GESTALT

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GESTALT

Termine ted. che corrisponde al significato di «struttura unitaria», «configurazione armonica». Esso è legato a due correnti di ricerca, nate in periodi e con obiettivi diversi:​​ la psicologia della G.,​​ una scuola teorica tedesca che negli anni Venti ha studiato la percezione, e la​​ psicoterapia della G.,​​ una scuola clinica post-analitica, sviluppatasi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, nell’ambito delle psicoterapie umanistiche. Tuttavia, come vedremo, il fatto che queste due scuole siano accomunate dal nome G. non è casuale.

1.​​ La psicologia della G.​​ La​​ Gestaltpsychologie​​ o Scuola di Berlino si inserisce tra le scuole strutturaliste della percezione, di cui rappresenta sicuramente quella che ebbe il maggiore influsso sullo sviluppo della psicologia (Ronco, 1977, 41ss.). La nascita della psicologia della G. si fa risalire al 1912, quando M. Wertheimer scrisse un articolo in cui identificava un processo percettivo unitario – da lui chiamato fattore «phi» – grazie al quale i singoli stimoli verrebbero integrati, nel soggetto, in una forma dotata di continuità. Ciò significava che quello che prima era stato considerato un processo passivo – il percepire – veniva ad essere pensato come qualcosa di gran lunga più attivo, come un’attività subordinata a certi principi organizzativi generali. Wertheimer intuì che non sono gli stimoli elementari ad essere colti dall’organismo che percepisce ma piuttosto le stesse configurazioni unitarie. In altre parole, per l’organismo che percepisce, l’insieme significativo è lo stimolo (Wertheimer, 1959). Da qui la legge gestaltica per cui il tutto viene prima delle parti. Wertheimer individuò una serie quasi infinita di «leggi» sul funzionamento delle G. percettive, la più importante delle quali è la​​ legge della pregnanza:​​ ciò che viene percepito contiene una forma organizzata che è​​ la migliore possibile,​​ in date condizioni ambientali, ossia risponde ad un principio di economia dell’organizzazione (il massimo dell’informazione nella struttura più semplice). Gli psicologi della G. si impegnarono in ricerche approfondite che potessero validare le loro intuizioni sul processo percettivo e, in questo percorso, il loro modello si spostò verso una accentuazione dei fattori interni all’organismo nella formazione delle G., allontanandosi dalla prospettiva originaria di Wertheimer sulla possibilità di quantificare oggettivamente, nell’ambiente, le «buone G.». Il contributo di​​ ​​ Lewin portò la psicologia della G. fuori del laboratorio, nella realtà molto più complessa della vita quotidiana, che egli considerò come «il campo» in cui l’individuo si muove per raggiungere i propri obiettivi. Il campo percettivo è per Lewin una sorta di sfondo, di mappa mentale da cui emergono di volta in volta figure nuove, che poi ritornano nello sfondo per lasciare il posto ad altre figure, percepite dall’organismo come rilevanti per il raggiungimento dei propri scopi. Ciò implica che uno stesso oggetto può essere percepito con significati diversi a seconda degli obiettivi o del bisogno che l’individuo avverte in quel momento, così come essi interagiscono con il contesto situazionale in cui sono inseriti. In altre parole, per Lewin (1935)​​ il bisogno organizza il campo.​​ Queste intuizioni di Lewin diedero il via a una serie di ricerche sul​​ ​​ problem solving​​ (che diventava il paradigma di tutta l’attività cognitiva del soggetto) e sul concetto correlato di​​ insight​​ (Köhler, 1947), così importante per la psicoterapia, nonché sul «carattere di richiesta» delle situazioni incompiute (Zeigarnik, 1927). Un’ulteriore elaborazione della psicologia della G. dal punto di vista dello sviluppo di una teoria della personalità e della psicoterapia fu il contributo del neurologo K. Goldstein, del quale fu assistente di laboratorio per un breve periodo F. Perls, che poi avrebbe fondato la psicoterapia della G. Goldstein, come Lewin e Perls, fu al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e molte delle sue ricerche furono condotte su ex-combattenti con danni cerebrali. Questi studi condussero Goldstein ad affermare che il comportamento è organizzato in modo da coinvolgere sempre l’intero organismo (Goldstein, 1939; 1940). L’unico impulso o istinto di cui si possa parlare nel comportamento umano è l’impulso a interagire con l’ambiente e a organizzare quella interazione in schemi. Goldstein affermò ciò con forza, opponendosi alla tendenza meccanicistica che caratterizzava alcuni studi psicologici, non ultimo il modello freudiano, e che vedevano nella riduzione della tensione il fine ultimo del comportamento umano. Goldstein chiamò​​ impulso all’auto-attualizzazione​​ questo unico vero impulso, che organizza tutti gli altri pseudo-impulsi e comportamenti dell’organismo in modo gerarchico.

2.​​ La psicoterapia della G.​​ La psicoterapia della G. si inserisce tra le terapie umanistiche. Nasce a New York, nel 1950 circa, dalle intuizioni di F. Perls, uno psicoanalista ebreo tedesco, emigrato negli anni Quaranta per motivi razziali in Sudafrica e poi negli Stati Uniti, e per opera di un gruppo di intellettuali statunitensi, profondi conoscitori della psicoanalisi, che elaborò le intuizioni di Perls. Questi, insoddisfatto della teoria freudiana dell’Io, intuì che l’introiezione termina il proprio compito evolutivo fondamentale molto prima di quanto avesse teorizzato​​ ​​ Freud e indicò nello sviluppo dei denti (fase dentale)​​ l’evidenza fisiologica di tutto ciò. La capacità di masticare e di mordere che nasce nell’organismo con lo sviluppo dentale dà assoluto rilievo all’aggressività in un momento evolutivo significativamente anteriore a quello teorizzato da Freud. Inoltre, l’aggressività stessa venne intesa da Perls in termini positivi, di sopravvivenza e di crescita fisica ed esistenziale dell’organismo. In questo senso il pensiero di Perls si poneva quale modalità di superamento del dualismo presente nella metapsicologia freudiana tra impulsi dell’individuo e necessità dell’organizzazione sociale. Infatti, dal momento che l’individuo è soggetto che destruttura e ristruttura, gli si apre la possibilità concreta di vivere nel proprio mondo con pienezza. Le tre parole-chiave del titolo del primo libro di Perls, scritto nel 1945, prima ancora della fondazione della psicoterapia della G. –​​ L’Io,​​ la fame,​​ l’aggressività​​ (Perls, 1995) – sintetizzano la sua critica alla teoria freudiana sulla natura umana: non aver dato il giusto e fondamentale rilievo alla capacità dell’Io di soddisfare i propri bisogni (la fame)​​ attraverso un’attività autoaffermativa (l’aggressività),​​ che gli consente di assimilare o rifiutare l’ambiente, a seconda che esso gli si presenti come nutriente o nocivo. L’Io, la fame, l’aggressività diventarono quindi gli elementi portanti di questo nuovo modello di psicoterapia, i cui fondamenti sono contenuti nell’opera di F. Perls, R. Hefferline e P. Goodman,​​ G. therapy: excitement and growth in the human personality​​ (1951). Alla base di esso c’è la convinzione che ogni esperienza non può che avvenire al confine del contatto tra un organismo animale umano (così si esprimevano, in termini organicistici, i fondatori della psicoterapia della G.) e il suo ambiente. È proprio ciò che avviene in questo confine che è disponibile all’osservazione scientifica e all’eventuale intervento terapeutico. Il processo di contatto tra l’organismo umano e il suo ambiente consente all’individuo di imparare ad orientarsi nel mondo e ad agire su di esso al fine autoconservativo di assimilare la novità​​ ​​ il diverso da sé​​ ​​ e di crescere. Il confine di contatto è pertanto il luogo in cui è possibile mettere insieme la​​ creatività​​ (che esprime l’unicità dell’individuo) con l’adattamento​​ (che esprime la reciprocità necessaria al vivere sociale). Il modo in cui l’individuo fa (o non fa) contatto con il proprio ambiente descrive la sua funzionalità psichica. All’adattamento creativo, inteso come meta dello sviluppo sano dell’individuo, possiamo ricondurre il concetto di maturità in psicoterapia della G. Esso non risponde a un modello univoco di salute (From, 1985), ma consente la modulazione individuale su parametri di autorealizzazione e di accoglienza della novità portata dall’ambiente / altro. I bisogni individuali e quelli comunitari vengono integrati senza il sacrificio «a priori» di nessuno (Perls et al. 1951, 456ss.). Nella psicoterapia della G., quindi, la crescita di una persona verso l’autonomia coincide con la sua capacità di decidersi per l’incontro con l’altro, con il Tu. A livello clinico, dall’intuizione di Perls conseguirono alcune sostanziali differenze nella prassi psicoterapica: si pensi per esempio alla ridefinizione positiva dell’aggressività del paziente, al valore di recupero della spontaneità organismica dato alla capacità di concentrazione, che Perls sostituì alle libere associazioni, alla geniale sostituzione del concetto di causa-effetto con quello di funzione (From, 1985).​​ 

3.​​ Gli sviluppi successivi della teoria e della prassi della psicoterapia della G.​​ sono stati caratterizzati da una varietà di scuole, che si diversificano per il rilievo dato alla teoria del sé in quanto processo di contatto, l’essenziale novità di questo approccio tra le terapie umanistiche. Esse possono essere raggruppate in tre indirizzi: 1) la scuola di New York, rimasta fedele alle intuizioni del gruppo fondatore, le ha sviluppate con contributi teorici e applicazioni cliniche in situazioni di gruppo; 2) il movimento cosiddetto «viscerale», sviluppatosi lungo la costa californiana degli Stati Uniti, in seguito alle dimostrazioni «miracolose» (non supportate da spiegazioni teoriche) fatte da Perls con gruppi di pazienti affascinati dall’uso della drammatizzazione nel setting terapeutico, individua nella consapevolezza lo strumento terapeutico e dà valore alla soggettività, al corpo e alle emozioni nella crescita della persona; 3) infine, la scuola di Cleveland, un orientamento più eclettico che si focalizza sulla creazione di un linguaggio comune anche ad altri approcci terapeutici e su applicazioni a vari campi del sociale, come la consulenza aziendale. Da un punto di vista critico, l’avere intuito l’apporto creativo e significante che la forza aggressiva dell’organismo dà alle relazioni umane ha sostenuto nei primi decenni un clima teorico improntato spesso a una ribellione fine a se stessa, che ha minato significativamente l’adesione unanime ai paradigmi originali che caratterizzano i fondamenti dell’approccio. Tale mancanza di unitarietà del corpo teorico e metodologico ha lasciato oggi il posto ad un comune interesse per uno sviluppo in chiave ermeneutica capace di dare risposte alle esigenze della attuale società.

Bibliografia

Zeigarnik B.,​​ Über das Behalten von erledigten und unerledigten Handlungen,​​ in «Psychologische Forschung»​​ 9 (1927) 1-85; Lewin K.,​​ A dynamic theory of personality,​​ New York, McGraw-Hill, 1935; Goldstein K.,​​ The organism,​​ Boston, American Book Company, 1939; Id.,​​ Human nature in the light of​​ psychopathology,​​ Cambridge, Harvard University Press, 1940; Köhler W.,​​ G. in psychology,​​ New York, Liveright, 1947; Perls F. - R. Hefferline - P. Goodman,​​ G. therapy: excitement and growth in the human personality,​​ New York, The Julian Press, 1951; Wertheimer M.,​​ Productive thinking,​​ New York, Harper & Row, 1959; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia, vol. 2.​​ Conoscenza e apprendimento,​​ Roma, LAS, 1977; From I.,​​ Requiem for «G.»,​​ in «Quaderni di G.» 1 (1985) 22-32; Perls F.,​​ L’io,​​ la fame,​​ l’aggressività,​​ Milano, Angeli, 1995.

M. Spagnuolo Lobb