OBBLIGO DISTRUZIONE

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OBBLIGO D’ISTRUZIONE

Per o.d.i. si intende il dovere imposto per legge al cittadino di ricevere una formazione almeno sufficiente per inserirsi nella società o per continuare gli studi. Ad esso corrisponde il diritto del singolo all’istruzione e il diritto / dovere della società, da una parte, di esigere che il cittadino si istruisca e, dall’altra, di porre le condizioni affinché quest’ultimo possa a sua volta esercitare il suo diritto / dovere.

1.​​ Le tendenze generali.​​ Sull’introduzione dell’o.d.i. hanno influito​​ ragioni​​ di diversa natura. Anzitutto, vanno ricordati i motivi religiosi che risalgono al​​ ​​ Medioevo e che poi hanno trovato terreno fertile nella Riforma: si mirava, infatti, a favorire la partecipazione alla vita e alla cultura religiosa. Successivamente, l’​​ ​​ Illuminismo ha contribuito con la dottrina dei diritti naturali e in particolare di quello allo sviluppo integrale delle capacità ricevute dalla natura. I sovrani illuminati, i movimenti nazionali e recenti teorie economiche hanno messo in evidenza i benefici che una cittadinanza colta può fornire alla crescita del Paese. A loro volta, i sindacati e i partiti progressisti hanno insistito sulla promozione delle classi popolari anche attraverso l’istruzione. Nonostante ciò, l’introduzione dell’o. in Europa dovrà attendere la seconda metà del sec. XIX. Se veniamo ai nostri tempi, una prima tendenza consiste nel voler coniugare​​ contemporaneamente eguaglianza e diversità.​​ Il consenso generale sul principio che l’educazione è un diritto di tutti senza discriminazioni né per il singolo né per alcun gruppo, è accompagnato dalla crescente consapevolezza che esso non significa una formazione eguale per tutti riguardo alle strutture e ai contenuti. Inoltre, l’istruzione obbligatoria non può più essere concepita come una formazione sufficiente per tutta la vita, ma va pensata come una​​ preparazione iniziale​​ che si integra in un progetto di​​ ​​ educazione permanente. La politica di un progressivo allungamento dell’o. non ha mai incontrato opposizioni di principio nei Paesi dell’Unione Europea. In questi ultimi anni, si registra in proposito una tendenza interessante al​​ superamento del concetto stesso di o.d.i. e alla sua sostituzione con quello di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Infatti, l’o.d.i., se dal punto di vista storico ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei diritti di​​ ​​ cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruzione e la​​ ​​ formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurati a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in​​ ​​ rete, in una prospettiva di​​ ​​ solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative tra loro escludentisi.

2.​​ La situazione italiana.​​ In​​ ​​ Italia l’istruzione obbligatoria è stata introdotta dalla L. Casati (1859) per la durata di 2 anni ed elevata successivamente a 3 nel 1877, a 6 nel 1904 e a 8 nel 1923. La normativa è rimasta però ampiamente​​ disattesa​​ per molto tempo e soltanto negli anni ’70 ha trovato un’attuazione sostanziale. Anche se in un quadro di principi senz’altro più avanzato, la Costituzione repubblicana (1947) si è limitata a riaffermare all’art. 34 che l’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni. Durante la decade successiva il dibattito si è concentrato sul significato dell’espressione «istruzione inferiore» se essa cioè volesse dire un’istruzione elementare in cui si fornivano i rudimenti del sapere – una interpretazione che implicava il mantenimento del doppio canale dell’avviamento e della media – oppure semplicemente un’istruzione che veniva prima. Alla fine è prevalsa la seconda interpretazione, giustificata anche da valide ragioni psico-pedagogiche e di giustizia sociale, ed è stata varata nel 1962 la scuola media unica, obbligatoria, orientativa e secondaria, benché di primo grado. Dalla fine degli anni ’70 esisteva anche un largo consenso sull’opportunità di prolungare l’o. da 8 a​​ 10 anni,​​ fino cioè ai 16 di età, per fornire a tutti i giovani una formazione in linea con gli altri Paesi dell’​​ ​​ Europa e corrispondente alle esigenze culturali e professionali sempre più elevate della società industriale. Nonostante ciò, l’elevazione è stata realizzata solo negli anni ’90. L’introduzione dell’o. formativo con la L. 144 / 1999, che sanciva l’o. di frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età da assolvere in percorsi anche integrati di istruzione e formazione nel sistema di istruzione scolastica, nel sistema della formazione professionale di competenza regionale o nell’esercizio dell’apprendistato, riconosceva la pari dignità a tutti gli itinerari formativi previsti dopo l’o.d.i. In altre parole, l’uscita dalla scuola per iscriversi alla formazione professionale non era più vista come un abbandono, ma come un completamento normale del proprio curricolo formativo in vista del conseguimento della qualifica. Ma la riforma Berlinguer (L. 30 / 2000) ha continuato a mantenere la formazione professionale in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto al percorso scolastico. Quasi contemporaneamente veniva innalzato l’o. scolastico di un anno con la L. 9 / 99, e in prospettiva di due anni con la L. 30 / 2000: questo ha fortemente penalizzato gli adolescenti, soprattutto i più svantaggiati e in difficoltà, per effetto sia dello spostamento della scelta dell’o. formativo al secondo anno della scuola secondaria superiore, sia soprattutto dell’imposizione dell’o. scolastico e di frequenza ad una scuola che li costringeva a un parcheggio di un anno nelle aule scolastiche. Al contrario, la riforma Moratti (L. 53 / 03) si è mossa nella linea della tendenza che è emersa recentemente in Europa al superamento del concetto stesso di o.d.i. ed ha assicurato a ognuno il​​ diritto all’istruzione e alla formazione,​​ per almeno 12 anni​​ o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Da ultimo, il nuovo governo di centro-sinistra, pur deciso a mantenere come quadro generale di riferimento la riforma Moratti, e certamente con una intenzionalità positiva, ha innalzato di due anni l’o.d.i., cioè da 8 a 10 (cfr. comma 626 della L. 296 / 06), perché sarebbero necessari per rafforzare ed elevare le competenze di base e per effettuare le scelte di indirizzo e di percorso con una maggiore consapevolezza. Per le ragioni esposte sopra questo provvedimento mi sembra che costituisca un arretramento.

Bibliografia

Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D. M. n. 672 del 18 luglio 2001, in «Annali dell’Istruzione» 47 (2001) 1 / 2, 3-176; Malizia G., «La legge 53 / 2003 nel quadro della storia della riforma scolastica in Italia», in R. Franchini - R. Cerri (Edd.),​​ Per​​ una istruzione e formazione professionale di eccellenza, Milano, Angeli, 2005, 42-63;​​ Audizione del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni. VII Commissione Cultura,​​ Scienza e Istruzione​​ (29 giugno 2006), Roma, 2006; Nicoli D.,​​ Diritto-dovere di istruzione e formazione o o. scolastico, in «Presenza CONFAP» (2006) 1-2, 53-59.

G. Malizia