PIANO DELL’OFFERTA FORMATIVA

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OFFERTA FORMATIVA: PIANO DELLA

1.​​ Il Piano dell’o.f. (Pof) nella normativa. Art. 3 del Dpr. 275 / 99: «1. Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il piano dell’o.f. Il piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. 2. Il piano dell’o.f. è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi di indirizzi di studi determinati a livello nazionale a norma dell’articolo 8 e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell’o.f. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità». Commi 1 e 2 dell’art. 9 del Dpr. 275 / 99: si parla di «ampliamenti dell’o.f. che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali. I predetti ampliamenti consistono in ogni iniziativa coerente con le proprie finalità, in favore dei propri alunni e, coordinandosi con eventuali iniziative promosse dagli enti locali, in favore della popolazione giovanile e degli adulti. I curricoli determinati a norma dell’articolo 8 possono essere arricchiti con discipline e attività facoltative che, per la realizzazione di percorsi formativi integrati, le istituzioni scolastiche programmano sulla base di accordi con le regioni e gli enti locali».

2.​​ Il Pof in un’ottica statalista. Per ragioni storiche, quando, nel nostro Paese, si impiega l’espressione «ottica statalista», si intendono richiamare due qualificazioni. La prima presuppone legittimo e doveroso un sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione costituito in maniera monopolistica o quasi-monopolistica da istituzioni scolastiche statali. La seconda ritiene che tale sistema possa funzionare bene, garantendo equità e qualità a livello nazionale, soltanto se organizzato al proprio interno in maniera piramidale, gerarchica e centralista (gli storici dicono ‘napoleonica’). Questa modalità organizzativa si riferisce sia ad una burocrazia statale (centrale, regionale, provinciale, di scuola) che «obbedisca» alle direttive di metodo e di contenuto emanate dal vertice, il Ministro della P.I., sia ad una burocrazia locale, di scuola, fondata su un «potere» gerarchico dei «dirigenti sui dipendenti» o, comunque, di gruppi elitari sull’insieme dei docenti, degli studenti e delle famiglie.

2.1.​​ Redigere il Pof in quest’ottica,​​ significa, dunque, da un lato, costruirlo con il metodo della «modularità aggiuntiva». Il centro detta sia il curricolo nazionale, quello uguale per tutte le scuole della Repubblica (art. 8 del Dpr. 275 / 99), sia i limiti formali del suo possibile adattamento alla realtà locale (per es., affidare il 20% delle ore del curricolo nazionale all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche). Ogni scuola, sulla base delle «esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale» e «tenendo conto della programmazione territoriale dell’o.f.» deliberata dagli enti locali, nonché delle eventuali risorse aggiuntive messe a disposizione da questi ultimi, stabilisce successivamente: a) la parte del curricolo nazionale obbligatorio, che non modifica; b) gli adattamenti locali al curricolo nazionale obbligatorio, nella misura autorizzata dalle norme nazionali; c) l’eventuale integrazione locale del curricolo nazionale con attività opzionali obbligatorie o facoltative; d) le modalità organizzative (tempi, luoghi, risorse) con cui intende concretizzare i punti precedenti.

2.2.​​ Dall’altro lato,​​ redigere il Pof nell’ottica statalista significa, inoltre, attribuire a questo documento il ruolo e la funzione che un tempo erano svolti dai Programmi di insegnamento ministeriali e dalle disposizioni emanate dal Ministero per attuarli. Così come studenti, docenti e famiglie dovevano «obbedire» alle norme ministeriali romane, analogamente essi dovrebbero ora «obbedire» alle disposizioni contenute nel Pof. Per quanto il Pof «vada​​ costruito​​ nella scuola» e per quanto «tale costruzione debba permettere l’accordo tra istanza centrale, normativa e unitaria, ed istanza locale, pragmatica e flessibile» non viene meno il fatto che si tratti comunque di un prodotto elaborato in maniera elitaria e verticistica, sottratto alla negoziazione diretta e cooperativa degli attori poi direttamente coinvolti nella sua pretesa azione formativa in situazione (i concreti studenti di un gruppo classe, i loro concreti genitori, i docenti realmente presenti con loro).

3.​​ Il Pof in un’ottica sussidiaria. Ben altre caratteristiche assume il Pof se, superando le inerzie della logica statalista, si inserisce nell’ottica della sussidiarietà e dell’autonomia (L. n. 59 / 97, Dpr. 275 / 99, L. n. 62 / 2000; riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, L. n. 53 / 03). In questo caso, esso, anzitutto, implica un sistema educativo nazionale composto da istituzioni scolastiche statali e non statali, in regime di equipollenza e di parità anche economica. In quanto documento «costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche», diventa, perciò, lo strumento che garantisce alle famiglie (art. 21, L. n. 59 / 97; L. n. 62 / 2000, L. n. 53 / 03) la libertà di scegliere, per i figli, una scuola nella quale, fatti salvi i comuni valori costituzionali, si professino comunque processi educativi e didattici, con relative ricadute organizzative, coerenti con le convinzioni condivise dai genitori. In secondo luogo, il Pof non è più il risultato di una costruzione modulare aggiuntiva, con il centro responsabile della predisposizione del nucleo curricolare da riproporre poi uguale in tutto il Paese e la periferia incaricata sia di adattare in parte tale nucleo uniforme, sia di arricchirlo con eventuali addizioni. Diventa piuttosto, in tutte le sue parti, il prodotto di una progettualità pedagogica che coinvolge cooperativamente e protagonisticamente tutti i soggetti concreti del processo educativo che si promuove in una scuola, e per la sua intera durata. Ciò è possibile, da un lato, se il centro non pretende più di interpretare il dispositivo dell’art. 8 del Dpr. 275 / 99 come una variabile dei vecchi Programmi di insegnamento, ma ragiona solo per norme generali sull’istruzione e livelli essenziali di prestazione sull’istruzione e formazione professionale, cioè per vincoli da assegnare all’autonoma e responsabile azione progettuale dei docenti e delle scuole (art. 33 della Costituzione e L. n. 53 / 53). Dall’altro, se anche a livello di scuola si procede allo stesso modo: non più, quindi, confezionare prima dell’inizio dell’anno un Pof che i docenti e le famiglie sono poi tenuti ad applicare e, quindi, a considerare alla stregua dei vecchi Programmi di insegnamento, ma attribuire al Pof la funzione di precisare i vincoli di risorsa e di risultato che docenti, studenti e famiglie dovranno considerare per progettare ed attuare, in autonomia e responsabilità, i contenuti, i metodi, i tempi ecc. della propria azione educativa. In questa prospettiva, come peraltro ricorda l’art. 3, comma 2 del DPR 275 / 99, il Pof diventa davvero lo strumento che «comprende e riconosce le​​ diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari» che lavorano nella scuola e favorisce, di conseguenza, i processi di continua presa in carico personale dei compiti di insegnamento e apprendimento da parte di tutti gli attori dei processi educativi, in ogni momento della vita della scuola.

Bibliografia

Bertagna G. - S. Govi - M. Pavone,​​ Pof. Autonomia delle scuole e o.f., Brescia, La Scuola, 2001; Bertagna G.,​​ Valutare tutti,​​ valutare ciascuno. Una prospettiva pedagogica, Ibid., 2004; Id.,​​ Pensiero manuale. La scommessa di un sistema di istruzione e di formazione di pari dignità, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2006 (parte II e conclusioni); Id., «La figura del docente nella riforma», in CSSC-Centro Studi per la Scuola Cattolica,​​ Il ruolo degli insegnanti nella scuola cattolica. Scuola cattolica in Italia,​​ Ottavo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2006.

G. Bertagna