PIAGET Jean

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PIAGET Jean

n. a Neuchâtel nel 1896 - m. a Ginevra nel 1980, psicopedagogista svizzero.

1.​​ Gli inizi.​​ Dopo un precoce interesse pelle scienze naturali (a dieci anni pubblica il suo primo articolo scientifico sul passero albino, si laurea in zoologia a venticinque anni e nel 1918 si specializza con una tesi sui molluschi), P. sviluppa progressivamente un crescente interesse per la psichiatria e la psicologia. Frequenta così a Zurigo l’ospedale psichiatrico diretto da E. Bleuler, inizia la lettura delle opere di​​ ​​ Freud, segue i seminari di​​ ​​ Jung e per alcuni mesi è in analisi con S. Spielrein. I suoi forti interessi di tipo speculativo lo portano poi, tra il 1919 e il 1921, a Parigi dove segue alla Sorbona le lezioni di G. Dumas e di H. Piéron. Prendendo spunto dal pensiero del filosofo francese H. Bergson, P. si propone di utilizzare gli strumenti della scienza sperimentale per studiare le forme successive di elaborazione della ragione nell’ontogenesi delle condotte umane. Inizia così, mettendo a punto presso il laboratorio di​​ ​​ Binet un metodo per la standardizzazione dei​​ ​​ test mentali per bambini di​​ ​​ Burt, a prestare particolare attenzione alle strategie seguite dal bambino per giungere alla soluzione dei problemi e nel 1921 accetta il posto di direttore di ricerca presso l’Institut J. J. Rousseau, offertogli da​​ ​​ Claparède.

2.​​ Le ricerche sistematiche e gli incarichi internazionali.​​ Si trasferisce definitivamente a Ginevra e inizia le sue ricerche sistematiche sullo sviluppo infantile occupandosi sperimentalmente e teoricamente della strutturazione del pensiero nel bambino e nell’adolescente. Ne studierà dunque le prime attività percettive e motorie, il costituirsi di un mondo oggettivo e le prime manifestazioni, tra il primo e il secondo anno di vita, dell’intelligenza senso-motoria e quindi dell’attività rappresentativa. Successivamente prenderà in esame l’attività imitativa, il gioco simbolico e il linguaggio verbale, e giungerà a delineare un quadro e un’analisi complessiva della rappresentazione del mondo nel bambino, caratterizzata dall’egocentrismo, dal realismo, dalla non reversibilità delle operazioni di pensiero. In seguito, sulla base di una serie di osservazioni sistematiche condotte con il metodo clinico, analizzerà lo sviluppo del pensiero dai quattro agli otto anni, il comparire della reversibilità, il formarsi delle principali nozioni di quantità, numero, movimento, spazio. Porterà infine a termine, in collaborazione con B. Inhelder, una serie di studi sull’evoluzione dell’intelligenza sino ai quindici-sedici anni (processo ipotetico deduttivo, processo di induzione, concetto di probabilità). Nel 1929 viene nominato direttore del Bureau International de l’Éducation e nel 1940, alla morte di Claparède, direttore dell’Istituto J. J. Rousseau e professore di psicologia sperimentale a Ginevra. Dirige inoltre gli «Archives de Psychologie», che si caratterizzeranno sempre più come il periodico della scuola piagetiana. Al termine della II Guerra Mondiale ricopre importanti incarichi all’Unesco e insegna a Ginevra storia della scienza e alla Sorbona di Parigi, come successore di Merleau-Ponty, psicologia genetica (1952-1963). Nel 1954 fonda a Ginevra un Centro Internazionale di Epistemologia genetica con impianto interdisciplinare (psicologia, logica ed epistemologia) e prende posizione contro il metodo filosofico-speculativo rapportandolo criticamente al metodo scientifico. Si occupa inoltre dei problemi dello strutturalismo cercando di mettere in luce un punto di vista metodologico comune ai diversi campi di ricerca.

3.​​ Lo sviluppo mentale del bambino.​​ Sin dall’inizio, l’interesse principale di P. per lo​​ ​​ sviluppo infantile si è incentrato sulla genesi della capacità logica, da lui definita «l’assiomatica della ragione». Individuato nella psicologia dell’intelligenza il centro dei propri interessi teorici e sperimentali, P. ha teso a dare un’esatta interpretazione psicologica dei concetti e delle operazioni logiche (concetto di spazio, tempo, ecc.; operazioni di disgiunzione, congiunzione, esclusione) studiandone la genesi e lo sviluppo e utilizzando un metodo, l’analisi genetica dei processi, che postula un parallelismo tra l’acquisizione individuale e l’acquisizione storica. Secondo P. la capacità di ragionamento logico non è innata nel bambino ma si costituisce progressivamente, presentandosi sotto forma di strutture operative, in connessione con il linguaggio e i rapporti sociali: l’atto logico consiste nell’operare, nell’agire sulle cose o sugli altri. È necessario dunque, se si vuole comprendere come si costruisce l’apparato concettuale di cui il pensiero si avvale, seguire il soggetto nella sua attività nell’ambiente che lo circonda. Sulla base di queste premesse la condotta intelligente, l’adattamento, possono venir descritti con una dialettica funzionale di due processi: quello di assimilazione e quello di accomodamento, dove, secondo P., anche i riflessi elementari (ad es. il riflesso della suzione nel neonato) contengono già elementi di assimilazione e dove il pensiero logico astratto, quale il ragionamento matematico, è definibile come un comportamento interiorizzato e concettualizzato. Secondo P., lo sviluppo mentale del bambino, dall’infanzia all’adolescenza, può essere descritto come un lungo percorso che conduce alla acquisizione di modalità adulte di conoscere il mondo e di entrare in relazione con gli altri. In questo percorso è possibile identificare una serie di stadi, ognuno dei quali svolge un ruolo fondamentale e ineliminabile. In esso possono essere identificati due periodi principali: il periodo senso-motorio (dalla nascita ai primi due anni di vita) e il periodo concettuale (dai 2 anni ai 15 anni). Questi due periodi sono a loro volta suddivisibili in stadi. Nel periodo senso-motorio il bambino sviluppa progressivamente le proprie modalità di interazione con l’ambiente, passando dall’uso esclusivo dei riflessi alle coordinazioni visuo-motorie. Impara cioè a coordinare percezione e movimento e raggiunge, tra i 4 e gli 8 mesi, la «permanenza della persona» e la «permanenza dell’oggetto»: apprende cioè che le persone e gli oggetti sono entità separate da lui che mantengono la propria esistenza anche se scompaiono dal suo campo visivo. Alla fine del periodo senso-motorio il bambino è in grado di formarsi delle immagini mentali e può iniziare a operare con le rappresentazioni interne che non richiedono la presenza immediata di oggetti o persone. Il periodo concettuale è suddiviso in tre momenti: lo stadio preoperatorio (dai 2 ai 7 anni), lo stadio delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni) e lo stadio delle operazioni formali (dagli 11 ai 15 anni). Nello stadio preparatorio si assiste allo sviluppo delle rappresentazioni esterne (fase preconcettuale) e delle operazioni mentali di classificazione e seriazione degli oggetti (fase del pensiero intuitivo). Nello stadio delle operazioni concrete il bambino acquisisce progressivamente la capacità di compiere operazioni mentali facendo riferimento a oggetti concreti, cose o persone e inizia a utilizzare i concetti di numero, peso e volume. Lo sviluppo mentale giunge a termine nello stadio delle operazioni formali, caratterizzato dalla acquisizione della capacità di compiere operazioni mentali utilizzando esclusivamente simboli, e dal conseguente accesso al metodo ipotetico-deduttivo nella soluzione di problemi logico-matematici.

4.​​ L’epistemologia genetica.​​ La via che porta alla elaborazione dell’epistemologia genetica parte dunque dallo studio dello sviluppo psicologico del bambino. Essa è intesa da P. come «scienza separata dalla filosofia ma legata a tutte le scienze umane e alla biologia», volta a rintracciare la genesi dei concetti di spazio, di tempo, causalità o numero e classe che a loro volta si formano per successivi adattamenti e che permettono la concettualizzazione dello sviluppo mentale nei termini di un adattamento via via più preciso alla realtà. In quanto tale, l’epistemologia genetica «è in grado di affrontare questioni fino a quel momento esclusivamente filosofiche in una maniera risolutamente sperimentale». Le considerazioni epistemologiche di P. si basano dunque sulla ricerca sperimentale, sia psicologica sia biologica, e sul ricorso a un metodo strutturale che procede per approssimazioni successive. Le sue affermazioni sullo sviluppo mentale del bambino, le sue conclusioni riguardo al tipo di acquisizioni logiche, affettive, percettive dei diversi stadi dello sviluppo medesimo, sono corredate da un complesso di dati di osservazioni e elaborazioni statistiche tali da consentire una verifica della loro validità e sono ricche di implicazioni da un punto di vista didattico e pedagogico, sottolineando l’esigenza di adeguare i metodi e i contenuti dell’insegnamento ai diversi stadi dello sviluppo cognitivo, affettivo e morale del bambino.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra le opere di P. trad. in it.:​​ Giudizio e ragionamento nel bambino, Firenze, La Nuova Italia, 1958;​​ Il linguaggio e il pensiero nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera, 1965;​​ La nascita dell’intelligenza, Firenze, La Nuova Italia, 1968;​​ Il giudizio morale nel fanciullo, Firenze, Giunti-Barbera, 1972;​​ Dove va l’educazione, Roma, Armando, 1978. b)​​ Studi:​​ Filograsso N.,​​ J.P. e l’educazione,​​ Urbino, Argalìa, 1974; Hers R. H.,​​ Promoting moral growth: from P. to Kohlberg,​​ New York / London, Longman, 1979; Evans R. I.,​​ Cos’è la psicologia: lo sviluppo della mente umana,​​ l’educazione,​​ i meccanismi dell’apprendimento spiegati dal più grande studioso di processi cognitivi: J.P., Milano, Mondolibri, 2002; Taroni P.,​​ Introduzione a P., Urbino, Quattroventi, 2005; Gardner H.,​​ Riscoperta del pensiero e movimento strutturalista. P. e Lévi-Strauss, Roma, Armando, 2006; Filograsso N. - R. Travaglini (Edd.),​​ P. e l’educazione della mente, Milano, Angeli, 2007.

F. Ortu - N. Dazzi