EDUCAZIONE COMPARATA

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EDUCAZIONE COMPARATA

È la disciplina delle​​ ​​ scienze dell’e. che studia i fenomeni e i fatti educativi nelle loro relazioni con il contesto sociale, applicando un metodo di ricerca che paragona i sistemi formativi e i loro elementi per chiarire convergenze e divergenze, al fine di migliorare la conoscenza sia delle loro peculiarità sia degli aspetti comuni e di rendere più efficace l’e. È una disciplina perché ha oggetto e metodo propri, tuttavia, la tesi prevalente è che abbia natura pluridisciplinare. Comprende tre ambiti: le idee pedagogiche, i contenuti e metodi, i sistemi formativi; siccome non rileva della sola pedagogia, si preferisce parlare di e.c. piuttosto che di pedagogia comparativa. Non si può invece dire che ci sia una teoria o un metodo in cui si riconoscano tutti i suoi cultori.

1.​​ Tendenze principali nel passato.​​ L’e.c., è nata dal desiderio di sapere di più sugli altri popoli e sulle loro usanze educative, un bisogno che ha trovato una sua prima risposta nei​​ rapporti dei viaggiatori. Si tratta, però, di una letteratura che spesso manca di sistematicità e di valore esplicativo. La nascita come disciplina è generalmente collegata con quella dei sistemi nazionali di e. nel sec. XIX e le sue origini vengono fatte risalire a una pubblicazione dell’illuminista francese Jullien (1817). L’opera è rimasta di fatto sconosciuta fin quasi alla metà del ’900 quando fu scoperta per caso e rivalutata: per questo motivo alcuni autori ritengono che Jullien non possa essere considerato come il padre o l’iniziatore dell’e.c., ma solo come un precursore. Secondo Jullien essa ha una natura scientifico-sperimentale e svolge una funzione pragmatica. Il metodo consiste nel raccogliere attraverso questionari, dati e osservazioni sui sistemi formativi e nell’organizzarli sulla base di tavole sintetiche. Jullien appartiene alla fase dell’evoluzione detta del​​ «prestito educativo»,​​ che occupa tutto il sec. XIX, e ne condivide meriti e limiti. Gli Stati sono impegnati nella costruzione dei sistemi scolastici nazionali e l’e.c. intende favorirla suggerendo le strutture educative da assumere da altri paesi. Gli studiosi più attenti hanno indicato le condizioni per tale trasposizione: tener conto della diversità dei contesti; scegliere solo gli aspetti validi degli altri sistemi. Comunque, molta della produzione presenta valore scientifico limitato per il suo carattere enciclopedico, la scarsa capacità esplicativa delle conclusioni e la natura meccanica delle trasposizioni. All’inizio del XX sec. si afferma un nuovo approccio, quello​​ dell’analisi dei fattori.​​ Il sistema formativo fa un tutt’uno con la società e, pertanto, va analizzato in relazione con il contesto nel quale si è sviluppato. Essendo il risultato dell’insieme delle forze presenti nell’ambiente, sono queste ultime che vanno identificate se si vuole conoscere meglio la situazione attuale e predire l’evoluzione futura. L’e.c. consente di delimitare con più precisione i fattori operanti in uno o più Paesi. Più in particolare, per Sadler essa aiuta a comprendere lo spirito dei sistemi formativi, secondo Hans il suo scopo è di identificare i principi sottostanti o fattori che regolano lo sviluppo di tutti i sistemi formativi, mentre Mallinson ha fondato l’e.c. sui caratteri nazionali. L’analisi dei fattori appare dotata di potere esplicativo e di validità scientifica; i suoi limiti vanno visti in un certo determinismo della causalità sociale e storica e nella difficoltà di misurare il peso relativo di ciascun fattore. Un altro stadio dello sviluppo, contemporaneo al precedente, è costituito dalla​​ «cooperazione internazionale», che abbraccia quattro ambiti: lo studio dei problemi educativi in prospettiva transnazionale; la raccolta delle statistiche che gradatamente raggiunge un livello elevato di qualità ad opera delle​​ ​​ organizzazioni internazionali tra cui primeggia l’Unesco; l’individuazione delle tendenze internazionali; la promozione dell’e. internazionale o allo sviluppo. In particolare va ricordato Rosselló che attribuisce all’e.c. il compito di delineare le correnti che qualificano il movimento educativo, di definire cioè le tendenze che caratterizzano lo sviluppo dei sistemi formativi, conferendo all’e.c. un approccio prospettico. Questa accentuazione costituisce anche il limite di Rosselló che ha dato troppa rilevanza alla statistica e ai metodi sperimentali, trascurando la natura umanistica dell’e.c.

2.​​ L’evoluzione recente.​​ Dopo la seconda guerra mondiale l’e.c. sperimenta un vero balzo in avanti, connesso con l’esplosione dell’e., l’internazionalizzazione dei problemi, la competizione tra l’Ovest e l’Est e il processo di decolonizzazione del Terzo Mondo. Incominciano a nascere e a diffondersi le associazioni professionali dei comparatisti, si moltiplicano le università che offrono studi e strutture di insegnamento e di ricerca, aumentano le organizzazioni nazionali e internazionali che promuovono investigazioni e progetti nell’ e.c. e vengono fondate nuove riviste specializzate. Sul piano disciplinare è soprattutto l’introduzione del metodo positivo delle scienze sociali a consentire il salto di qualità. Nell’evoluzione recente è possibile distinguere tre gruppi di posizioni che corrispondono anche a fasi diverse dello sviluppo.

2.1.​​ Le posizioni tradizionali.​​ Si affermano negli anni ’50 e soprattutto ’60 e sono caratterizzate da una prospettiva funzionalista ed evolutiva. Per Bereday (1964) l’e.c. è una geografia politica delle scuole. Il metodo è articolato in due fasi maggiori, gli studi di area o regionali e quelli comparativi, a loro volta distribuite in due ulteriori stadi. Nella prima ciascun paese viene analizzato separatamente dagli altri. In proposito, si dovrà anzitutto procedere alla descrizione, cioè alla raccolta dei dati educativi secondo una griglia elaborata in precedenza e che deve essere la stessa per tutti i Paesi; Bereday insiste sulla preparazione del comparativista che dovrebbe tra l’altro padroneggiare il metodo di una o più scienze sociali, conoscere la lingua dell’area e risiedere per un periodo nella zona. Il secondo momento è dato dall’interpretazione, cioè dalla valutazione delle informazioni disponibili sulla base degli approcci delle varie scienze sociali allo scopo di identificare cause e connessioni. Gli studi comparativi, la seconda grande fase, esaminano più Paesi contemporaneamente. Con la giustapposizione ogni griglia è avvicinata alle altre per individuare somiglianze e differenze e arrivare all’elaborazione di un’ipotesi. Questa viene verificata nel quarto momento attraverso il trattamento simultaneo di molti o di tutti i Paesi: il risultato dovrebbe essere quello dell’enunciazione di leggi o di tipologie. I meriti di Bereday sono la scientificità, la logicità e la chiarezza dell’approccio, mentre i limiti vanno ricercati nell’enfasi induttivistica per cui l’ipotesi non viene presupposta fin dal principio del processo comparativo, nella ricerca esasperata della simmetria e nella pretesa di una conoscenza enciclopedica nel comparativista. King respinge la possibilità di elaborare una metodologia chiara e precisa nel senso che questa non può essere definita una volta per sempre, ma cambia secondo il tipo di indagine e gli obiettivi perseguiti. Rimane il carattere pragmatico dell’e.c. che mira ad elaborare strategie per risolvere problemi concreti. Se va apprezzato il recupero della natura anche ideografica dell’e.c. e dell’importanza dell’intuizione, l’impostazione di King trova il suo punto debole nell’assenza di una rigorosa strumentazione sul piano scientifico. Quest’ultima è presente in modo pieno in Noah ed Eckstein (1969). L’e.c. consiste nell’utilizzare dati desunti da varie nazioni per verificare ipotesi sull’e. e sui rapporti tra e. e società. Il metodo è articolato nelle fasi tipiche dell’analisi delle scienze sociali: identificazione del problema, formulazione di un’ipotesi, operazionalizzazione dei concetti, scelta dei casi, raccolta dei dati relativi agli indicatori e ai Paesi, verifica dell’ipotesi e determinazione delle implicazioni sul piano teorico. Se all’inizio sono stati ricordati i meriti della proposta, non vanno dimenticati gli aspetti discutibili come il rischio di trasformare l’e.c. in una sociologia dell’e. comparata e l’eccessiva quantificazione. Il «problem approach» di Holmes non si fonda né sul positivismo né sull’induzione, ma sul pensiero riflessivo di​​ ​​ Dewey, in particolare sul​​ ​​ «problem solving», e su Popper, da cui mutua il metodo ipotetico-deduttivo e il dualismo critico che distingue tra leggi sociologiche, regolarità che sfuggono all’intervento umano, e convenzioni, prodotte dall’uomo e da lui modificabili (1981). Inoltre, non ricerca le cause dei fatti, ma studia gli eventi in quanto predittivi. L’approccio è articolato in cinque momenti principali: l’analisi del problema che nasce dal divario tra norme e fatti o tra le norme; l’identificazione dei fattori rilevanti, quelli cioè che spiegano il problema; la formulazione di proposte politiche alternative, le ipotesi cioè; la predizione logica dei risultati delle strategie in relazione con le condizioni significative dei contesti sotto esame; la comparazione dei risultati predetti con gli avvenimenti osservabili. Punti forti di Holmes sono il metodo ipotetico-deduttivo e per problemi e la focalizzazione sulla predizione; meno convincenti risultano la trattazione degli aspetti quantitativi e le oscillazioni nella definizione delle fasi del metodo.

2.2.​​ Una critica radicale.​​ All’inizio degli anni ’70 la teoria funzionalista e il metodo positivista, su cui poggiavano le posizioni tradizionali, vengono messi in discussione da una società che è divenuta conflittuale e da una scuola che mostra gravi crepe, mentre sul piano scientifico essi sono raggiunti da critiche radicali. Il paradigma umanista sostiene l’origine sociale di tutte le teorie in contrasto con l’approccio realista dell’e.c. tradizionale. Il funzionalismo radicale, ispirandosi alle interpretazioni neo-marxiste, attribuisce alla scuola la funzione di riprodurre le strutture capitaliste per cui ogni tentativo di riformarla che non sia preceduto da una rivoluzione nel modo di produzione è destinato all’insuccesso. Appaiono le posizioni di un umanesimo radicale che attinge alle riflessioni della​​ ​​ Scuola di Francoforte: in questo quadro si situano le analisi del femminismo che rimprovera all’e.c. tradizionale il silenzio circa il ruolo dell’e. nella riproduzione dell’ineguaglianza tra i sessi. Si diffondono paradigmi interpretativi, alcuni dei quali propongono l’alternativa etnometodologica, cioè lo studio di come gli individui operino nel processo di costruzione della realtà sociale. L’approccio dell’e.c. deve passare dal piano macro al micro, da una impostazione realista ad una relativista e interessarsi della vita quotidiana. In sostanza alla fine della decade ’80 si riscontra nell’e.c una situazione di confusione e malessere sul piano metodologico.

2.3.​​ Verso il​​ ​​ pluralismo e la complementarità.​​ Negli anni ’90 e ancor più nella attuale decade viene accettata l’eterogeneità delle posizioni e la complementarità dei diversi paradigmi. Nessuna teoria può pretendere il monopolio della verità, ma tutte contribuiscono alla conoscenza di una società sempre più complessa. A questo punto mi limito a ricordare solo le posizioni nuove. Il neofunzionalismo mira a coniugare l’ortodossia parsonsiana con paradigmi anche opposti: in particolare ha accettato le interpretazioni conflittuali e ha riconosciuto la centralità delle diseguaglianze strutturali. Le teorie critiche hanno attaccato il carattere repressivo della cultura e della società occidentale, mettendo in evidenza soprattutto le distorsioni prodotte nella coscienza e l’oppressione sessuale. Nelle versioni post-strutturalista e post-moderna esse hanno affermato la natura frammentata della realtà sociale, la superiorità del paradosso, della diversità, dell’ambiguità e del caso, l’attenzione al contesto locale. Le posizioni interpretative si sono mosse o nel senso del rifiuto di ogni teoria totalizzante e dell’accettazione di una pluralità di metodi o nella direzione della valorizzazione della coscienza, della creatività e dell’emozionalità. In conclusione, le critiche radicali degli anni ’70 e ’80 e l’eterogeneità degli anni ’90 e 2000 se hanno avuto il merito di allargare gli orizzonti e gli strumenti della ricerca, non sembra siano riuscite a elaborare costruzioni metodologiche compiute, capaci di sostituire quelle tradizionali.

Bibliografia

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G. Malizia