MONACHESIMO

image_pdfimage_print

 

MONACHESIMO

Preistoria e protostoria dell’istituzione monastica non può interessare qui più di tanto. Esistono del resto, fruibilissimi, consuntivi che consentono di accedere a codesti ambiti [1].

1. L’istituzione assume rilevanza nei confronti dell’educazione, allorché incontra a sua volta Benedetto da Norcia (ca. 480-550). Di probabile origine senatoria, disgustato dalle futilità che la scuola gli passava, e più ancora dalla mediocrità della vita di città, se ne fuggì con la nutrice prima ad Affile e poi a Subiaco. Tale Romano, monaco, lo avviò alla pratica della vita solitaria. Solitudine tosto troppa affollata, al punto da indurlo a passare su Monte Cassino, ove visse con la comunità cenobitica che diresse fino alla morte.

2. La​​ Regola,​​ da lui composta, include settantatré capitoli al seguito di un prologo. Il​​ monastero,​​ che essa organizza, prevede una società cenobitica, retta da un​​ abate​​ eletto. Un anno di​​ probandato​​ è offerto a quanti vogliano valutare, in vista di un’ardua perseveranza, fino alla morte, le proprie attitudini. Materialmente ricavata da una precedente​​ Regula Magistri,​​ tuttora anonima e redatta nel meridione d’Italia, a ridosso della metà del secolo, quella di Benedetto resta originalissima nell’indole. Indiscutibile, per cominciare, la sua perentorietà formale [2]. All’epoca in cui i giuristi dell’Impero sono impegnati a coordinare la disparata proliferazione della giurisprudenza classica, anche Benedetto vuole scritta la sua​​ Regola​​ e ogni novizio deve leggerne o sentirne leggere ripetutamente il testo. Correlativamente l’obbedienza è la virtù decisiva. Il c. 68 propone il caso di una disposizione insostenibile dal monaco, presunto non renitente, ma effettivamente esausto o incapace; ebbene, egli deve chiarire al superiore le proprie condizioni, giacché in tutto e per tutto l’abate è di lui responsabile al cospetto di Dio; e qualora questi insista, il monaco deve obbedire, confidando a sua volta nell’aiuto di Dio. Appunto dalla paterna discrezione dell’abate (cfr. c. 64) è commisurata la complessiva autoritarietà del regime. Il monastero costituisce in effetti, a quanto dichiara il prologo della​​ Regola,​​ una​​ scola​​ a servizio di Dio:​​ Constituenda est ergo nobis dominici scola servitii​​ (Prol.,​​ 45); e​​ scola​​ nel gergo di Benedetto denomina l’uno dei distaccamenti militari che difendono, tra San Pietro e il Tevere, la città dilagata al di là delle mura. Più che un ritiro tranquillo e tutto sommato confortevole, il suo monastero è un avamposto, una sorta di unità di combattimento in cui reclute vogliose sono accuratamente addestrate al combattimento per raggiungere, sotto l’illuminata guida dell’abate, il controllo della sensualità e la disciplina della volontà.

3. Per più versi però il chiostro collude con la scuola nel senso ormai condiviso del termine. La​​ Regola​​ prevede la presenza di​​ oblati,​​ minori offerti al monastero dai rispettivi genitori; e per loro dispone alfabetizzazione e cultura; quanto basta, per cominciare, per poter prendere parte degnamente, in coro, alla celebrazione liturgica. E però Donato e Prisciano non lesinano indiscrezioni sulla produzione classica che sottende ed esprime le loro grammatiche; sicché il passo da queste a quella resta persistente lusinga [3].

4. Oltre a fissare i tratti del giorno da dedicare alla lettura e allo studio, naturalmente più a fini di maturazione spirituale che di mera curiosità intellettuale (cfr. c. 8,3; 9,8; 48​​ passim),​​ la​​ Regola​​ dispone inoltre che in Quaresima ciascun monaco prelevi in Biblioteca un codice da leggere integralmente lungo tutto l’anno:​​ Accipiant omnes singulos codices de biblioteca,​​ quos per ordinem ex integro legant​​ (c. 48,15) [4]. Ma come leggere senza libri? L’abbazia di Bec registra l’ammutinamento di una comunità in struggente indigenza e perciò priva di testi e tuttavia chiamata all’ineludibilità della meditazione da un inflessibile giovane priore. E così i chiostri fanno spazio agli​​ scriptoria​​ e alle biblioteche [5].

5. Unità di combattimento per accaparrarsi, nella più radicale disponibilità, la condiscendenza di Dio, il monastero sollecita e piccini e adulti. Questi anzitutto, più che non i primi. La perentorietà del c. 7:​​ De humilitate​​ ha scosso fin la imperturbabilità di un​​ ​​ Tommaso d’Aquino. Al di là del​​ Magister​​ anonimo, al di là di Cassiano, Benedetto attinge ad un​​ Libellus de humilitate​​ di estrazione provenzale, nel quale la accezione tardoantica del termine si è appropriata delle connotazioni neotestamentarie: l’umile controlla a tal punto le movenze della propria vita, da riuscire a lasciarne a Dio la definitiva disponibiltà. Non è facile dire come di fatto vivessero, i monaci, sì tese prospettive. Per un verso l’esercizio della​​ ​​ meditazione su testi autorevoli mette di continuo in questione insufficienze e mancamenti, in un continuo doloroso confronto con i parametri d’un inespugnabile ideale [6]; per l’altro, il chiostro esprime anche esercizi, i cosiddetti​​ Ioca monachorum​​ [7], il cui ingenuo minimalismo suscita più d’una perplessità. Fino a che punto siffatti intrattenimenti esprimono effettiva maturità?​​ 

6. Alle stesse strenue tensioni sono animosamente chiamati anche i piccini; ma naturalmente con la discrezione e il garbo che il c. 70 reclama. Non è facile lenire il trauma dell’oblatura [8]; né, qualora esso fosse stato comunque sopito, crescere disinibiti in un chiostro, affollato da maschi più o meno maturi, ai quali solo perché la​​ Regola​​ lo esige (c. 63,12) si può dare del​​ nonno​​ [9]. E tuttavia, tanto e tale resta il bisogno di tenera accoglienza, che l’esclusione dalla comune convivenza costituisce la prima delle punizioni che la​​ Regola​​ commina; si condisce la segregazione con rimproveri, privazioni e sanzioni corporali, solo se il malcapitato non è nemmeno in grado di stimare​​ quanta poena sit excommunicationis​​ (c. 30, 1-3). Fino ai quindici anni i varii​​ monachuli​​ dovrebbero trovare benevola assistenza presso tutti gli adulti del chiostro. Amorevole, dacché è previsto che le angustie della disciplina siano sempre accomodate alle risorse dell’età:​​ Infantum vero usque quindecim annorum aetates disciplinae diligentia ab omnibus et custodia sit; sed et hoc cum mensura et ratione​​ (c. 70,4). A nessuno è comunque lecito pretendere più di tanto, senza incorrere nei rigori della​​ Regola​​ e nelle rimostranze dell’abate (c. 37,1).

7. A qualche decennio dalla morte di Benedetto i Longobardi invasero la penisola. La resistenza bizantina fu tosto sopraffatta e Montecassino saccheggiata e distrutta (577). Per un secolo e mezzo l’insediamento rimase deserto. Nel 593 Gregorio Magno inserisce nei suoi​​ Dialogi​​ la biografia di Benedetto, divulgandone i meriti. Curiosamente, tuttavia, l’Italia, la Spagna, la Provenza, l’Aquitania, le zone di più assestata romanità, si mostrano poco o punto interessate. Inopinata giunge la fervente adesione delle comunità miste colombano-benedettine. Convinti della eccellenza della​​ Regola​​ di Benedetto, i Colombaniani franchi, anglosassoni o celti, si diedero a diffonderne la adozione, al punto che il sec. VIII la vede ormai generalmente diffusa. Anche l’Italia longobarda viene finalmente coinvolta. Nel 720 l’abbazia di Montecassino risorge e Benedetto torna al lavoro in Europa [10].

Bibliografia

[1]​​ Lexikon MA,​​ VI, München, 1993:​​ Mönch,​​ Mönchtum; MEL​​ - Medioevo Latino,​​ Spoleto, 1979 s.; [2] Jacobs U. K.,​​ Die Regula Benedicti​​ als Rechtbuch. Eine rechthistorische und rechtstheologische Untersuchung,​​ Köln,​​ 1987; [3]​​ Leclercq J.,​​ L’amour des Lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs monastiques du Moyen Age,​​ Paris, 1957, 1990; [4] Nebbiai - Dalla Guardia D.,​​ Les listes médiévales de lectures monastiques. Contribution à la connaissance des anciennes bibliothèques bénédictines,​​ in «Revue Bénédictine»​​ XCVI, 1986, 271-326; [5] Lehmann P., «The Benedictine Order and the transmission of the literature of ancient Rome in Middle Ages», in​​ Forschung des Mittelalters,​​ III, 173-183; [6] Carruthers M,​​ The book of memory. A study of memory in medieval culture,​​ Cambridge, 1970; [7]​​ Brunhölzl F.,​​ Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters,​​ I, München,​​ 1975; [8] Martin McLaughlin M., «Survivors and surrogates. Children and parents from the Ninth to the Thirteenth Centuries», in​​ The history of childhood​​ (Ed. L. De Mause), New York, 1974, 101-181; [9] De Jong M.,​​ Growing up in a carolingian monastery: Magister Hildemar and his oblates,​​ in «Journal of Medieval History»​​ IX,​​ 1983, 99-128; [10]​​ Prinz F.,​​ Askese und Kultur. Vor-und frühbenediktinisches Mönchtum an der Wiege Europas,​​ München,​​ 1980; Penco G.,​​ M. e cultura,​​ Seregno, 1993.

P. T. Stella