FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

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FORMAZIONE​​ DEGLI INSEGNANTI

Il termine f.d.i. si usa prevalentemente come sinonimo di​​ preparazione all’insegnamento​​ – nel senso di «f. di base»​​ (basic training) –,​​ ma progressivamente sono entrate nell’uso espressioni come «f. in servizio»​​ (in-service training)​​ e​​ «f.​​ permanente»​​ (continuing education),​​ fino a costituire l’idea di un​​ sistema unitario e coordinato di f.​​ che accompagna il soggetto lungo i cicli distinti della sua biografia professionale, dall’orientamento, alla iniziazione, fino all’esercizio diretto dell’insegnamento ed ai passaggi di carriera in rapporto alla differenziazione funzionale dei compiti all’interno dell’istituzione scolastica.

1.​​ La f. in servizio.​​ Essa ha presentato, in questo dopoguerra, nei Paesi occidentali, due approcci divergenti. Il primo prende il nome dalla strategia principale, «Ricerca & Sviluppo»:​​ lungo una articolata progressione, si succedono le fasi di​​ ideazione,​​ produzione​​ (dai prototipi di laboratorio fino alla prova sul campo) e​​ valutazione,​​ fino all’implementazione​​ ed alla​​ disseminazione,​​ con diffusione a regime. Mentre le operazioni indicate sono affidate a​​ task-forces​​ composte da epistemologi, disciplinaristi e psicologi, cui è affidata la gestione dell’intero circuito, gli insegnanti vengono identificati come destinatari di pacchetti didattici​​ prêt à former.​​ Questo schema di massima ha conosciuto stagioni differenti, ordinabili a seconda dello stile relazionale adottato nei confronti degli insegnanti:​​ a dominanza tecnologica,​​ con l’accento posto sulla riduzione degli aspetti ripetitivi della gestione di aula, mediante​​ teaching machines​​ e​​ software​​ d’istruzione programmata; a dominanza disciplinare, quando la competizione internazionale denunciò i ritardi inaccettabili della scuola rispetto agli avanzamenti della ricerca scientifica ed impose la presenza degli studiosi delle materie da insegnare nella progettazione dei curricoli;​​ a dominanza antropologica,​​ quando gli insuccessi ripetuti delle tattiche precedenti indussero a riconoscere nell’insegnante il nucleo duro della resistenza all’innovazione, suggerendo di sollecitare l’emergenza di​​ leadership​​ interne alla categoria – i cosiddetti​​ agenti di cambiamento​​ ​​ oppure la variante «analisi dei bisogni» in cui il punto d’attacco è l’indagine sui problemi pratici incontrati sul terreno (comunque mirate a far apprezzare le potenzialità risolutive dei materiali predisposti dagli esperti). Il secondo filone prende le mosse dalle esperienze di​​ ​​ Lewin e punta dichiaratamente sulla​​ centralità del soggetto-insegnante​​ e sul​​ contesto sociale,​​ culturale e tecnico della sua azione professionale,​​ visto come «campo di forze» da far evolvere costruttivamente verso il​​ ​​ problem posing​​ ed il​​ problem solving.​​ In questo orientamento, la strategia principale è designata come «Ricerca-Azione»,​​ che si caratterizza per la prossimità alla sede del cambiamento atteso, l’interazione tra fasi esplorative e fasi operative nel quadro di una collaborazione intensiva fra ricercatori ed insegnanti. Le varianti hanno potuto riguardare una diversa combinatoria dei momenti di conoscenza e di intervento, che solo eccezionalmente sono riuscite ad evitare il «modello del deficit», con l’operatore confermato nel ruolo di tributario, ma anche con il ricercatore emarginato nel ruolo di semplice animatore se non con una funzione riduttivamente strumentale (Barbier). Recentemente, nel tentativo di superare gli equivoci della Ricerca-Azione, si è sviluppato il movimento degli «insegnanti-ricercatori» (Novoa). In tutti questi casi, la​​ «f.»​​ si presenta come una terza componente​​ della coppia «ricerca» e «azione», vista come comunicazione «a-due-vie», in grado di sensibilizzare i due soggetti alle istanze – diverse ma convergenti, del rigore e dell’efficacia – di cui il partner è portatore. Nel caso italiano, in particolare, dove la f. in servizio è denominata con la formula più riduttiva di «aggiornamento» (da «aggiornare», riportare alla luce o attualizzare competenze già note), il centralismo del sistema scolastico ha comportato un monopolio pressoché esclusivo da parte dell’amministrazione nelle attività di f. in servizio (Carli et al.). L’esperienza decentrata degli​​ Istituti Regionali per la Ricerca,​​ Sperimentazione e Aggiornamento Educativi​​ (IRRSAE), poi trasformati in IRRE (Istituti Regionali per la Ricerca Educativa), hanno confermato, nei loro esiti, potenzialità non del tutto espresse e limiti noti dei modelli internazionali (Teacher’s Centre) cui si erano ispirati.

2. La f. iniziale.​​ Per rappresentare in termini essenziali l’ampiezza e la profondità del dibattito ci concentreremo sulle proposte di f. iniziale di livello accademico (o equipollenti), articolando l’esposizione in base a quelli che possono essere considerati gli elementi costitutivi dell’insegnamento: a)​​ la materia da insegnare;​​ b)​​ la conoscenza dell’alunno;​​ c)​​ l’azione di insegnare.​​ Difatti, si può affermare che la f. iniziale si definisce sia attraverso la sequenza che li dispone – in progressione – lungo il corso degli studi universitari (modello consecutivo), oppure la varia combinatoria mediante la quale li alterna fin dall’inizio del curricolo formativo (modello integrato). È appena il caso di ricordare che il «modello consecutivo» è il più diffuso e insieme il più criticato, mentre il «modello integrato» è quello che promette la migliore professionalizzazione, ma non riesce ad affermarsi a ragione delle resistenze – culturali e pratiche – che gli si oppongono. Le maggiori difficoltà di concezione e di realizzazione riguardano le funzioni distinte e connesse del Laboratorio e del Tirocinio, le due strutture formative in grado di correggere e superare il «modello consecutivo». Il Laboratorio è un dispositivo che si è definito nelle sue peculiarità in relazione al Tirocinio ed alla sua evoluzione. Negli USA il Tirocinio si era venuto affermando – in un contesto di libero mercato formativo – come una modalità di professionalizzazione alternativa rispetto a quella universitaria. All’inizio si trattò – in una congiuntura (anni ’80) di penuria d’insegnanti – come un tipo di reclutamento e inquadramento che si realizzava mediante l’offerta alle scuole di un «mentore»​​ o di uno staff di formatori (per 5-6 corsi), ma ben presto si affermò come via preferenziale capace di migliorare la qualità della f., scavalcando le istituzioni universitarie, sulla base di un giudizio severo sulla professionalizzazione accademica. Un’evoluzione analoga, per molti versi esemplare, ha avuto la f. iniziale degli insegnanti in un Paese pioniere al riguardo come l’Inghilterra (Bourdoncle). In Canada era stata addirittura una università (Ottawa) ad ideare – sulla base dei medesimi presupposti critici – una f.d.i. (del grado primario) già sperimentata nella f. di altre professioni:​​ f. sul terreno,​​ collaborazione degli insegnanti in servizio,​​ concertazione intensiva con le scuole. Del resto, la valutazione negativa della professionalizzazione universitaria era condivisa dai famosi Rapporti degli anni ’80, elaborati in ambienti sensibili alla competizione economica globale (Carnegie Task Force,​​ Holmes Group), poco teneri verso la «corporazione» dei formatori accademici ma molto decisi circa l’opportunità di fare della f.d.i. il problema centrale dell’intero sistema universitario; fino all’ipotesi di creare un​​ Centro di Pedagogia​​ presso i campus universitari per coordinare la molteplicità delle strutture esistenti (Goodlad). Questa strategia prevedeva inoltre di offrire un modello professionale di insegnante capace di accentuare la dimensione pratica, promuovendo una collaborazione stretta con gli insegnanti sul campo (con scuole e insegnanti associati, scuole-laboratorio...) e incrementando in numero e misura – nei programmi di f. iniziale – il Tirocinio. È in questo contesto che comincia ad emergere, in Nord-America, il Laboratorio nella sua specificità rispetto al Tirocinio. Nel corso degli anni ’70, infatti, l’insuccesso dell’approccio alla f.d.i. in termini di competenze attese – mediante griglie​​ jobs-skills’ ispirate al comportamentismo – aveva generato una serie d’inventari perlomeno disorientanti, ma anche rischi sempre più evidenti di omologazione dei comportamenti (quando non, ambiguamente, del controllo sulle pratiche professionali degli insegnanti che contraddicevano le istanze per uno statuto autonomistico della professione docente). Ma, quel che più conta, in quella stessa prospettiva di incremento delle abilità tecniche, i cambiamenti apparivano (a dir poco) modesti. La diffusa insoddisfazione per questi risultati cominciò, fin dai primi anni ’80, ad affermare un riorientamento del paradigma «applicazionista» e a far emergere un approccio «umanistico» alla professione, insieme ad una preoccupazione per la portata morale dell’insegnamento (Goodlad, Soder, Sirotnik). Quando, a partire da una tesi deweyana (1904), ripresa e sviluppata da Argyris e Schoen, si venne affermando il modello dell’insegnante «professionista riflessivo» che avrebbe trovato una eccezionale varietà di svolgimenti, non soltanto negli States, si mise in evidenza la centralità del Laboratorio, come cerniera capace di saldare i tempi della preparazione «formale» e della preparazione «pratica» attraverso l’analisi, la progettazione e la riflessione sull’insegnamento-azione. La identificazione del Laboratorio come spazio protetto fra Università e Scuola, ottenne di generare l’idea di un sistema formativo coordinato fra Corsi accademici, Laboratori e Tirocinio, superando i limiti della linearità e della giustapposizione, per assumere i caratteri dell’alternanza. Quale che sia il ritmo temporale – la sequenza di segmenti alterni (Corsi-Laboratorio-Tirocinio) o addirittura il rovesciamento della sequenza tradizionale (Tirocinio-Laboratorio-Corsi) – il Laboratorio risulta collocato con una palese funzione d’interfaccia fra teoria e pratica. Questa costante delle differenti modalità di esecuzione comporta comunque due opzioni metodologiche «regolari»: (a)​​ non si dà Tirocinio senza Laboratorio, a titolo di progettazione e di riflessione («decontestualizzazione» dell’esperienza); (b)​​ non si dà Laboratorio senza riferimenti al Tirocinio e ai Corsi​​ («contestualizzazione» della teoria).

3.​​ Un problema aperto: il nesso teoria-pratica.​​ Non è difficile riconoscere come il dibattito pedagogico sulla f.d.i. ed i conseguenti approcci e modelli relativi alla f. in servizio ed alla f. iniziale si siano dovuti misurare con il tema del rapporto fra teoria e pratica, il vero nodo da sciogliere. Non pare che ci siano, nelle scienze dell’educazione, altri argomenti che abbiano fatto colare tanto inchiostro: ma la letteratura di ricerca – non di retorica – è decisamente scarsa (v. gli​​ Handbooks​​ dedicati, quello curato da Houston nel 1990 e da Sikula, Buttery and Guyton nel 1997, dall’Associazione dei formatori degli insegnanti, statunitense ma con un’estensione geoculturale mondiale, Cina e Giappone compresi), le diagnosi non mancano, ma quelle che latitano sono le proposte. Non c’è da sorprendersi, però: la ragione risiede nel fatto che la f. è il punto critico dove si condensa tutta la problematica della ricerca sull’​​ ​​ insegnante, ancora oggi l’oggetto inesausto della ricerca educativa.​​ 

Bibliografia

Argyris C. - D. A. Schoen,​​ Theory in practice: Increasing professional effectiveness, San Francisco, Jossey-Bass, 1974; Carli R. et al.,​​ L’aggiornamento degli insegnanti: una proposta di intervento psicosociale,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980; Lanier J. E. - J. W. Little, «Research on teacher education», in M. C. Wittrock (Ed.),​​ Handbook of research on teaching, 3, Macmillan, New York, 1986, 527-569; Scurati C.,​​ Una nazione s’interroga, in «Pedagogia e Vita» (l986) 6, 565-578; Goodlad J. I., «School-University partnership for educational renewal», in J. I. Goodlad - K. A. Sirotnik,​​ School-University partnership in action: concepts,​​ cases and concern, New York, Teachers College Press, 1988, 3-31; Houston W. R. - M. Haberman - J. Sikula (Edd.),​​ Handbook of research on teacher education, New York, Macmillan, 1990;​​ Bourdoncle R.,​​ L’évolution des sciences de l’éducation dans la formation initiale des enseignants en Angleterre, in «Revue des Sciences de l’Education» (l993) 1, 133-152;​​ McBride R. (Ed.),​​ Teacher education policy, London, The Falmer Press, l996; Sikula J. - T. Buttery - E. Guyton (Edd.),​​ Handbook of research on teacher education, New York, MacMillan, 1997;​​ Il tirocinio nella f. iniziale degli insegnanti.​​ Esperienze straniere, in G. Dalle Fratte,​​ La scuola e l’università nella f. primaria degli insegnanti. Il tirocinio e il laboratorio, Milano, Angeli, l998, 137-145;​​ Luzzatto G.,​​ Insegnare ad insegnare, Roma, Carocci, 1999; Damiano E.,​​ L’insegnante. Identificazione di una professione, Brescia, La Scuola, 2004.​​ 

E. Damiano