PARTECIPAZIONE SCOLASTICA

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PARTECIPAZIONE SCOLASTICA

Processo socioculturale per cui i soggetti che direttamente o indirettamente (e quindi con diversi titoli, motivazioni e capacità) danno vita all’istituzione scolastica, concorrono con ruoli diversi e con interazioni formali e informali a qualificarne le finalità e la natura e a determinare le modalità concrete di esercizio delle sue funzioni.

1. Il​​ concetto di p.​​ Partecipare è un verbo che qualifica i suoi significati in rapporto all’attività e alla funzione a cui si «prende parte». Il partecipare a certi tipi di attività è spesso condizione di felicità per i singoli ed è aumento delle probabilità di riuscita, come diceva eudemonisticamente il Rapporto Faure (Unesco, 1972); ma può anche essere un’occasione di ostacolo e di rallentamento dell’attività stessa; e può, per i singoli, aumentare la sofferenza e il senso dell’impotenza, anziché la soddisfazione. I processi di p. nascono spesso dalle rivendicazioni di chi considera il proprio stato di marginalità o di emarginazione come un’ingiustizia. Come dimostra un’esperienza anche non lontana, i movimenti partecipativi sono però esposti sia al ricatto colpevolizzante dei detentori del potere, sia al corto circuito ideologico di chi veda come unicamente valida e dotata di legittimità e di senso la propria azione volta a contestare e a rivendicare il potere. D’altra parte l’esperienza stessa della p.​​ politica​​ entro le strutture democratiche del paese e della p.​​ sociale,​​ entro le strutture previste dalle leggi degli anni ’70, dai quartieri alla scuola, alla sanità, alle aziende, ha profondamente deluso quelle consistenti masse di persone, che avevano creduto di poter fare esperienze esaltanti di dialogo e di cambiamento istituzionale, attraverso il contributo di tutti, dai professionisti agli utenti ai semplici cittadini. Le ricerche sociali degli ultimi anni hanno messo in luce il calo di atteggiamenti partecipativi e di disponibilità all’impegno sociale nelle istituzioni. Le responsabilità, come di solito succede di fronte a fenomeni vasti e complessi, sono di ordine economico-sociale, di ordine istituzionale e di ordine culturale, anche se diverse analisi attribuiscono maggior peso all’uno o all’altro fattore. C’è chi denuncia la scarsità degli spazi di decisionalità offerti alla p. sociale, chi denuncia la chiusura del personale tecnico e burocratico di fronte agli «esterni», chi lamenta l’impreparazione e l’invadenza o la latitanza dei soggetti chiamati a partecipare, c’è chi dichiara addirittura improponibile la p. per certi settori, come quello scolastico, che per la loro natura dovrebbero essere riservati solo agli «addetti ai lavori».

2.​​ Ripensare le ragioni,​​ gli ambiti e i metodi della p.s.​​ Il discorso vale in particolare per la scuola. Risulta indispensabile un chiarimento intorno al concetto di​​ p.s.,​​ che viene spesso frainteso o relegato ai margini della vita della scuola, contro la previsione costituzionale che fa della p. un fine di tutto l’ordinamento repubblicano (art. 3). Una concezione pedagogicamente corretta esige che la p. si caratterizzi in modo coerente ai diversi processi e momenti in cui si articola la scuola, in modo da valorizzarne e non da snaturarne le caratteristiche educative. E poiché la p. da un lato «produce», dall’altro «costa», e cioè ostacola il raggiungimento di altri fini concorrenti, si dovrà prendere in considerazione ogni momento del curricolo, per valutare, in rapporto alla diverse componenti, ai diversi organi e ai diversi soggetti,​​ chi è bene che partecipi,​​ a che cosa,​​ quando,​​ come e perché.​​ Inclusioni e preclusioni apodittiche mal si accordano con la natura della relazione educativa e con la natura dell’istituzione scolastica, che è un’organizzazione «sui generis» (​​ organi collegiali scolastici). Occorre perciò una chiara distinzione tra momento​​ espressivo-comunicativo,​​ che trova spazio soprattutto in assemblee adeguatamente preparate, di classe e di istituto, nonché nei comitati dei rappresentanti dei genitori e degli studenti, e momento​​ elaborativo-decisionale,​​ che trova spazio soprattutto nei collegi dei docenti, nei consigli di classe e d’interclasse, con particolare rilievo per gli insegnanti, e nei consigli d’istituto. Il problema, a questo proposito, è quello di verificare se la formula istituzionale uscita dai decreti delegati del 1974 preveda una equilibrata distinzione tra ambiti tecnici di tipo amministrativo e di tipo didattico e ambiti politici e pedagogici, aperti per natura loro all’apporto degli studenti, dei genitori e, per certi aspetti, anche delle forze sociali. Ciò è venuto chiarendosi a metà degli anni ’90, nel contesto del varo, da parte del Governo, delle «Carte dei servizi sociali», tra cui la «Carta del servizio scolastico», che andrebbe elaborata in termini di «contratto formativo» fra docenti, genitori e studenti e che si caratterizza essenzialmente per il PEI, il progetto educativo d’istituto, divenuto POF dopo il dpr 275 / 1999 sull’autonomia. Chi è portatore del bisogno, ha titolo a farlo presente, a chiarirlo a se stesso, a presentarlo in un contesto in cui la domanda di beni e servizi possa emergere con chiarezza, senza intimidazioni, confusioni e mistificazioni: in un contesto in cui la domanda possa anzi precisarsi in un dialogo con i responsabili tecnici del servizio, per arricchirsi di conoscenze e di possibilità d’influire sulla qualità del servizio stesso, in termini sempre più competenti, rispettosi ed efficaci. Chi è portatore della competenza è tenuto ad aiutare la domanda a precisarsi, a confrontarsi con le caratteristiche e con i limiti del servizio, a impegnarsi ad attuare, per la propria parte, il progetto educativo, nei suoi risvolti organizzativi e didattici. In sede di auspicabile modifica dei decreti delegati si dovrebbe precisare, lasciando spazio all’autonomia delle scuole, che l’organizzazione delle istituzioni scolastiche s’ispira ai principi costituzionali di p., di promozione del pieno sviluppo della persona umana, di autonomia, di sussidiarietà, dando alla scuola i caratteri di una comunità che interagisca con la più vasta comunità sociale e civica. In essa si distinguono le funzioni di​​ indirizzo​​ e di​​ programmazione, che spettano agli organi di governo, consiglio d’istituto e collegio dei docenti, le funzioni di​​ deliberazione pedagogico-didattica​​ e​​ disciplinare,​​ che spettano agli organi tecnico-didattici e disciplinari dei docenti, le funzioni di​​ gestione​​ e di​​ coordinamento, che spettano in particolare al dirigente scolastico, e le funzioni di​​ comunicazione,​​ consultazione e proposta​​ che spettano, oltre che alla componente professionale della scuola, anche agli organismi dei genitori e degli studenti. Una concezione aggiornata e non aziendalistica della scuola implica non solo le funzioni del​​ gestire, ma anche quelle dell’informare, del​​ comunicare, dell’educare all’esercizio di qualche forma di democrazia, per assicurare ai giovani anche​​ competenze di cittadinanza, a cui tra l’altro si riferisce l’educazione alla​​ convivenza civile, presente nella L. 53 / 2003 e nelle​​ Indicazioni nazionali.​​ Nei regolamenti delle singole scuole è corretto pensare alla definizione dei modi della p., che possono variare da scuola a scuola. Continuità, buona amministrazione e snellezza organizzativa, p., autonomia, efficacia ed efficienza dell’insegnamento e dell’apprendimento non sono valori alternativi, ma valori concorrenti, tra cui mediare con prudenza, in rapporto alle diverse condizioni storiche, psicologiche e sociali. Una scuola accogliente, dialogica, capace di decidere, assume la responsabilità di «governare» i processi d’insegnamento, di comunicazione, di decisione e cioè di motivare, di chiarire, sostenere e limitare i diversi ruoli, con modalità coerenti al raggiungimento delle finalità istituzionali. La p. chiama in causa la​​ comprensione​​ di complesse e ambivalenti dinamiche e la​​ fiducia​​ che uno ha nei propri mezzi e in quelli dei propri simili, in rapporto alla speranza e alla volontà di rendere più umano l’ordine sociale e più vicina la soluzione di uno o più problemi. In questo contesto si può notare che​​ educare alla p.​​ significa indurre i meno informati, motivati, provveduti e disponibili, non solo all’offerta, alla richiesta, alla protesta, ma anche alla corresponsabilità e insieme al distacco. Si tratta quindi di accettare la dinamica della rivendicazione, del conflitto, della colpa, di qualche vittoria e di qualche sconfitta inevitabile: la p. è cioè anche lotta, ma un tipo di lotta che aspira o dovrebbe aspirare non solo alla giustizia e all’efficacia / efficienza, ma anche alla riconciliazione e alla pace: una pace intesa come l’ordine che rende possibile l’eguale esercizio di tutti del diritto ad essere, a crescere, a produrre, a contare e ad avere di più, ma non tanto da compromettere o da distruggere quel bene di cui si vuole parte o essere parte, o che si vuol concorrere a produrre.

3.​​ Nuove prospettive,​​ nel contesto di una paideia ispirata alla Costituzione.​​ È questo il senso profondo dell’autonomia scolastica. Ma in questo contesto si vede anche il senso di metodologie e tecniche nuove che aiutino la p. Attraverso la stampa e Internet si comunica in rete e si pongono le premesse per una p. meno mitologica e rissosa, ma più attenta e produttiva di quella degli anni ’70, con cui è iniziata la fase della p. istituzionalizzata. L’informatica aiuta. Un documento-quadro entro cui sembra rimotivabile un nuovo processo partecipativo è quello allegato alla d.m. 8.2.1996 n. 58, dal titolo​​ Nuove dimensioni formative,​​ educazione civica e cultura costituzionale,​​ che conduce a sintesi le norme e le iniziative tese a fare della scuola un terreno accogliente per le diverse «educazioni» veicolate da altrettante emergenze negative e che, scavando nel codice genetico della scuola repubblicana, rintraccia un orizzonte di senso per l’esperienza scolastica, schiacciata fra degrado e cyberspazio, fra culturalismo e burocratismo, fra sogni e delusioni, fra volontariato e bullismo. A sua volta il dpr 567 / 1996 e successive modifiche offre opportunità di utilizzazione più ampia degli spazi e delle potenzialità formative della scuola, e quindi della p. dei soggetti, sia a livello di rappresentanti (i cosiddetti gruppi di p.) sia a livello di gruppi di riferimento. Fra questi si segnalano i tre​​ forum​​ rispettivamente​​ delle​​ associazioni​​ di studenti, di genitori e di insegnanti, riconosciuti dal MPI.

Bibliografia

Corradini L.,​​ La difficile convivenza. Dalla scuola di stato alla scuola della comunità,​​ Brescia, La Scuola,​​ 61975; Id.,​​ Democrazia scolastica,​​ Ibid., 1975; Censis,​​ Scuola e p. sociale. Il primo anno di applicazione dei decreti delegati,​​ Roma, 1976; Corradini L.,​​ La comunità incompiuta,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1979; Id.,​​ Essere scuola nel cantiere dell’educazione,​​ Roma, SEAM, 1995; Corradini L. - W. Fornasa - S. Poli (Edd.),​​ Educazione alla convivenza civile, Roma, Armando, 2003; Richiedei G.,​​ Genitori in associazione: una risorsa per il Paese, AGe Lombardia, Brescia, Tipolitografia Queriniana, 2006; Chistolini S. (Ed.),​​ Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea, Ibid., 2006; Corradini L.,​​ Educare nella scuola nella prospettiva dell’UCIIM.​​ Nuovi scenari nuove responsabilità, Ibid., 2006; Id.,​​ La fiducia,​​ radice della cittadinanza,​​ nel dialogo tra famiglia e scuola, in Id. (Ed.),​​ Pedagogia e cultura per educare,​​ Cosenza, Pellegrini, 2006; Id.,​​ Cittadinanza, in G. Cerini - M. Spinosi,​​ Voci della scuola, VI, Napoli, Tecnodid, 2007; Gruppo di​​ lavoro​​ ministeriale (coord. da L. Corradini), «Legalità e cittadinanza», in​​ Scuola e legalità.​​ Primo rapporto del Comitato Nazionale Scuola e Legalità, Roma, MPI, 2007.

L. Corradini