portatori di HANDICAP

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HANDICAP: portatori di

Non è sempre facile trovare il vocabolo più adatto per esprimere una realtà, soprattutto se questa è complessa e tocca le persone. Così succede nel caso di cui ora ci occupiamo. Le persone con h. sono quelle che o fin dalla nascita o in seguito a evento morboso o traumatico presentano una menomazione fisica, sensoriale o psichica che impedisce o rende loro più difficile vivere una vita autonoma e indipendente.

1.​​ Uso terminologico.​​ La terminologia usata per riassumere questo concetto con migliore o peggiore fortuna, è stata molto varia: deficiente, minorato, anormale, subnormale, ipodotato, ecc. sono tutti termini usati e criticati. L’elenco è più ampio se lo restringiamo al campo dell’h. mentale, cominciando dalla classica distinzione tra idiozia, imbecillità e debolezza. Sempre nel campo dell’h. mentale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, già nel 1954, propose il termine di «insufficienza mentale». Successivamente si è andato affermando, perché ritenuto più socialmente accettabile e meno carico di prognosi negativa, il termine handicappato o persona portatrice di h., sia esso fisico, sensoriale o mentale. Ultimamente ha prevalso la dizione «diversamente abile». Alle tre categorie sopra indicate (fisico, sensoriale e mentale) si farà ora riferimento, dando maggior rilievo alla problematica relativa alle persone con h. mentale.

2.​​ Gli h. fisici o motori.​​ Ne sono portatrici quelle persone che per difetto di sviluppo congenito o acquisito sono diventate deficitarie nell’uso del corpo e delle membra. Una classificazione di questi h. motori può essere fatta a seconda dell’origine cerebrale, spinale, muscolare o osseo-articolare. È evidente che ciascuno di questi tipi di minorazione pone problemi specifici per l’influsso che esercita sulla​​ ​​ personalità o sul comportamento del soggetto e per le possibilità di​​ ​​ recupero che offre. Le conseguenze di queste minorazioni sullo sviluppo globale della persona sono collegate alla loro gravità, agli eventuali disturbi associati e possono produrre insicurezza e sensi di esclusione e di abbandono. L’azione di recupero e riabilitazione, oltre che essere tempestiva, deve mirare ad un recupero funzionale, a dare alla persona il massimo possibile di autonomia e indipendenza ed a garantire una valorizzazione personale e sociale. È importante sottolineare, però, che l’h. non porta necessariamente al disadattamento ma che il disadattamento è solo uno dei modi di vivere l’h.

3. Gli h. sensoriali.​​ Si riferiscono, in modo particolare, alle minorazioni visive e a quelle uditive, nelle principali gradazioni di gravità (ciechi e ambliopi per gli h. visivi, sordomuti e sordastri per gli h. uditivi). Anche queste deficienze sensoriali pongono problemi di sviluppo equilibrato e armonico delle persone che ne sono portatrici e richiedono interventi psicopedagogici adeguati. Gli interventi di recupero nel caso di h. sensoriali hanno alla base due tipi di azione: l’utilizzo ottimale dei resti sensoriali e il potenziamento della cosiddetta supplenza sensoriale. I resti sensoriali vanno bene utilizzati anche con eventuali protesi, eccetto nei casi in cui una loro sovrastimolazione possa essere nociva. La supplenza sensoriale, e cioè la sostituzione delle funzioni di un senso con il potenziamento degli altri, è un fenomeno ben conosciuto, anche se le spiegazioni di esso non sono unanimi: c’è una superiorità compensatoria di tipo organico (non è stato mai dimostrato)? c’è un migliore utilizzo degli altri sensi con risultati non raggiunti nella normalità? c’è un arricchimento degli altri sensi dovuto alla necessità di rispondere ad esigenze della vita quotidiana? Queste ultime ipotesi sembrano più accettabili della prima. Nell’intervento rieducativo lo scopo è quello di portare la persona con h. sensoriale il più vicino possibile a fare tutto ciò che fanno coloro che di h. sensoriale non soffrono.

4.​​ L’h. mentale.​​ Nel campo dell’h. particolare rilievo assume l’h. mentale o insufficienza mentale. Si tratta di un problema complesso e difficile. È complesso il concetto, sono complesse le ripercussioni sullo sviluppo globale della personalità, sono complesse le modalità di intervento così come sono complesse le posizioni più o meno ideologicizzate che conducono ai vari tipi di azione di recupero. Tre distinzioni iniziali vanno fatte per aiutare la comprensione del concetto di h. o insufficienza mentale: insufficienza congenita, precoce e insufficienza acquisita; già Esquirol distingueva, a suo tempo, tra demente e deficiente: il primo è un uomo privato dei beni che possedeva, il secondo si è trovato sempre nella povertà. Bisogna distinguere inoltre tra insufficienza mentale e insufficienza affettiva: la frequente interazione tra sviluppo intellettivo e sviluppo affettivo può condurre a diagnosi sbagliate. Molti casi, diagnosticati inizialmente come insufficienze mentali si sono dimostrati in seguito a trattamento psicoterapeutico forme di​​ ​​ autismo o di​​ ​​ psicosi infantili. C’è infine da distinguere tra vero h. e falsa anormalità, dovuta quest’ultima, in particolare, a fattori estrinseci allo sviluppo, e cioè a forme di abbandono intellettuale, morale o fisico.

5.​​ L’identificazione e la successiva classificazione delle forme di h. mentale.​​ Sono andate cambiando nel tempo passando da impostazioni diagnostiche legate ad un solo sintomo ad impostazioni più complesse: si passa, per es., da una diagnosi basata sul linguaggio, all’età mentale o al quoziente di intelligenza, all’esame globale della personalità e del comportamento. Si arriva così al cosiddetto «quoziente di sviluppo» di A. Gesell, quoziente che si ricava dall’analisi di quattro aspetti della personalità: comportamento motorio, comportamento linguistico, comportamenti di adattamento e comportamento personale e sociale. Occorre perciò affermare che l’h. mentale così come è multideterminato è anche multidimensionale. Ragionando in questo modo, P. Parent e C. Gonnet affermano che la nozione di debolezza mentale non ha l’unità concettuale che qualche volta le è attribuita e R. Zazzo sottolinea che «la debolezza mentale non è definibile soltanto per il ritmo intellettuale di crescita». Questa concezione più dinamica del concetto di h. mentale ha favorito il superamento della irrecuperabilità ed ha stimolato pedagogisti ed educatori ad un maggiore impegno sul piano scolastico ed educativo.

6. Dalla diagnosi al recupero.​​ Le migliori possibilità di recupero sono legate alla precocità dell’intervento; da ciò nasce l’esigenza di una diagnosi precoce. Questa può essere soltanto il risultato di una stretta collaborazione tra genitori, asili di infanzia e scuole materne e servizi socio-sanitari per l’infanzia. I genitori vanno aiutati a superare tre grossi ostacoli che ritardano il recupero: la non accettazione dell’h., l’ansia per il futuro del figlio, l’iper-protezionismo. La​​ ​​ famiglia, pertanto, diventa la prima struttura per il recupero delle persone portatrici di h. mentali. La famiglia dovrà successivamente accompagnare l’azione svolta da altre strutture di recupero, come i centri di riabilitazione, la scuola ed i centri di​​ ​​ formazione professionale. L’azione integrata di famiglia, scuola, formazione professionale, servizi sociali e di riabilitazione deve portare al raggiungimento di un obiettivo, meta di tutto l’impegno educativo e rieducativo: l’inserimento sociale e lavorativo della persona portatrice di h. All’azione della famiglia, prima struttura di riabilitazione e inserimento, si aggiunge in un secondo momento la scuola, dalla materna alle superiori. Sono stati ormai superati i tempi degli istituti medico-psico-pedagogici, delle scuole speciali (rimangono, evidentemente, istituzioni specializzate per i gravissimi), delle classi speciali e delle classi differenziali.

7.​​ H. e scuola.​​ L’attenzione sistematica della scuola al problema del recupero dei soggetti portatori di h., e in particolare di h. mentale, risale alla fine dell’Ottocento ed ai primi anni del Novecento. Nomi internazionalmente illustri della psichiatria e della pedagogia italiana hanno messo le basi degli interventi istituzionali di recupero. Basti ricordare S. De Sanctis, M.​​ ​​ Montessori, G. Montesano, C. Bonfigli. Del 1899, infatti, è la creazione della Lega Nazionale per la Protezione dei Fanciulli deficienti. Alla costituzione della Lega fece seguito, nel 1900, la prima Scuola Magistrale Ortofrenica a Roma e, nel 1901, il primo Istituto Medico-Psico-Pedagogico. L’azione di recupero scolastico vide fasi alterne di interesse e di routine e solo alla fine degli anni sessanta, in concomitanza con la rivoluzione socio-culturale di quegli anni, assunse rilievo e ottenne un riconoscimento legislativo a cui, pur lentamente, ha corrisposto un’adesione convinta e partecipe della scuola in particolare e della società civile in generale. La lotta all’​​ ​​ emarginazione di ogni tipo portò anche ad una riflessione sui problemi dell’h. e alla necessità di muoversi nella direzione del superamento di ogni intervento sostanzialmente o apparentemente discriminatorio. Nel 1971 la L. n. 118 del 30 marzo, all’art. 28 afferma, anche se con qualche limitazione legata alla gravità dell’h., che l’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica. Questa normativa fu perfezionata e meglio specificata nella L. 517 del 1977. Dalla scuola si ampliò l’azione di lotta all’emarginazione nella formazione professionale, nell’inserimento lavorativo, nelle varie manifestazioni di vita sociale. All’insegna della deistituzionalizzazione si è lavorato per favorire un’integrazione sociale delle persone a rischio: si è trattato, dall’inizio degli anni settanta ad oggi, di un’azione di grande portata civile, anche se condotta a volte senza condizioni che ne garantissero l’efficacia. Si è lavorato con carenza di strutture adeguate e con operatori sociali e scolastici non sempre opportunamente e adeguatamente preparati.

8.​​ Formazione professionale e h.​​ Oltre al lavoro della scuola, va anche riconosciuto il contributo dato dalla formazione professionale per favorire un inserimento lavorativo delle persone con h., nella convinzione che un vero inserimento sociale (obiettivo ultimo dell’azione di recupero) non può essere raggiunto se non si ottiene anche un inserimento lavorativo rispettoso della dignità della persona. Gli interventi tendenti all’inserimento lavorativo hanno potuto avvantaggiarsi di notevoli contributi dell’Unione Europea che, non solo finanziariamente, ma anche con la promozione di scambi di esperienze tra i paesi membri, ha facilitato l’arricchimento a livello di metodologie, tecniche, strumenti e preparazione degli operatori. L’obiettivo «integrazione» nasce dalla centralità della persona e dalla conseguente esigenza di aiutare i portatori di h. ad un recupero di dignità, di autonomia e di protagonismo che, senza ignorare difficoltà oggettive, non parta da posizioni pregiudiziali di totale o parziale irrecuperabilità. A questo riguardo, e lasciando ad altre voci gli aspetti operativi di integrazione scolastica, lavorativa e sociale (​​ sostegno educativo, recupero, rieducazione), vanno sottolineate alcune essenziali esigenze.

9. L’integrazione sociale degli handicappati.​​ Va detto in primo luogo che nessuna vera integrazione sociale della persona con h. è possibile se non esiste accettazione da parte della società in cui deve integrarsi e se da parte della popolazione civile la persona con h. non viene accolta con le sue limitazioni: infatti non c’è integrazione senza accettazione. È anche importante ricordare che per quanto riguarda le possibilità di recupero della persona con h. non è possibile fare delle prognosi a priori: non si possono porre limiti iniziali all’intervento educativo. Va infine detto che occorre prestare particolare attenzione alla parte sana della persona handicappata; a volte, l’attenzione all’aspetto deficitario corre il rischio di far dimenticare lo sviluppo di altre capacità e potenzialità. Sempre in riferimento all’integrazione sociale vanno segnalate tante iniziative oggi esistenti che favoriscono il recupero e l’inserimento di queste persone, tra cui, l’organizzazione nazionale e internazionale di gare e olimpiadi che prevedono la loro partecipazione.

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M. Gutiérrez