COUNSELLING
C. proviene dall’ingl. to counsell, in it. consigliare ed è un termine che si utilizza nella lingua originale poiché è di difficile trad. a causa della complessità del mestiere e delle competenze significate. In Inghilterra, lo si scrive con due «l», negli USA con una.
1. Natura. Il c. è una relazione d’aiuto tra un counsellor e un utente in un processo pedagogico di breve durata con la finalità di sviluppare le potenzialità per la prevenzione-superamento di situazioni di disagio (a livello emozionale, sociale, educativo, culturale, valoriale, esistenziale, religioso, morale, vocazionale) che non comportino una ristrutturazione personale profonda con il ricorso alle tecniche del confronto intrapsichico e / o interpersonale. Il c. ha come oggetto proprio la conoscenza delle dinamiche personali, i problemi, le decisioni e le crisi personali o relazionali. Le sue finalità sono: assicurare all’utente uno spazio per riflettere; abilitarlo o riabilitarlo di fronte al problema; arricchire i suoi significati; scoprire nuove alternative per la sua vita personale, interpersonale, culturale e interculturale; sviluppare le risorse per una migliore qualità di vita personale e / o comune. Il c. si distingue da altre relazioni d’aiuto, specialmente dalla psicoterapia, caratterizzandosi come servizio a soggetti «sani». Questa nota specifica rende valido il c. per chi, facendo fatica ad andare dallo «psicologo» per non sentirsi «malato», può confidarsi con un counsellor come «bisognoso di ascolto» e non come «paziente». Il ruolo del counsellor è intermedio tra l’amico del cuore (non sempre disponibile) e lo psicologo (non sempre necessario).
2. Il processo. Il c. è un processo intenzionale svolto in successivi colloqui che riassumono in sé lo spirito dell’intero percorso con il contributo di varie competenze specifiche. Dal counsellor si richiede una preparazione remota e immediata che privilegia l’accoglienza non giudicante e libera dall’ansia che il soggetto ispira. Nei suoi atteggiamenti egli dovrebbe andare dalla chiusura all’apertura, dal rifiuto all’accoglienza, dalla superiorità alla reciprocità, dal giudizio all’accettazione, dall’improvvisazione alla previsione, dalle incoerenze alla congruenza, dall’indifferenza all’empatia e al coinvolgimento. Da parte dell’utente, è necessaria l’identificazione delle motivazioni «vere» e della condizione di partenza riguardo al c. (accettazione o rifiuto, ammirazione o disprezzo, apertura o riluttanza, scelta personale o costrizione esterna). Il counsellor, dunque, conduce il soggetto al maggior livello di coinvolgimento possibile attraverso una relazione fiduciosa costruita con domande di senso, rilettura del passato e rielaborazione della progettualità vissuta ma non sempre riflessa. Nella prima fase il counsellor deve facilitare la creazione di un’alleanza per la ricerca della verità. Poi egli rileva i dati essenziali dell’utente, l’interazione iniziale, il problema e i tentativi di soluzione nei termini del soggetto, le sue risorse e l’impressione generale. È importante l’osservazione degli elementi verbali e non verbali (sguardo, sorriso, mimica, tono di voce) e la gestione della distanza e del movimento. Si devono determinare gli obiettivi dell’intervento in forma provvisoria, finché non si raggiunge una conoscenza migliore grazie all’intervento empatico. Infine, si devono comunicare le regole del c., normalmente espresse in un contratto. La seconda fase cerca l’identità personale e i nodi del problema. Nella terza fase si precisano gli obiettivi in termini positivi e verificabili e si progetta il cambiamento. La quarta fase consiste nell’applicazione responsabile del progetto. La verifica dei cambiamenti, quinta fase, chiude il processo; si devono analizzare anche il ritmo imposto e le strategie usate e si devono segnalare gli elementi positivi anche quando il soggetto abbia una visione pessimista di sé. Strumento essenziale del c. è l’ascolto attivo-riflessivo caratterizzato dall’attenzione al soggetto e dall’eliminazione degli ostacoli di ogni tipo. L’ascolto suppone anche la decodificazione dei messaggi e l’eliminazione degli atteggiamenti non facilitanti il → dialogo (valutazione, investigazione, sostegno consolatorio, facile soluzione e interpretazione), e l’assunzione dell’empatia, atteggiamento centrale del mestiere che si traduce nella riformulazione del messaggio, e si sostiene con l’incoraggiamento, il rispetto, la valorizzazione del positivo, la concretezza, l’immediatezza e l’autenticità, frutto dell’autoconsapevolezza e autorivelazione misurata del counsellor. Servono anche le domande di delucidazione per l’esplorazione, il riassunto, la focalizzazione e una comunicazione diretta. Il feed-back deve essere descrittivo e non critico, specifico e non generico, sul comportamento e non sulla persona, responsabilizzante e non direttivo. Manifestazione avanzata dell’empatia sono la segnalazione delle incoerenze e dei punti di forza del soggetto e la misura del suo cambiamento. L’intervento applica anche tecniche di influenzamento (informazioni e consigli) come frutto dell’analisi realizzata insieme. Principi etici del c. sono il rispetto del segreto e della privacy, il dominio delle competenze specifiche, la formazione permanente e la disponibilità alla supervisione, il rispetto dei confini della propria professionalità e dei valori dei suoi referenti.
3. Diversi tipi di c. Il c. può essere individuale o di gruppo, familiare o comunitario, e nei differenti contesti in cui si realizza richiede competenze specifiche. Perciò abbiamo diversi tipi di c.: scolastico, lavorativo, aziendale, sanitario, sportivo, filosofico, spirituale, pastorale e vocazionale. Secondo gli strumenti utilizzati abbiamo un c. telefonico o telematico. Secondo la scuola psicologica di riferimento, esistono altri tipi di c.: psicodinamico, cognitivo-comportamentale, umanistico-esistenziale, o secondo un modello integrato.
4. Cenni storici. Il c. inizia con la rivoluzione industriale (1800) nel mondo anglosassone nel settore dell’educazione con programmi di orientamento scolastico e universitario. Nel 1913, nasce la National Vocational Guidance Association, ma più avanti C. Rogers e la psicologia umanistica saranno i veri catalizzatori del c. Più tardi il c. sarà applicato alla riabilitazione, al lavoro, alla salute mentale e al settore militare. In Europa il c. si espande in Inghilterra, come servizio di orientamento pedagogico e di supporto socio-sanitario fatto dagli psicologi. A livello europeo sorgono la British Association for C. (1976) e l’European Association for C. (1994). In Italia sorge la prima scuola femminile di «assistenti sociali» (1929) che facilita l’approccio personale ai problemi dell’ambiente e con il contributo di O. Vallin (1960) venuto dalla Francia prende slancio l’idea della «prevenzione». Tra gli autori italiani risaltano: L. Cian, fondatore del COSPES a Genova (1971); M. Danon, che considera il c. «una professione per il terzo millennio» e ne descrive lo stato attuale; E. Giusti, precursore del Gestalt c., che applica i suoi principi al coaching; A. Di Fabio che inizia all’arte del c. Le scuole esistenti offrono diplomi di tre livelli secondo gli standard dell’Associazione Europea di C. Negli anni ’90 sono sorte varie associazioni che favoriscono la ricerca sul c. e si è creato il Registro Italiano dei Counsellor (2002). La Società Italiana di C. (1993) e il Coordinamento Nazionale dei Counsellor Professionisti (2002) accreditano formazione teorica e pratica e con il Coordinamento Libere Associazioni Professionali, sono impegnati con il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro per regolamentare il c. L’UE però richiede che le professioni con contenuti analoghi a ordini già esistenti siano regolamentate in rapporto a tali ordini e, avendo il c. consistenti connotazioni psicologiche, ancora non è stato oggetto di normative specifiche.
Bibliografia
Mucchielli R., Apprendere il c., Trento, Erickson, 1987 / 1997; Carkhuff R., L’arte di aiutare, Ibid., 1989 / 2004; Rosenthal H., Encyclopedia of c., New York-London, Brunner-Routledge, 2002; Danon M., C., Novara, Red, 2003; Di Fabio A., C. e relazione d’aiuto, Firenze, Giunti, 2003; Ivey A. - M. Ivey, Il colloquio intenzionale e il c., Roma, LAS, 2004.
M. Llanos