DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

image_pdfimage_print

 

DEONTOLOGIA PROFESSIONALE

In questa sede ci si occuperà in particolare della d. delle professioni educative. Intesa in senso largo, la d.p. s’identifica con 1’​​ ​​ etica in generale in quanto applicata all’esercizio delle professioni. Ordinariamente però essa indica l’insieme delle norme di etica professionale codificate, più o meno ufficialmente, dagli organi di autogoverno di una professione (i cosiddetti «codici di d.p.»). Questi codici hanno, rispetto all’etica professionale intesa in senso largo, contenuti minimali ma più precisi e coattivamente esigibili, più debole rimando ai valori e l’assenza di qualsiasi scelta riguardo ai fondamenti di senso. A causa dell’assenza di uno specifico codice di d.p. dell’educatore e del profondo coinvolgimento etico dell’educatore nell’esercizio della sua professione, in questa voce il lemma d.p. sarà inteso nel senso più largo, aperto a tutto lo spessore della problematica etica.

1.​​ L’educazione come promozione umana.​​ L’elemento che, dal punto di vista etico, più specificamente caratterizza la professione educativa è il fatto di occuparsi in modo diretto e immediato dell’umanità dell’​​ ​​ uomo. In questo senso, essa differisce radicalmente dalle professioni orientate alla produzione di beni economici o di servizi sociali. La professione educativa promuove questa specificità umana nelle persone concrete degli educandi, favorendo il loro passaggio da quella potenzialità ricchissima ma germinale che essi sono, ad un’attuazione pienamente sviluppata, quale si dà nell’adulto riuscito. La maturazione promossa dall’educazione riguarda tutta la ricchezza umana dell’​​ ​​ educando: intelligenza, razionalità, abilità pratiche, sensibilità estetiche, sentimenti e affettività, coscienza morale, responsabilità sociale, protagonismo storico, esperienza morale e religiosa.

2.​​ Un dovere di giustizia.​​ Queste considerazioni gettano una luce particolare sulla responsabilità morale dell’​​ ​​ educatore. Se si pensa al suo influsso sulla riuscita o sul fallimento dell’uomo in quanto uomo, essa è difficilmente misurabile. Spesso però la sua responsabilità assume il carattere preciso e rigoroso di un dovere di giustizia: di fatto nella nostra società l’educatore svolge la sua professione, accettando questo incarico da parte delle famiglie o da parte della società civile, con una qualche forma di contratto o quasi-contratto implicito che carica l’esercizio della sua professione di doveri precisi di giustizia contrattuale nei confronti delle famiglie e della società. Nella misura in cui questi doveri sono contenuti, almeno implicitamente, in quella specie di patto con cui i genitori affidano i loro figli ad altri educatori, tali obblighi assumono anche una precisa rilevanza contrattuale. Gli educatori operano anche in quanto rappresentanti della società civile e dello Stato di cui fanno parte; a loro è perciò affidata anche la cura delle attese e degli interessi di tutta la società. Il rapporto tra la società, come contesto educativo o «educatore globale» da una parte, e il singolo educatore o agenzia educativa dall’altra è necessariamente complesso, e non raramente conflittuale. Tali conflitti toccano la responsabilità morale dell’educatore e creano spesso penosi «casi di coscienza». Uno degli obblighi più seri che incombono sull’educatore e sull’insegnante è quello di una adeguata formazione permanente. Necessaria già in forza degli inevitabili limiti di ogni formazione di base, essa lo è ancora di più in un mondo in cui il ritmo dei cambiamenti culturali supera sempre le capacità di adeguamento spontaneo delle singole persone.

3.​​ Educare nella scuola.​​ Una forma particolarmente seria e chiaramente determinata di obblighi di giustizia contrattuale verso la società e lo Stato è quella cui gli educatori sono vincolati quando operano all’interno della scuola. Nelle società industriali avanzate, l’istituzione scolastica ha assunto dimensioni e rilevanza mai raggiunte in passato, e svolge un insieme di funzioni diverse, decisive per la formazione umana e per lo sviluppo e il benessere della società. Il fatto di operare all’interno di un’istituzione pubblica, o comunque legata agli utenti da un vero e proprio rapporto contrattuale, esclude dalla professione dell’​​ ​​ insegnamento ogni aspetto di puro volontariato o di sola gratuità. Non nel senso che simili atteggiamenti le siano preclusi, ma nel senso che, prima ancora di ogni gratuità e prescindendo da ogni volontariato, l’​​ ​​ insegnante è tenuto all’esercizio competente e serio della sua professione in forza di un obbligo antecedente di giustizia. Questo debito stretto di giustizia nei confronti degli allievi, ma anche delle loro famiglie e dell’intera società, investe tutti gli ambiti della professione insegnante: la preparazione culturale e pedagogica, remota e prossima, l’aggiornamento e la​​ ​​ formazione permanente, lo svolgimento delle lezioni, la correzione dei compiti e le interrogazioni, i consigli di classe e i contatti con i genitori, la sperimentazione didattica e la guida intellettuale individuale, la valutazione imparziale ed equanime delle capacità, diligenza, profitto, attitudini degli allievi, che legge e tradizione affidano in misura considerevole ai docenti e agli organi collegiali scolastici. Anche se non espressamente contemplata in nessun contratto collettivo di lavoro, va considerata come dovere di giustizia contrattuale una certa «passione per l’insegnamento e l’educazione», che del resto è un tratto essenziale della personalità morale di ogni educatore.

4.​​ L’educazione come promozione morale.​​ Il carattere tendenzialmente unitario, anche se estremamente complesso, dell’esistenza umana fa sì che la promozione dello sviluppo dell’uomo, anche solo in un settore particolare della sua vita, coinvolga colui che se ne fa carico nella promozione di tutto l’uomo e quindi, dato il carattere etico di ogni pienezza umana, nell’​​ ​​ educazione morale. Tale finalità viene di fatto perseguita anche quando l’educatore non intende farlo in modo esplicito; anzi perfino quando egli non credesse nella sensatezza e praticabilità di una educazione morale, egli farebbe comunque educazione (o diseducazione) morale, attraverso quello che qualcuno chiama​​ hidden curriculum,​​ il curricolo occulto, ma non per questo meno efficace, costituito dalle sue implicite prese di posizione nei confronti dei valori in cui crede o che rifiuta, attraverso la testimonianza della sua vita personale e le modalità del suo stesso​​ ​​ rapporto educativo.

5.​​ L’educazione come fatto di comunicazione.​​ Ogni dinamismo educativo si risolve in una forma di​​ ​​ comunicazione: l’etica della professione educativa è quindi anche una forma di etica della comunicazione, l’etica appunto della comunicazione educativa. Un’importante qualità morale della comunicazione educativa è l’autenticità,​​ che è la modalità specifica della veracità in questo campo. La veracità riguarda anche i contenuti oggettivi del messaggio educativo, ma riguarda soprattutto la verità esistenziale dell’educatore stesso: egli deve comunicare se stesso per quello che veramente è, senza infingimenti e ipocrisie. Attraverso la testimonianza, ciò che egli comunica è la verità stessa del suo essere: egli educa con quello che è, prima ancora che con quello che dice, proprio perché nella globalità di quanto dice e di quanto fa egli esprime se stesso.

Bibliografia

Flitner W. - J. Derbolav,​​ Problemi di etica pedagogica,​​ Brescia, La Scuola, 1988;​​ Günzler C. et al.,​​ Ethik und Erziehung,​​ Stuttgart, Kohlhammer,​​ 1988;​​ Thévenot X. et al.,​​ Pour une éthique de la pratique éducative,​​ Tournai, Desclée, 1991;​​ Gatti G.,​​ Etica delle professioni formative, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Bárcena F. - J.​​ C. Mélich,​​ La educación como acontecimiento ético, Barcelona, Paidós, 2000.

G. Gatti