STORIA DELL’INFANZIA E DELLA GIOVENTÙ

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STORIA DELL’INFANZIA​​ E DELLA GIOVENTÙ

La s.d.i. e d.g., come la s. della vecchiaia e altre s. di genere, può essere considerata dal punto di vista storico e storiografico.

1. Da un punto di vista storico non esiste una s.d.i. e d.g., o dei minori e simili, se non come s. dei vari ceti (nobili, borghesi, popolari, professionali) entro comunità più o meno larghe (da quella di villaggio a quella nazionale) e dislocata nel tempo e nello spazio (urbano, rurale, montano); insomma la s. si modella sulla s. delle varie classi sociali con le loro condizioni materiali di vita decisamente influenti, a seconda delle aree e degli ambiti, sugli adulti come sui minori. Si pensi all’ambito familiare, all’importanza ivi assunta dal bambino nel tempo, nel quadro sociale, nella stessa tipologia familiare, che presenta volti antichi e moderni; si pensi ad una istituzione sociale volta ad assicurare la comunità del patrimonio incentrata sull’autorità paterna, alla presenza (o assenza) di legami familiari come «lo spirito di famiglia», agli aspetti della vita domestica e privata e così via; si pensi alla grande rivoluzione demografica ed all’urbanizzazione connesse alla rivoluzione industriale, che cambiano gli stessi quadri di riferimento dell’infanzia e della gioventù. La s. del genere presenta indubbi caratteri comuni a larga parte di quello specifico strato di popolazione sia che si tratti di abbandono, che di violenza, di sfruttamento agricolo e industriale, come di istruzione primaria e secondaria; vi pesano indubbie variabili sociali, economiche e giuridiche; vi influiscono, in misura diversificata, congiunture dovute a carestie ed epidemie e simili. Esiste, sul piano dell’immaginario, il complesso di idee costruite e fatte proprie dal mondo adulto sull’infanzia e sulla gioventù, e anche sulla sua s., in una lenta secolare presa di coscienza dell’individualità umana nel suo farsi. Naturalmente l’elaborazione delle idee assume toni diversi a seconda della condizione sociale, passandovi fattori come la cultura, i livelli di alfabetizzazione, il tipo di fede religiosa (si pensi al mondo protestante), persistenze ataviche e così via.

2. Nella società medievale il «sentimento» dell’infanzia, vale a dire la consapevolezza della peculiarità dell’infanzia, è diverso dalla società moderna, dove tutto cambia con la separazione del bambino dalla famiglia, con un lento processo di scolarizzazione del bambino e l’intervento di sempre più plurime agenzie di socializzazione nella società contemporanea. Nell’Ottocento e nel Novecento lentamente, in vari Paesi europei dapprima, quindi in Italia, si afferma un modello borghese, non senza incontrare resistenze quanto a sentimenti, pratiche di vita consolidate e abitudini. Veicoli ne sono la letteratura per l’infanzia, la scuola primaria, le istituzioni educative in senso lato, ma anche l’extrascolastico come forme di socializzazione, di integrazione, di formazione di identità sia pure in contesti i più vari. Anche per l’età contemporanea sono importanti le suggestioni di un libro che può essere considerato emblematico:​​ Padri e figli nell’Europa medievale e moderna,​​ di Ph. Ariès (con tutte le riserve avanzate dai recenti studi sul​​ ​​ Medioevo). Dal punto di vista storiografico non se ne può prescindere; per contrasto risulta chiarificatore anche l’apporto di L. De Mause che espone invece, come hanno sottolineato Becchi e Julia «una teoria lineare della s.»; questa «produce un miglioramento generale della sorte dei bambini», e la periodizzazione dei modi di relazione più diffusi tra genitori e figli «nella parte più evoluta della popolazione e nei paesi socialmente più avanzati» si risolve in uno schema, tutto sommato bizzarro, di sei «modi» che sarebbero apparsi successivamente: da quello «infanticida», nato nell’Antichità, fino a quello «cooperativo», che ha inizio nel sec. scorso, attraverso quello del «rifiuto», proprio del Medioevo, quello «ambivalente» dei sec. XIV-XVII, quello «intrusivo» del Settecento (nel quale comincia ad affermarsi una reazione «empatica» dei genitori nei confronti dei loro figli), quello «socializzante» che esordisce nell’Ottocento. La s.d.i. prevista da De Mause finisce con l’essere un lungo «catalogo di atrocità» con «un gusto spiccato per il macabro».

3. D’altra parte accentuando in chiave antropologica il marcato carattere di​​ liminalità​​ della giovinezza, colta «all’interno dei margini mobili tra la dipendenza infantile e l’autonomia dell’età adulta, in quel periodo di puro cambiamento e di inquietudine in cui si realizzano le promesse dell’adolescenza, tra l’immaturità sessuale e la maturità, tra la formazione e il pieno dispiego delle facoltà mentali, tra la mancanza e l’acquisizione di autorità e di potere», le società nel tempo hanno sempre «costruito» la giovinezza come un fatto intrinsecamente instabile, irriducibile alla fissità dei fatti demografici o giuridici, come una realtà culturale in cui gli individui sembrano non appartenere alle classi di età, ma le attraversano; allora si tende non ad una s., ma a s. plurime di giovani, scollocati ogni volta «nel groviglio di rapporti sociali specifici, legati a contesti e momenti storici differenti», indagati in una molteplicità di prospettive, in cui vengono valorizzati i riti di passaggio o della liminalità giovanile. La storiografia italiana offre contributi di G. Levi, O. Niccoli, E. Becchi, D. Bertoni Jovine, J.-C. Schmitt, E. Trisciuzzi, per non considerare altri apporti. Ancor prima che dal punto di vista storico e storiografico occorre però chiedersi che senso abbia una s. di generi: se si pone al centro dell’interesse una categoria astratta e avulsa dal resto e dal contesto, si compie una falsificazione storica ponendo in essere una produzione affatto ideologica; come è stato giustamente notato «il bambino del benessere, il bambino-re, il bambino oggetto libero e felice della pubblicità, il bambino cui si destinano Disneyland, Eurodisney, parco di Astérix, non è il modello più diffuso; i bambini che lavorano sono ancora oggi centinaia di milioni»; diversamente, connessa con il quadro più generale entro il quale va compresa, calata, letta la s. di genere può contribuire a fare emergere caratteri e aspetti insondati, arricchire con nuove acquisizioni, porre ulteriori problemi.

4. Ben diverso, naturalmente, è affrontare il tema della educazione dell’infanzia che è insieme s. di modelli, ma anche di interventi educativi, nonché di istituzioni formative, dove si fanno i conti con il contributo offerto da​​ ​​ Aporti,​​ ​​ Montessori,​​ ​​ Agazzi,​​ ​​ Fröbel. L’educazione dell’infanzia implica l’esame della politica scolastica dall’asilo alla scuola infantile sia sul piano scolastico che su quello dell’orientamento dei programmi didattici come su quello del recupero con educazione specifica (convitti per orfani, ad es.). Ma se si esula dalla s. dell’educazione dell’infanzia e della gioventù, molto facilmente si scivola nella s. di genere, autoreferente, isolata, al limite inutile.

Bibliografia

Ariès Ph.,​​ Padri e figli nell’Europa medievale e moderna,​​ Bari, Laterza, 1976; Levi G. (Ed.),​​ S. dei giovani,​​ Roma / Bari, Laterza, 1994; Becchi E. - D. Julia (Edd.),​​ S.d.i.,​​ 2​​ voll., Ibid., 1996; Dogliani P.,​​ S. dei giovani, Milano, Mondadori, 2003;​​ Gutiérrez A. - P. Pernil,​​ Historia de la infancia. Itinerarios educativos, Madrid, UNED, 2004.​​ 

A. Turchini