HERBART Johann Friedrich

image_pdfimage_print

 

HERBART Johann Friedrich

n. a Oldenburg nel 1776 - m. a Gottinga nel 1841, filosofo e pedagogista tedesco.

1.​​ Biografia e opere.​​ Figlio unico di una madre brillante e di un padre burocrate, ebbe la prima educazione in famiglia da precettori e dimostrò notevoli doti musicali. Studiò poi nel locale ginnasio e nel 1794 intraprese gli studi di filosofia a Jena, in contrasto con il padre. Fu discepolo prediletto di Fichte e si iscrisse a una società studentesca sotto la sua guida. Nel 1796 ebbe una crisi intellettuale e maturò il distacco da Fichte, alla ricerca di una via personale, appoggiandosi ai presocratici e a​​ ​​ Platone. Accettò, in questa situazione, l’invito a fare il precettore nella casa di K. F. Steiger, in Svizzera, occupandosi dei tre figli maggiori (di 14, 9 e 7 anni) fino al 1800. Qui mise a punto le sue idee pedagogiche, grazie agli incontri con​​ ​​ Pestalozzi e alla sua stessa esperienza, giungendo, al tempo stesso, a una prima organica formulazione del suo pensiero filosofico. Tornato in patria, continuò la sua riflessione in questa doppia direzione, mentre terminava gli studi. Dal 1802 al 1808 fu professore universitario a Gottinga; dal 1808 al 1831 lo fu a Königsberg, ricoprendo la cattedra che fu di​​ ​​ Kant; ampliò i suoi interessi ed esperienze pedagogiche, soprattutto con l’apporto di studi psicologici, con la creazione di un «seminario», cui volle affiancare una scuola modello, e con il consolidarsi, attorno a lui, di una «Società pedagogica». Fallito il tentativo di sostituire Hegel a Berlino, tornò a Gottinga, anche per ragioni climatiche, dove insegnò fino alla morte, accelerata, forse, dalle incomprensioni, a livello politico, dopo la bufera scatenatasi con le purghe all’università del 1837, quando era decano della facoltà. Il suo comportamento, di fatto remissivo di fronte all’imposizione governativa, gli valse allora un quasi totale isolamento e giudizi assai negativi, da parte di critici posteriori. Si sposò con una sua studentessa (1811), ma non ebbe figli propri; adottò praticamente, con il consenso e l’aiuto della moglie, l’orfano di un suo allievo, Otto Stiemer, debole di mente, dal quale, nonostante i relativi successi, non ebbe particolari gratificazioni. La vita di H., apparentemente piana, è stata irta di difficoltà: dalla salute cagionevole, alle incomprensioni del padre, al distacco da Fichte, ai problemi economici (che gli imposero, tra l’altro, di tenere lezioni private), all’assenza di attesi apprezzamenti, fino agli scontri aperti del 1837. Ciononostante la sua produzione «scientifica», che portò all’affermarsi di una sua «scuola», più pedagogica che filosofica, è stata abbondante e innovativa. A prescindere dai​​ Berichte​​ allo Steiger, e da scritti pedagogici minori del 1801-3, tra cui anche gli incompiuti​​ Diktate zur Pädagogik, il primo saggio più organico e ampio fu:​​ Pestalozzis Idee eines ABC der Anschauung, seguito da un’interessante appendice sulla​​ «Rappresentazione estetica del mondo»​​ (1804). Nel 1806 vi fecero seguito la sua opera pedagogica più nota:​​ Allgemeine Pädagogik aus dem Zweck der Erziehung abgeleitet,​​ le incompiute​​ Pädagogische Briefe​​ (1830-1832) e, nel 1835 e 1841, le due edizioni dell’Umriss pädagogischer Vorlesungen. Per gli altri scritti filosofici e psicologici, che pure hanno spesso attinenza con la pedagogia, si vedano le​​ Sämtliche Werke.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ È inscindibilmente collegato a quello filosofico (al cui interno H. colloca la pedagogia, come anche altri faranno), che è il risultato di influssi kantiani, da lui riconosciuti, di resti razionalistici e dell’idealismo, che invece decisamente rigetta. La sua filosofia, denominata​​ realismo,​​ rilancia il ruolo e il senso dell’esperienza,​​ della quale va resa condivisibile la conoscenza (la cui validità egli giustifica criticamente) e che sarà collocata a fondamento di tutta la sua concezione, anche pedagogica. Affrontato per tempo e con serietà il problema epistemologico, giunge alla conclusione che la​​ filosofia​​ è​​ «elaborazione di concetti»​​ e si articola in logica, metafisica e estetica, che, a sua volta, comprende l’estetica in senso stretto e l’etica. Ognuna di loro può essere «pura» o «applicata», cosicché la​​ pedagogia​​ nel sistema herbartiano trova precisamente il suo posto nell’etica applicata (unitamente alla politica, che riguarda il sociale anziché il singolo) e dunque è​​ scienza filosofica,​​ sostanzialmente subordinata alla sola​​ ​​ etica, da cui deriva il suo​​ fine ultimo:​​ la​​ virtù.​​ L’apporto della psicologia invece, da cui pure dipende, è solo di carattere strumentale. Tuttavia H. riconosce un’autonomia alla pedagogia, in quanto «punto centrale di una sfera di ricerche», che può quindi elaborare «un proprio pensiero indipendente», servendosi di un​​ metodo​​ preferibilmente​​ deduttivo.​​ È pertanto una​​ scienza pratica e applicata,​​ che si articola, come le altre, in un​​ momento sintetico​​ (esposto nella​​ Pedagogia generale)​​ e uno​​ analitico​​ (di cui dovevano trattare le​​ Lettere pedagogiche).​​ A tale scienza, di cui H. è comunemente ritenuto il fondatore, fa riscontro un’«arte dell’educazione»,​​ ispirata dalla teoria e all’origine del​​ «tatto pedagogico»,​​ che caratterizza un buon educatore. a) Dalla​​ psicologia,​​ che H. ha esposto a livello più popolare in un’apposita enciclopedia e a livello scientifico in due volumi (Psychologie als Wissenschaft),​​ derivano tuttavia alcuni concetti rilevanti per la sua pedagogia. In particolare: la​​ cerchia delle idee​​ (elaborazione soggettiva delle masse di «rappresentazioni» o di atti psichici, che contribuirà alla formazione del​​ carattere),​​ i​​ gradi formali​​ (molto strumentalizzati in funzione didattica dai seguaci di H., i quali intervengono nella formazione e nel consolidamento della cerchia di idee) e, soprattutto, la​​ plasmabilità​​ (Bildsamkeit),​​ «il concetto fondamentale della pedagogia», in quanto permette e giustifica, al tempo stesso, l’intervento educativo sia del soggetto, che dall’esterno. La plasmabilità tuttavia non ammette manipolazione, poiché il soggetto è sempre attivo e libero; è invece collegata e dipendente dall’individualità, come dalla cerchia delle idee, dalle circostanze di luogo e di tempo, nonché dall’ambiente umano (Umgang),​​ in cui il soggetto stesso vive e da cui trae le sue prime esperienze. Troppo spesso si sono dimenticati questi fondamenti teorici delle tesi herbartiane. b) Anche l’articolazione dell’intervento educativo, esposta soprattutto nella​​ Pedagogia generale,​​ nei tre momenti del​​ governo,​​ dell’insegnamento​​ e della​​ coltura​​ morale si ricollega alla psicologia, pur consentendo da parte della riflessione pedagogica un’elaborazione autonoma. D’altronde, dice H., «la separazione di questi concetti serve per la riflessione dell’educatore», poiché in realtà non sono sempre disgiungibili. Il​​ governo​​ è il meno importante, con una funzione preparatoria, e il meno duraturo: riguarda specialmente i primi anni di vita e vi hanno parte soprattutto l’amore e l’autorità dei genitori, come anche le occupazioni, ma non va impostato sulla sorveglianza. Il suo fine sta nel creare l’ordine, che permette la fruibilità degli interventi educativi. L’insegnamento​​ (Unterricht)​​ invece ha un ruolo preminente, benché in chiave educativa più che intellettualistico-istruttiva. Suoi obiettivi sono, da una parte, l’interesse.​​ dall’altra, la​​ multilateralità​​ del medesimo. Ora l’interesse,​​ concetto su cui H. ha riflettuto a partire dal 1800, lo identifica tardivamente con l’«autoattività»​​ e si suddivide in diversi tipi, di cui quelli suaccennati sono i principali, in quanto riguardano i due aspetti fondamentali della vita: il conoscere e il rapportarsi agli altri, pur con diverse modalità. La​​ multilateralità dell’interesse,​​ fine peculiare dell’insegnamento educativo e sua condizione, punta a un equilibrio e, al tempo stesso, a un progressivo ampliamento dei due filoni principali (conoscenza e partecipazione), che accrescono e moltiplicano le possibilità umane, superando, al tempo stesso, i difetti dell’unilateralità e della superficialità. In questa funzione compaiono i «gradi formali», che s’inseriscono nel gioco delle masse di rappresentazioni e dunque della cerchia delle idee. La​​ coltura​​ (Zucht)​​ infine, che sotto il profilo educativo si qualifica come «morale», perché tesa appunto alla moralità, cui garantisce stabilità ed efficienza, ha come fine la «fortezza del carattere nella moralità». Il concetto di​​ carattere,​​ variamente chiarito da H., ha, in ogni caso, una connotazione di neutralità etica, che è superata invece con la «coltura», che aiuta a vincere la «lotta interiore», presente in ognuno. La formazione del carattere è dunque importante, dal momento che consente il miglior utilizzo delle proprie possibilità, ma è indispensabile, dal punto di vista educativo, la «fortezza del carattere nella moralità», che assicura l’orientamento etico nell’agire. c) In questo quadro H. inserisce riflessioni didattiche di rilievo, sul significato e sulla sequenzialità delle discipline scolastiche, per es., in rapporto alle finalità dell’insegnamento. Così, superando precedenti posizioni, dà un posto qualificante e di guida alle​​ scienze,​​ in rapporto all’interesse di conoscenza, e alla​​ storia,​​ in rapporto a quello di partecipazione. Nell’attività didattica è comunque imprescindibile un’attenzione al passato dell’allievo, all’esperienza acquisita a livello tanto conoscitivo quanto di partecipazione. In essa inoltre riconosce un ruolo particolare, da un lato, all’intuizione,​​ di eredità pestalozziana, pur intendendola diversamente; e dall’altro alla​​ concentrazione, che comporterebbe non solo la non dispersione frammentata dei singoli insegnamenti, all’interno dell’orario scolastico settimanale, ma soprattutto la possibilità di organizzarlo per qualsiasi materia in​​ «episodi».​​ In tal modo, mentre gli allievi più dotati possono intrattenervisi con approfondimenti, ci sarà una possibilità di recupero per i meno dotati. Nella sua difesa del singolo soggetto e delle sue peculiarità, H. richiede classi poco numerose e si oppone alla determinazione dei programmi a livello statale, perché o non adatti ai singoli o molto generici. Si può vedere in ciò un tentativo di conciliazione tra le esigenze a lui contemporanee dei filantropisti, centrati sulla didattica, e dei neoumanisti, cui premeva più la qualità del soggetto. Quanto all’organizzazione della​​ scuola​​ H. ne ha difeso un​​ duplice orientamento,​​ che si potrebbe dire​​ tecnico e classico,​​ entrando però anche nel merito della struttura delle classi e degli esami, con osservazioni d’avanguardia. Infine ha offerto un chiaro contributo, per l’epoca, alla​​ pedagogia emendativa​​ (prendendo in considerazione le anormalità), a quella​​ evolutiva,​​ specie in chiave psicopedagogica, e si è anche occupato di​​ orientamento,​​ rigettando l’interferenza allora decisiva dei genitori nella scelta della scuola. Tuttavia ha chiaramente sostenuto che l’educazione «è un affare della famiglia», proprio in contrapposizione a intrusioni ancora più esterne e impositive. La​​ scuola​​ è stata riconosciuta da lui come un​​ male necessario,​​ inevitabile, date le situazioni sociali, più che come un’istituzione positiva; e in tutto ciò sembra indiscutibile anche l’apporto della sua esperienza personale.

3.​​ Valutazione.​​ L’influsso delle tesi herbartiane è stato molto esteso (dall’Europa, agli USA, al Giappone) e significativo, tanto da costituire in alcuni Paesi vere e proprie «scuole». Alla luce degli studi più recenti s’impone tuttavia un ridimensionamento dei giudizi più comunemente espressi su H., in senso sia elogiativo-apologetico, da parte di suoi discepoli, sia critico-negativo, da parte di chi non ne ha compreso adeguatamente il pensiero. Da un lato, non si può negare un certo​​ razionalismo,​​ da cui una relativa artificiosità, e un​​ disimpegno politico,​​ collegato alla sua attenzione prevalente per il singolo, sebbene abbia affermato che «l’uomo non è nulla fuori della società» (K., VI,16). Dall’altro, vanno invece respinte le accuse di intellettualismo, di moralismo o di «magistrocentrismo» (​​ Dewey), che contrastano con la sua visione antropologica di uno​​ sviluppo solidale,​​ sia intellettuale che operativo, confermato anche dal rigetto delle classiche «facoltà» umane, tra loro realmente distinte, se non indipendenti. Tra i meriti sta anche l’attenzione al singolo​​ con le sue peculiarità, ma soprattutto l’educatività dell’insegnamento,​​ che non può prescindere, proprio per questo, dal collegamento con l’esperienza e con le conoscenze già acquisite e che perciò richiede grande flessibilità, persino a livello istituzionale.

Bibliografia

una bibliografia pressoché completa in Pettoello R.,​​ Idealismo e realismo. La formazione filosofica di J.F.H.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1986, 256-288;​​ Sämtliche Werke. In chronologischer Reihenfolge,​​ a cura di K. Kehrbach - O. Flügel, 15 voll. + 4 voll. di​​ Briefe von und an H., a cura di Th. Fritzsch, Aachen, Scientia, 1989 (in it.:​​ Pedagogia generale derivata dal fine dell’educazione, a cura di I. Volpicelli, Firenze, La Nuova Italia, 1997); Asmus W.,​​ J.F.H. - Eine pädagogische Biographie, 2​​ voll., Heidelberg, Quelle & Meyer, 1967-1970; Bellerate B.,​​ La pedagogia in J.F.H. Studio storico-introduttivo,​​ Roma, LAS, 1970;​​ Geissler E.,​​ H.s Lehre vom erziehenden Unterricht,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer, 1970; Blass J. L.,​​ Pädagogische Theoriebildung bei J.F.H.,​​ Meisenheim a. Glan, Hain, 1972; Bellerate B.,​​ J.F.H. und die Begründung der wissenschaftlicher Pädagogik in Deutschland,​​ Hannover, Schrödel, 1980; Klafkowski M.,​​ Die philosophische Grundlegung des erziehenden Unterricht bei H.,​​ Aalen, Scientia Verlag,​​ 1982; Pettoello R. (Ed.),​​ J.F.H. - 1841-1991,​​ Settimo Milanese, Marzorati, 1992; Volpicelli I.,​​ H. e i suoi epigoni. Genesi e sviluppo di una filosofia dell’educazione, Torino, UTET, 2003.

B. A. Bellerate