazione conflittuale che crea, all’interno dell’individuo, una continua tensione, un continuo dinamismo che si verifica durante la fase dell’inculturazione adattiva tra un​​ quid​​ che c’è già dentro l’individuo e ciò che la cultura vuole che lui introietti dall’esterno. Questa tensione si svolge durante tutta la vita ed emerge quando circostanze particolari l’agevolano, producendo cambiamento, cioè nuova cultura. Ma per la definizione di questo​​ quid​​ bisogna aspettare l’elaborazione freudiana della teoria psicologica dell’inconscio. Infatti, anni dopo è A. Kardiner, psicoanalista neo-freudiano, a proporre uno schema operativo di spiegazione dei rapporti tra cultura e personalità, con la collaborazione di R. Linton, antropologo della scuola boasiana. È l’inizio del secondo periodo di questo filone di studi antropologici sull’educazione, cui si è accennato sopra. La cultura preesiste all’individuo già al momento della sua nascita. Nei primi anni di vita il piccolo della specie umana ha bisogno di cure finché non raggiunge l’autosufficienza e, grazie a queste cure, riceve soddisfazione ad una serie di suoi impulsi e di suoi bisogni psicofisiologici. La​​ ​​ frustrazione per Kardiner – a differenza di Freud – non viene prodotta dalla repressione del principio del piacere, ma dal mancato soddisfacimento dei bisogni fondamentali, cioè dal principio della realtà. I risultati della repressione sono rinvenibili nelle relazioni sociali imperfette, carenti, malsicure: il bambino che subisce repressioni dovute a scarse cure proietta successivamente sul sociale questo senso di carenza o di rivalità generando, attraverso questa proiezione, il significato ideologico delle norme sociali. Un certo tipo di repressione produce un certo tipo di assetto sociale che è coerente per tutti i momenti della vita sociale, perché unificato da una comune ideologia. Questo ordine sociale viene trasmesso da una generazione all’altra attraverso un sistema di allevamento infantile congruente con il modello di ordine sociale. Il bambino, per vedere soddisfatti i suoi bisogni, deve adattarsi a questo modello facendolo proprio e formandosi così un fondamento, una «personalità di base». Tutto ciò che si è prodotto nello scontro tra la struttura della personalità del bambino ed il primo rapporto con la cultura per la soddisfazione dei suoi bisogni, verrà ricercato dall’individuo, diventato adulto, in alcune istituzioni della società, istituzioni essenzialmente di tipo ideologico. Kardiner chiama queste istituzioni «secondarie» e chiama «primarie» quelle che presiedono al soddisfacimento dei bisogni fondamentali del bambino. L’insieme dei sistemi adattivi (nei confronti delle istituzioni primarie) e proiettivi (nei confronti delle istituzioni secondarie) costituisce ciò che Kardiner chiama la «struttura della personalità di base», che si pone a metà strada tra le istituzioni che sovraintendono al sostentamento e le istituzioni che costituiscono il sistema ideologico di un gruppo. La coerenza tra cultura e personalità viene postulata tanto all’interno delle istituzioni culturali quanto all’interno degli individui membri del gruppo. Infine, da esplicitare, come sottolinea Tentori, la serie di postulati che sono alla base del passaggio teorico tra risultati dell’educazione e presupposti culturali della formazione, riguardo alla personalità di base: a) le prime esperienze dell’individuo esercitano un influsso duraturo sulla personalità, specie sullo sviluppo dei sistemi proiettivi; b) esperienze analoghe tendono a produrre configurazioni della personalità simili in individui che sono soggetti ad esse; c) le tecniche che i membri di ogni società impiegano nella cura e nell’allevamento dei fanciulli sono culturalmente modellate e tendono ad essere simili, benché mai identiche; d) le tecniche culturalmente modellate per la cura e l’allevamento dei soggetti differiscono da una società all’altra.

4.​​ Interculturalità e multiculturalità.​​ Un contributo significativo può oggi dare l’a. allo studio dei problemi d’acculturazione derivanti, nelle stesse società occidentali, dalla presenza di individui e gruppi provenienti da culture diverse rispetto al contesto d’ospitalità. I due termini interculturalità e multiculturalità, secondo prospettive diverse, stanno proprio ad indicare il complesso delle relazioni tra culture «altre» e distanti, venute in contatto diretto sul terreno delle società occidentali. La presenza di tali fenomeni culturali, in parte nuovi per alcuni Paesi europei, mette in luce dinamiche spesso di conflitto tra le parti e pone, comunque, problemi di prospettiva politico-educativa e di reciproca conoscenza delle parti in gioco. Fenomeni di etnocentrismo, razzismo, intolleranza si contrappongono qui, sulla base del rapporto di alterità e differenza culturale, ad altrettanti valori quali il relativismo, l’integrazione, la tolleranza. Alla pratica e diffusione di questi valori può oggi contribuire l’a., proprio come studio della distanza culturale, per le sue specifiche finalità conoscitive, mentre all’educazione spetta il compito di avviare riflessioni, strumenti d’intervento, quadri teorici ed esperienze di interculturalità e multiculturalità. In particolare, luogo privilegiato di analisi e formazione consapevole di queste prospettive socio-culturali è il contesto scolastico. In questo contesto, infatti, si esprimono i meccanismi anche inconsci del controllo sociale e di esclusione della parola, quale garanzia del potere e dell’organizzazione dei ruoli sociali e culturali. Ancora, tra le pareti scolastiche si giocano i diversi ruoli nel rapporto docente / discente che esprimono massimamente i codici della comunicazione tra persone di diverse culture. Infatti, il processo della conoscenza, che si articola attraverso i diversi livelli di comunicazione, comprensione e spiegazione, in questo contesto può diventare strumento dell’incontro tra libere espressioni di portatori di diversa cultura, se il docente controlla il suo stesso codice pedagogico messo in atto. Da un punto di vista, poi, dei linguaggi la classe diventa luogo di acculturazione reciproca nella prospettiva di un confronto e di un’interazione in cui entra in gioco tutta la gamma delle potenzialità espressive linguistiche, grafiche, gestuali, cinesiche, prossemiche dei discenti. Non si tratta soltanto di penetrare l’esperienza altrui con gli strumenti propri della «riduzione antropologica», sia pure mettendo in luce ed esplicitando le nostre pregiudiziali per cogliere i modi d’esperire dell’altro. Piuttosto, l’indagine «antropologica» si apre a partire dalla intersoggettività che fonda la relazione con l’altro, cioè dalla relazione tra soggetti. In questo senso, come nota G. Bateson, «ogni significato dell’informazione e della comunicazione dipende dalla differenza che dà senso all’unità», come dire, ancora, che «è nell’ascolto che si genera la comunicazione».

Bibliografia

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M. Squillacciotti