CASOTTI Mario

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CASOTTI Mario

n. a Roma nel 1896 - m. a Marina di Pietrasanta nel 1975, pedagogista italiano.

1. Si formò alla scuola di​​ ​​ Gentile, con il quale discusse la tesi dal titolo​​ La concezione idealistica della storia​​ (pubblicata nel 1920). Egli si distinse subito come uno dei giovani più promettenti del vivaio gentiliano, ricoprendo, dapprima, le funzioni di redattore capo di «Levana» e assumendo, quindi la condirezione de «La Nuova Scuola Italiana», due riviste fondate nei primi anni ’20 dal​​ ​​ Codignola. Pubblicò, in particolare, due studi di carattere teoretico:​​ Introduzione alla pedagogia​​ (1921) e​​ La nuova pedagogia e i compiti dell’educazione moderna​​ (1923). Tali studi sono tanto più significativi in quanto mostrano che C. era, ormai, avviato a un ripensamento della pedagogia gentiliana. Nel 1923 giunse a Torino per insegnare materie umanistiche presso il Magistero, ma vi restò solo pochi mesi. Sciolta la crisi spirituale nella quale si dibatteva e abbracciato il cattolicesimo, nel 1924 fu chiamato da padre​​ ​​ Gemelli all’Università Cattolica quale docente di pedagogia. A conferma dei suoi nuovi orientamenti giunse la pubblicazione​​ Lettere su la religione​​ (1925), che segnava l’abbandono delle tesi idealiste in favore della concezione cristiana della vita e della filosofia aristotelico-tomista. Presso l’Università Cattolica C. rimase per circa un quarantennio, assicurando l’insegnamento non solo di pedagogia, ma anche di storia della pedagogia. Con i primi anni ’30 venne, per altro, collaborando in modo sempre più stretto con la casa editrice La Scuola e nel ’53 assunse la direzione di «Pedagogia e Vita», mantenendola fino al 1970.

2. Dopo il suo approdo all’Università Cattolica, C. si sforzò di trasferire le prospettive della filosofia neoscolastica nel campo più specifico della riflessione pedagogica. Questa linea di ricerca lo condusse a configurare la pedagogia «come scienza e come arte», ovvero come sapere pratico-poietico volto a promuovere e a migliorare i concreti processi educativi. Egli sottolineava che il discorso pedagogico, lungi dal concentrare la sua attenzione sulla dimensione antropologica, era teso a valorizzare anche le problematiche metodologico-didattiche e ad aprirsi al contributo della stessa sperimentazione. Ma il frutto più significativo del suo impegno di studio fu la messa a punto del concetto di educazione. Nel rinviare l’uno contro l’altro i riduttivismi che tendevano a privilegiare ora il ruolo del maestro ora quello del discepolo, C. affermava che ai fini di una corretta opera educativa occorreva prevedere la piena partecipazione di ambedue gli interlocutori, secondo le linee elaborate da s.​​ ​​ Tommaso nel​​ De Magistro​​ e nello spirito della riflessione promossa dalla pedagogia del nostro​​ ​​ Risorgimento. In tale contesto si collocano le critiche che, soprattutto fra gli anni ‘30 e ’50, egli rivolse, non senza qualche esasperazione polemica, all’attivismo delle​​ ​​ Scuole Nuove, inficiato, a suo modo di vedere, da un’impostazione che, per favorire il cosiddetto spontaneismo dello scolaro, trascurava le superiori esigenze della verità. Gli scritti pubblicati da C. spaziavano dalla ricerca squisitamente teoretica (Maestro e scolaro. Saggio di filosofia dell’educazione,​​ 1930;​​ Pedagogia generale,​​ 1947-48) all’indagine storica (La pedagogia di Raffaello Lambruschini,​​ 1929;​​ La pedagogia di San Tommaso d’Aquino,​​ 1931;​​ La pedagogia di Antonio Rosmini,​​ 1937). Durante il suo lungo magistero egli si applicò, in particolare, ad approfondire le valenze pedagogiche del Vangelo, alimentando una corrente di studi che conobbe allora un certo fervore e nel cui ambito doveva emergere​​ ​​ Nosengo, uno dei suoi più fedeli allievi. Testimonianza di questi interessi, cui C. dedicò vari corsi universitari è lo scritto​​ La pedagogia del Vangelo​​ (1953). Ai suoi occhi, la pedagogia evangelica acquistava un’importanza del tutto speciale, poiché era persuaso che essa fosse in condizione di autenticare le istanze dello stesso attivismo, liberandolo dagli aspetti deteriori dei quali era, a suo giudizio, intriso.

3. Nell’ultima fase del suo pensiero, C. sembrò propugnare un recupero di taluni aspetti dell’idealismo, in special modo nell’interpretazione datane dal Gentile. Tuttavia, nel riproporre le suggestioni della lezione gentiliana, egli intendeva non già rinnegare la visione della pedagogia neoscolastica in favore dell’attualismo, ma riassestare il discorso pedagogico fornendogli una più esplicita fondazione etico-filosofica. L’esigenza di questo riassestamento gli sembrava allora tanto più urgente, in quanto aveva l’impressione che, in un contesto culturale che vedeva le cosiddette scienze umane guadagnare terreno, molta ricerca pedagogica fosse sempre più esposta ai rischi del sociologismo e dello psicologismo.

Bibliografia

Lombardi F. V.,​​ M.C.: la pedagogia della neoscolastica,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 10 (1963) 472-493; Id.,​​ Filosofia e pedagogia nel pensiero di M.C.,​​ in «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 69 (1977) 103-118; Bertin G. M.,​​ Pedagogia italiana del novecento. Autori e prospettive,​​ Milano, Mursia, 1989; Damiano E.,​​ La sperimentazione pedagogica secondo M.C.,​​ in «Pedagogia e Vita» 50 (1992) 6, 44-65; Scurati C.,​​ Teoria della didattica e didattica operativa in M.C.,​​ in «Pedagogia e Vita» 51 (1993) 1, 59-77.

L. Pazzaglia