educazione alla MONDIALITÀ

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MONDIALITÀ: educazione alla

Pluriverso, ecumene globale, società delle reti, età del meticciato, ecc., sono appena alcune delle espressioni che vengono utilizzate per caratterizzare il mondo d’oggi. Ma dentro ognuno di noi – ha osservato l’intellettuale francese J. Daniel – c’è ancora una contraddizione tra sedentarietà e nomadismo, tra nostalgia del particolare e spinta verso l’universale, tra il desiderio di ancorarsi a un’identità e la solidarietà che ci imponiamo nei confronti degli altri. Tuttavia, per la prima volta, il proposito di Terenzio, che​​ ​​ Montaigne ha reso celebre, «niente di ciò che è umano mi è estraneo», ha cessato di essere una morale ed è divenuto un obbligo: ognuno è diventato il vicino dell’uomo più lontano di questa terra. Il sentimento della distanza sta per scomparire. Sta per nascere in sua vece il «sentimento» dell’interdipendenza.

1. L’educazione alla m. è dunque diventata una necessità, un imperativo pedagogico. L’uomo di oggi, infatti, è in ritardo con se stesso. La storia sta camminando più velocemente della coscienza (E. Balducci). C’è una sfasatura tra la società – che è di fatto planetaria – e la coscienza umana che è ancora pre-planetaria. In termini di consapevolezza, scrive E. Morin, stiamo ancora all’età del ferro dell’epoca planetaria. Abitiamo sull’arancia blu (così è apparsa la Terra nel 1957 all’uomo che la guardava per la prima volta dall’oblò di una capsula in orbita), ma dentro di noi c’è ancora una coscienza dello «spicchio». L’interdipendenza planetaria è ben lontana dall’essere vissuta come categoria etica e ancora meno dal diventare una nuova concezione della​​ governance​​ e della sovranità in politica. Il vecchio principio di indipendenza e di sovranità nazionale non basta più. Non è possibile infatti affrontare problemi globali come l’ecologia, le migrazioni, la guerra, la fame, l’aids... con politiche locali o nazionali. A ragione, Giovanni Paolo II ha affermato (2004): «occorre un grado superiore di ordinamento internazionale». Si comprende così la ragione per cui il politologo statunitense Banjamin Barber abbia proposto di celebrare ogni anno la Giornata mondiale dell’Interdipendenza. E di farlo il 12 settembre, il primo giorno dopo l’11, perché esso non si ripeta mai più. A questa iniziativa simbolica, ma fortemente significativa, hanno già aderito numerosi organizzazioni e movimenti della società civile globale.

2. Alla luce di tutto questo, il ritorno parallelo dei localismi e dei fondamentalismi è tutt’altro che assurdo e appare come il tentativo (inadeguato, certamente, ma non irrazionale) di rimettere al centro se stessi, di ripartire dalla propria terra, dal proprio gruppo etnico, culturale, religioso rifiutando quel senso di parzialità e di relatività che la nuova situazione storica di globalità e di meticciamento impone di accettare. L’educazione alla m. si colloca precisamente in questo contesto storico così complesso e conflittuale che coinvolge tutti, a Nord e a Sud del pianeta. L’Unesco, il Consiglio d’Europa, il Parlamento Europeo, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione hanno approvato, negli ultimi anni, numerose dichiarazioni che sollecitano le agenzie educative a muoversi nella direzione della m. e dell’interculturalità anche per ridurre e per prevenire i fenomeni di razzismo, intolleranza, xenofobia e discriminazione. Non v’è dubbio, infatti, che l’educazione alla m. interessi tutte le discipline scolastiche e l’universo della comunicazione sociale, ma un ruolo particolare spetta all’educazione civica. Pensiamo soltanto al tema dei diritti umani e della cittadinanza (nazionale, europea, mondiale), oppure a quello delle istituzioni democratiche (politiche, economiche, sociali) a livello internazionale. Un grande contributo alla costruzione di una società più giusta e conviviale può venire dalle religioni e dallo sforzo congiunto di riconoscere i principi universali di una comune etica mondiale (H. Küng).

3. Educare alla m. non significa in nessun caso «reductio ad​​ unum» delle diversità, omologazione e uniformità, ma indica la «convivialità delle differenze» e quindi la valorizzazione dell’alterità come risorsa e perfino come diritto ad essere «altro». La vera ricchezza di cui il mondo dispone è infatti la diversità delle culture, delle religioni, dei tanti punti di vista che sono destinati a convivere in uno spazio comune e plurale. L’unità della famiglia umana esige infatti cittadinanza «glocale», oltrepassamento di ogni etnocentrismo, etica del genere umano, disponibilità a costruire, insieme agli altri, la civiltà del con-vivere, affrontando positivamente le sfide incalzanti dell’identità, della laicità e dell’etica pubblica.

Bibliografia

Nanni A.,​​ Progetto m.,​​ Bologna, EMI, 1985; Balducci E.,​​ L’uomo planetario,​​ Fiesole, ECP, 1990; Morin E.,​​ Terra. Patria,​​ Milano, Cortina, 1994; Mancini R. et al.,​​ Etiche della m. La nascita di una coscienza planetaria, Assisi, Cittadella, 1996; Tomlison J.,​​ Sentirsi a casa nel mondo,​​ Milano, Feltrinelli, 2001; Küng H.,​​ Etica mondiale per la politica e l’economia,​​ Brescia, Queriniana, 2002; Ceruti M. - G. Bocchi,​​ Educazione e globalizzazione,​​ Milano, Cortina, 2004; Nanni A.,​​ Profeti di m. Il movimento CEM nella scuola italiana,​​ Bologna, EMI, 2007.

A. Nanni