TOSSICODIPENDENZA
Per t. o secondo l’OMS farmacodipendenza, s’intende la dipendenza psichica e / o fisica da una → droga.
1. Precisazioni. Nel 1973 l’OMS ha formulato le seguenti definizioni che oggi si attagliano alla dipendenza morfo-eroinica e alcoolico-barbiturica. Dipendenza psichica è la situazione in cui una droga produce sensazioni di benessere e una pulsione psichica o spinta incontrollabile a consumarla in maniera periodica o continua al fine di ottenere un piacere o di impedire sensazioni spiacevoli. Per dipendenza fisica si intende l’abitudine o l’assuefazione a una droga, che si manifesta con la comparsa di disturbi fisici violenti, allorché l’autosomministrazione è interrotta. Questi disturbi, chiamati sindrome di astinenza o di privazione, costituiscono un insieme specifico di sintomi psichici e fisici che variano secondo il tipo di droga. Per quanto concerne la cocaina, è stato individuato nel 1990 dall’OMS un diverso modello di tolleranza e dipendenza psichica e fisica, chiamato neuroadattamento, che verrà riferito in seguito allorché si parlerà di sindrome di astinenza. La tossicomania, termine che molti autori raccomandano di non usare più, è stata definita dall’OMS (1957) uno stato d’intossicazione periodica o cronica che colpisce l’individuo, originato dal consumo ripetuto di una droga naturale o sintetica. Le sue caratteristiche sono: a) un desiderio invincibile di continuare a consumare la droga e di procurarsela con tutti i mezzi; b) una tendenza ad aumentare le dosi; c) una dipendenza di ordine psichico e a volte fisico; d) un effetto lesivo per l’individuo e la società. In realtà detto termine è assorbito in quello di t. e neuroadattamento e non ha più motivo di esistere sotto l’aspetto tassonomico-classificativo.
2. Sindrome di astinenza. La conseguenza dell’instaurarsi della t. è rappresentata dalla manifestazione della sindrome astinenziale che rende molto difficile il divezzamento, la disassuefazione e la riabilitazione del dipendente. Quanto alla sindrome astinenziale da oppioidi, alla quale si possono correlare per grandi linee quelle da alcool e da barbiturici, i primi sintomi della crisi, se la droga viene autoiniettata, insorgono da sei a dodici ore – I grado – dopo l’ultima assunzione e sono caratterizzati da aumento della frequenza del respiro, irrequietezza, sudorazione profusa, rinorrea ovvero emissione di liquidi nasali, sbadigli, sonno profondo ma agitato. Dopo circa ventiquattr’ore – II grado – i sintomi si accentuano e se ne presentano altri; gli sbadigli possono essere di tale violenza da lussare la mandibola; compare una forte lacrimazione, la pupilla si dilata (midriasi). Insorgono tremori, dolori e scosse muscolari, la pelle diviene fredda, sudata, con peli eretti – la cosiddetta sindrome del «tacchino freddo» –, caldane, brividi e grave anoressia. Tra ventiquattro e quarantott’ore – III grado – aumentano i sintomi precedenti e si aggiungono: agitazione, insonnia, elevazione della temperatura corporea, della pressione arteriosa, della frequenza del polso e del respiro. Inoltre violente contrazioni intestinali, nausea, vomito e diarrea profusa. Tra le quarantotto e le settantadue ore la crisi raggiunge l’acme: compaiono forti brividi squassanti e sensazione di freddo intenso. Tutto il corpo è percorso da tremiti, i piedi scalciano involontariamente: in gergo si dice «dare un calcio all’abitudine». I crampi muscolari aumentano d’intensità. Si avvertono dolori forti e diffusi, soprattutto a carico delle ossa. Tutta la sintomatologia a poco a poco regredisce e si risolve nel giro di dieci-quindici giorni, pur persistendo spesso per alcuni mesi dolenzia diffusa, leggeri tremori, stato di ansia, sensazione di freddo. La gravità è variabile, ma la crisi nell’adulto non è letale, e secondo molti studiosi, almeno in gran parte inconsciamente pretestuosa al fine di ottenere nuovamente la droga. Nei neonati di madre eroinomane è mortale se non si interviene con somministrazione scalare di oppiacei che risolve la situazione in quattro, cinque giorni. Negli ultimi anni si è individuata una sindrome di astinenza cronica o protratta. Se l’oppioide è assunto per via orale, come avviene per il metadone, l’insorgenza è ritardata, ma la durata è prolungata. Circa la sindrome astinenziale da cocaina, alla quale si può assimilare quella da anfetamina, si distinguono tre fasi, legate al neuroadattamento sopra citato. La fase di crash – o di disforia acuta – dura da nove ore a quattro giorni, dopo l’assunzione dell’ultima dose. Un lasso di tempo in cui si possono individuare tre momenti diversi: precoce, intermedio e tardivo. Nel complesso la fase del crash è una condizione acuta di autolimitazione all’assunzione intensa e protratta, che non contribuisce però all’eliminazione delle ricadute croniche. In questa fase è consigliato il trattamento con tirosina, la sostanza base da cui parte la sintesi di queste due catecolamine. La seconda fase, Withdrawal (astinenza, o anedonia, o disturbo post-stimolatorio dell’umore), è più lunga delle altre. Si protrae da circa una settimana fino a dieci, da quando è cessato l’abuso. Può essere considerata un’autentica vera astinenza fisica di tipo classico secondo il modello oppiaceo. Talvolta si manifesta con uno stato che, per la gravità dei sintomi, richiede terapia rianimatoria. L’assunzione cronica di elevati dosaggi di stimolanti potrebbe determinare modificazioni neurofisiologiche nei sistemi cerebrali che regolano i processi psicologici. Anche in questa fase possono essere riconosciuti distintamente tre periodi: precoce, intermedio e tardivo. In questa fase è indicato il trattamento integrato psicoterapico e farmacologico con farmaci antidepressivi o anche dopaminergici, ovvero a effetto dopaminico. La fase 3, Extinction (estinzione, o disturbo condizionato post-astinenziale) ha una durata indefinita; l’umore e la risposta edonica sono normali. Ciononostante possono ripresentarsi episodi di desiderio della droga. Un desiderio – a differenza della seconda fase – che non è accompagnato da senso di malessere. La smania può diventare anche molto assillante e comparire – qualche volta – anche a distanza di parecchi anni dall’ultima assunzione. Molto spesso la manifestazione è episodica, e in certi casi può durare anche qualche ora. Comunque, difficilmente porta ad un nuovo abuso. Il desiderio di cocaina si manifesta nel contesto di particolari stati emotivi, indotti da luoghi, eventi o ricorrenze, qualsiasi cosa che ricordi la precedente tossicomania. Dopo un periodo di trattamento psicofarmacologico residenziale, atto al superamento delle prime due fasi, il soggetto rientra nel proprio ambiente, un momento sempre estremamente delicato. Il trattamento – a meno che non vi siano alterazioni psichiatriche di fondo sensibili alla terapia farmacologica – è essenzialmente psicoterapeutico.
3. I cannabinoidi. Producono attrazione con una dipendenza psichica di solito non molto rilevante e una fisica ancor meno eclatante, solo per soggetti che abbiano consumato quantitativi molto elevati. Altrettanto può dirsi per i farmaci sedativi benzodiazepinici, mentre più importante è la sintomatologia per gli stimolanti allucinogeni di sintesi, quali l’ecstasy o metilen-diossi-3,4 meta-anfetamina.
4. Gli allucinogeni naturali e il semisintetico LSD. Non producono molti degli effetti caratteristici delle droghe, in quanto non ingenerano assuefazione e t. vera e propria, ma anzi, dopo una somministrazione si ha una fase refrattaria, tuttavia per la notevole attrazione psichica e per la loro grave tossicità, specie psicoalterante, per l’uso di massa che se ne è fatto, per le gravi alterazioni comportamentali e per il coinvolgimento giovanile, vengono assimilati alle droghe vere e proprie.
5. Interventi educativi e rieducativi. Di fronte alla diffusione geometrica delle droghe, specie nei giovani, l’approccio e le strategie educative (comunità terapeutiche) sono stati fortemente coinvolti con finalità preventive e terapeutiche. Un primo aspetto è rappresentato dalla → prevenzione secondaria o terapia dei consumatori di droga. La pedagogia si propone di divezzare i consumatori e comunque di impedire che divengano dipendenti con approcci e strategie particolari. Infine la prevenzione terziaria o terapia del dipendente, si giova di metodologie educative pedagogiche e di sostegno per il divezzamento con superamento della crisi astinenziale, disassuefazione e riabilitazione del tossicodipendente.
Bibliografia
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E. Malizia