ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

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ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

L’o.s. è quella disciplina delle​​ ​​ scienze dell’educazione che studia la gestione dei sistemi formativi a livello​​ micro​​ (singola scuola) allo scopo di conoscerla meglio e di renderla più efficace. Per il livello​​ macro,​​ come per la giustificazione della definizione di o.s. vedi​​ ​​ amministrazione scolastica: data la difficoltà di tracciare un confine netto tra le due voci si consiglia di leggerle insieme. L’o.s. è anche il complesso degli organi, delle persone e delle strutture che provvede al funzionamento della singola scuola.

1.​​ La nuova cultura delle o.​​ Nell’accezione più condivisa o. significa quel tipo di unità sociale che si caratterizza per la finalizzazione a obiettivi specifici. In questo senso si distingue da una famiglia, da una comunità, da una nazione che, invece, perseguono una pluralità di fini generali. La definizione è stata messa in discussione in relazione alla scuola in quanto se è vero che quest’ultima si propone la meta dell’educazione, tuttavia tale finalità si presenta complessa e molteplice. Un altro tratto distintivo dell’o. sarebbe costituito dal coordinamento delle attività individuali in vista dell’interesse generale. Non mancano anche in questo caso osservazioni circa l’eccessiva sottolineatura del controllo dall’alto, implicita nel concetto appena richiamato, rispetto alle più comuni forme di autodisciplina dei membri. La teoria organizzativa più antica si caratterizza per la focalizzazione sulla​​ razionalità​​ tecnica e funzionale, sull’efficienza, sul rapporto ottimale tra mezzi e scopi. L’accento è posto su due proprietà strutturali: la specificità dei fini e la formalizzazione dell’o. Un secondo approccio, la scuola delle​​ relazioni umane,​​ benché sia sorto in contrapposizione alla concezione razionale, ha di fatto sottolineato due aspetti che si presentano come complementari ai precedenti, piuttosto che contraddittori. Le o. non possono essere concepite semplicemente come meccanismi mirati al perseguimento di fini specifici esterni di produzione, ma costituiscono anche dei gruppi sociali che devono preoccuparsi di soddisfare una serie di bisogni di autosostentamento e di mantenimento del sistema. In secondo luogo viene affermata l’importanza delle strutture informali che possono incidere su quelle formali, perfezionandole, condizionandole e persino cambiandole. Nonostante gli indubbi progressi compiuti dalla riflessione e dalla prassi, le due concezioni citate conservano un carattere autocentrato. Tuttavia, già negli anni ’70 l’o. viene ad essere concepita in termini di​​ sistema,​​ cioè come un insieme di parti tra loro interrelate, e questo sistema è​​ aperto​​ nel senso che si trova in un rapporto di stretta interdipendenza con il contesto in cui opera. Esso può conservarsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente; lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell’o. Indubbiamente, apertura non significa assenza di confini, ma piuttosto sta a sottolineare la loro flessibilità: l’o. deve certamente impegnarsi per conservarli, ma al tempo stesso svolge attività che si situano oltre i confini stessi. Il collegamento con l’ambiente mette in crisi tra l’altro uno degli assunti di fondo della prospettiva razionale che presupponeva l’esistenza di un modello di o. migliore in assoluto e si sforzava di elaborarlo; la formula più valida dipende al contrario dalle caratteristiche del contesto in cui opera l’o. L’approccio del sistema aperto mette in evidenza come le o. (con particolare riguardo a quelle formative) non si presentano sempre come strutture compatte le cui parti siano strettamente collegate e coordinate tra loro, ma anche come o.​​ a maglie larghe​​ (loose coupling).​​ Le relazioni tra le varie componenti si caratterizzano spesso per la complessità e la variabilità, per la mancanza di rigidità delle connessioni per la forte autonomia operativa di ciascun sottosistema. La​​ leadership​​ non appare sempre come un’unità di comando monolitica, ma si rivela anche come una coalizione piuttosto allentata di gruppi mutevoli, ciascuno con i propri interessi, obiettivi e strategie. La presenza di collegamenti non molto rigidi non costituisce di per sé un ostacolo allo sviluppo, ma può contribuire in maniera importante alla crescita, stimolando l’intraprendenza delle componenti. Il sistema aperto è anche in grado di regolarsi autonomamente in base a propri parametri. La complessità della società attuale pone tre sfide alle o.: cresce la diversità, cioè il numero degli elementi tra loro differenti, anche fortemente, da trattare al medesimo tempo; l’imprevedibilità diviene una condizione normale; aumenta l’interdipendenza tra i fattori da tenere sotto controllo. Questa situazione ha messo in risalto l’insufficienza dei meccanismi strutturali con cui le o. avevano cercato finora di far fronte alla complessità, quali, per citare quelli comuni anche alle scuole, i regolamenti, i programmi, gli orari, l’articolazione in dipartimenti, la gerarchia e la delega. Una strada alternativa è consistita nel rafforzamento dei centri decisionali mediante la diffusione della distinzione «staff / line». Gli esperti che compongono lo «staff» forniscono consulenza tecnica ai dirigenti generalisti che sono incaricati delle deliberazioni definitive: ciò consente di aumentare la capacità di trattare le informazioni senza introdurre un decentramento formale e senza infrangere il principio dell’unicità della funzione di comando, anche se molto potere viene acquisito dagli esperti. Una strategia promettente è costituita dall’o.​​ a matrice​​ che consiste nell’introduzione di un gruppo di meccanismi strutturali che mirano alla promozione della comunicazione delle informazioni a livello orizzontale, mentre finora si era generalmente cercato di potenziare i canali verso l’alto o il basso. Il tratto qualificante è dato dalla compresenza sia di reparti funzionali che garantiscono lo svolgimento dei dinamismi verticali e rispondono a bisogni consolidati, sia di gruppi di progetto che assicurano le connessioni laterali e vengono incontro alle domande mutevoli del contesto. Un’altra strategia rilevante è offerta dal modello della​​ qualità totale. La qualità viene intesa in base a una prospettiva non più interna all’impresa, ma esterna, e consiste nella soddisfazione del cliente per cui diviene centrale nel rapporto con l’esterno l’impegno per identificare la domanda: è la qualità percepita che è decisiva e la misura operativa è fornita dal successo commerciale. All’interno, poi, il collega non deve più essere immaginato come un competitore, ma come un cliente a cui fornire un prodotto di qualità. A monte vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all’uomo che tornerebbe al centro della scena, anche se lo sganciamento della definizione della qualità da parametri assoluti potrebbe essere foriero di un relativismo pericoloso. Comunque, i modelli a matrice, progettuale e della qualità totale segnano il passaggio dalla burocrazia alla «adhocrazia».​​ Un ulteriore progresso è rappresentato dai​​ modelli culturali​​ di o. che concentrano l’attenzione sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di una o. in quanto contribuiscono a definire l’identità dell’o. L’approccio ritiene che l’o.s. non sia un scienza applicativa, come nell’impostazione tradizionale, ma sostiene che il suo oggetto è la pratica riflessiva, cioè una interrelazione tra teoria, intuizione ed esperienza. Dal punto di vista organizzativo, i principi fondamentali sono quelli della cooperazione, dell’empowerment​​ dei membri dell’o., della responsabilità nella gestione, della partecipazione, della significatività del proprio lavoro e dell’equilibrio tra competenza e autorità.

2.​​ Modelli di o.s.​​ Tra i più antichi e diffusi si può ricordare quello​​ burocratico​​ ispirato alle teorie organizzative di​​ ​​ Weber. La singola scuola è qualificata da tratti come il carattere gerarchico dell’autorità, la divisione del lavoro, la specializzazione basata sulla competenza, la strutturazione in ruoli impersonali, una regolamentazione fondata su norme generali e astratte, una carriera per merito. La formula burocratica ha costituito uno strumento utile per regolare i rapporti tra diritti, responsabilità, ruoli e funzioni e per coordinare o. complesse; inoltre, ha trovato ampie applicazioni nei sistemi formativi centralizzati e più recentemente nei Paesi in via di sviluppo durante la fase di costruzione delle strutture statali. Sul piano negativo, essa non offre adeguato riconoscimento a dimensioni importanti dei processi educativi come l’autonomia della singola scuola, la professionalità degli insegnanti, la personalizzazione dell’azione educativa, l’efficacia, la flessibilità e l’innovatività degli interventi. Il modello​​ industriale​​ classico segue i principi dell’o. tayloristica del lavoro: standardizzazione, che si manifesta nella presenza di un curricolo nazionale, di esami centralizzati, di requisiti minimi di conoscenze e di competenze; specializzazione, a livello di insegnanti e di programmi; sincronizzazione, che si esprime in calendari ed in orari dettagliati; concentrazione, per cui si tende a coniugare varie attività nella stessa istituzione; razionalizzazione delle offerte sul territorio; centralizzazione dei controlli. La formula presenta i suoi vantaggi soprattutto in un contesto di espansione della scuola, ma può portare a gravi inconvenienti perché la scuola non è del tutto identificabile con una grande impresa stile anni ’30 o ’60. Il modello​​ politico,​​ ispirato alle teorie conflittuali di Weber e neo-marxiste, concepisce la scuola come un’o. in cui la lotta per il potere o sui valori tra gruppi di interesse è normale e va risolta attraverso la negoziazione. La formula è utile per rispondere alla domanda di partecipazione e di democrazia che ha raggiunto il sistema formativo durante soprattutto gli anni ’70 e per correggere una visione troppo idilliaca della scuola. Al tempo stesso non manca di svantaggi perché può portare a una conflittualità endemica, a una svalutazione della professionalità, a forme di assemblearismo e soprattutto si muove in controtendenza rispetto agli orientamenti attuali del rinnovamento della scuola che sottolineano la collaborazione, la comunità e il lavoro di gruppo. Il modello​​ culturale​​ è caratterizzato da: complementarità tra coordinamento centrale e potere d’iniziativa e decisionale locale, focalizzazione sulla comunità educativa, partecipazione delle varie componenti, centralità dell’educando, responsabilità per i risultati, imprenditorialità, innovazione dal basso, introduzione di una funzione intermedia fra dirigenti e docenti. Corrisponde agli orientamenti più recenti della teoria organizzativa e può essere interpretato in due forme diverse, una manageriale che subordina le finalità formative alle esigenze organizzative e di mercato e una educativa che afferma la priorità della formazione. Il modello nella seconda accezione sembra adeguato sia sul piano ideale sia su quello pratico della corrispondenza alle caratteristiche della società complessa. La sua realizzazione, però, presuppone una cultura organizzativa conforme nelle componenti della scuola, soprattutto nel personale docente e dirigente, e una politica di impulso, sostegno, coordinamento e verifica da parte del centro senza indebite ingerenze gestionali. Il modello culturale ha approfondito in particolare le funzione della​​ leadership​​ educativa, articolandola nelle seguenti direzioni: la funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione e o.); la funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli studenti e del personale, a partire da quello docente, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia scolastica; la funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’istruzione e dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri insegnanti; la funzione simbolica che si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti della scuola e interpretare i loro sentimenti e aspettative; la funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori distintivi dell’istituto e per inserire i nuovi collaboratori e studenti, per costruire un pensiero comune e una «comunità morale».

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G. Malizia