INTERDISCIPLINARITÀ

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INTERDISCIPLINARITÀ

Il termine i. è relativamente recente; non si sono ancora stabilizzate né la sua dizione e ortografia (alcuni infatti scrivono e dicono «interdisciplinarietà») né il suo contenuto semantico. Oltre che di i., oggi, si parla anche di multidisciplinarità o pluridisciplinarità e di transdisciplinarità, ma anche in questo caso non si è concordi nel definire le reciproche differenze.

1.​​ Chiarificazione dei termini.​​ Riteniamo anzitutto che l’i. vada distinta dalla multidisciplinarità o pluridisciplinarità. Esiste un fenomeno assai comune nell’ambito della ricerca scientifica, che consiste nell’utilizzazione funzionale di una scienza da parte di un’altra. La prima (scienza principale) si serve, per una migliore conoscenza del suo oggetto, delle competenze (metodi e risultati) dell’altra scienza (scienza ausiliaria), senza tuttavia che si arrivi ad un vero dialogo e a una reciproca collaborazione tra esse. Questo fenomeno, detto anche comunicazione unidirezionale tra scienze, nella logica aristotelica assumeva il nome di​​ subalternazione.​​ Oggi, quando alcuni parlano di​​ multidisciplinarità​​ (o pluridisciplinarità), sembra proprio che intendano questo tipo di rapporto. La multidisciplinarità, così intesa, per noi, non è ancora i., anche se può diventarne la premessa. Dall’i. distinguiamo anche la​​ transdisciplinarità,​​ però solo nel senso che la consideriamo come un suo possibile e auspicabile punto di arrivo. L’i. si verifica quando, tra due o più scienze, si ha non solo la semplice utilizzazione delle competenze di una di esse (cioè la multidisciplinarità), ma anche un vero dialogo o scambio reciproco di informazioni tra scienze differenti. Questo comporta la messa a confronto delle loro ottiche diverse, lo sforzo di mutua integrazione fra queste, la consapevolezza della parzialità dei risultati di ciascuna e nello stesso tempo della loro indispensabilità nella comprensione di un problema o di una realtà complessa, in breve, quella che si potrebbe definire un’effettiva collaborazione «interdisciplinare». La collaborazione interdisciplinare, che può avvenire anche tra scienze di ambiti differenti, quando ha successo, può arrivare a produrre costrutti transdisciplinari, nel senso che riesce a produrre metodi di ricerca, concetti e modelli di realtà, proficuamente utilizzabili da più scienze, ciascuna, però, nell’ambito del suo oggetto specifico e col suo metodo. Naturalmente sia l’i. che la transdisciplinarità trovano la loro giustificazione solo all’interno di una teoria epistemologica (​​ epistemologia pedagogica).

2.​​ L’i. nell’ambito della pedagogia.​​ In campo pedagogico-didattico l’i. fu di moda negli anni Settanta-Ottanta; però il modo di intenderla non fu sempre corretto, soprattutto quando la si contrapponeva alla disciplinarità. L’esigenza dell’i. è sentita da quei pedagogisti, i quali, ritenendo necessario ricorrere ad una molteplicità di discipline scientifiche per una conoscenza adeguata della realtà educativa e per la costruzione di programmazioni pedagogiche e didattiche, preferiscono parlare di​​ ​​ scienze dell’educazione invece che di​​ ​​ pedagogia. Il mondo dell’educazione, infatti, si presenta così complesso da esigere di essere studiato da una pluralità di scienze. Ognuna di esse lo affronta da un angolo di visuale diverso da quello delle altre, utilizzando un metodo di ricerca, un modello conoscitivo e un linguaggio tecnico propri. Però nessuna di esse è in grado, da sola, di offrire una soluzione globale dei problemi teorici e pratici dell’educazione; d’altra parte i contributi specifici di ciascuna sono indispensabili al fine di evitare pericolose unilateralità sia a livello teorico che pratico. Quindi l’i. e la transdisciplinarità tra le scienze dell’educazione diventa una necessità, anche se poi la loro realizzazione concreta presenta notevoli difficoltà e richiede previamente che si realizzino determinate condizioni.

3.​​ Condizioni per il dialogo interdisciplinare in funzione della collaborazione transdisciplinare tra le scienze dell’educazione.​​ È necessaria anzitutto, da parte dei due o più​​ partner​​ del dialogo, l’accettazione leale dell’approccio multidisciplinare alla realtà educativa. Inoltre, si deve tener sempre presente che il dialogo interdisciplinare non avviene sul piano astratto dei vari tipi di scienza in quanto tali, ma su quello concreto delle loro realizzazioni storiche, cioè fra teorie di discipline appartenenti a scienze differenti, e che ciascuna di queste teorie è, per sua natura, sempre soggetta a processi di falsificazione. In terzo luogo è necessario che i rappresentanti delle differenti scienze dell’educazione, oltre a conoscere bene il linguaggio scientifico della propria specialità, devono poter comprendere in modo sufficiente anche quello dell’altra o delle altre con cui entrano in rapporto interdisciplinare. Infine si richiede che ciascuna delle scienze dell’educazione definisca chiaramente l’oggetto e il metodo specifici della sua indagine sul campo comune dell’educazione, fornendo i risultati o le informazioni che è riuscita ad ottenere. Il campo comune di tutte le scienze dell’educazione è la vita umana nella sua realtà esistenziale, visto come un tutto unitario, durante i suoi processi di crescita verso la maturazione, mediante quel complesso di attività e istituzioni che chiamiamo educazione. Ognuna delle scienze dell’educazione lo considera da un suo angolo di visuale, cioè secondo quel modello di realtà predefinito in base agli strumenti metodologici che essa ritiene di poter utilizzare. Però perché il dialogo tra le scienze dell’educazione passi dal piano della comunicazione a quello dell’effettiva collaborazione, occorre un’ulteriore condizione: la creazione di costrutti mentali i quali, oltre ad essere propri e specifici di una di esse, possano essere contemporaneamente accettati e utilizzati anche dall’altra o dalle altre. Questi costrutti mentali sono «transdisciplinari», perché conservano la loro valenza semantica e la loro forza dimostrativa in due o più scienze differenti, però in modo diverso in ciascuna. Se le scienze dell’educazione riuscissero a elaborare tali costrutti, allora il dialogo si trasformerebbe in vera collaborazione su problemi di interesse comune, avente come scopo la costruzione di sintesi pedagogiche, unitarie, frutto dei contributi di scienze diverse ma tutte interessate alla soluzione dei problemi educativi. Sembra che la teoria epistemologica delle «tradizioni di ricerca» di L. Laudan, ipotizzando la possibilità che gruppi di teorie appartenenti a scienze diverse abbiano in comune un’ontologia e una metodologia di ricerca, costituisca un valido fondamento epistemologico sia dell’i. che della transdisciplinarità. Il problema si complica maggiormente nel caso della​​ ​​ pedagogia cristiana, dove deve attuarsi un dialogo interdisciplinare tra scienze dell’educazione e​​ ​​ teologia dell’educazione. Approcci intrinsecamente e subito transdisciplinari, come la fenomenologia e l’ermeneutica, sono stati invocati e adoperati per superare la specializzazione disciplinare e i suoi limiti, specie dopo gli anni ’80. Peraltro la necessità dell’i. trova oggi una ragione in più a fronte dell’accresciuta complessificazione dell’esistenza che fa parlare di «inter-problematicità».

Bibliografia

Antiseri D.,​​ I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare,​​ Roma, Armando, 1972; Schilling H.,​​ Teologia e scienze dell’educazione. Problemi epistemologici,​​ Ibid., 1974; Laudan L.,​​ Il processo scientifico. Prospettive per una teoria,​​ Ibid., 1979; Groppo G., «Teologia e scienze umane: dalla conflittualità al dialogo», in D. Valentini (Ed.),​​ La teologia. Aspetti innovativi,​​ Roma, LAS, 1989, 53-78; Agazzi E.,​​ Cultura scientifica e i.,​​ Brescia, La Scuola, 1994;​​ Torres Santomé J.,​​ Globalización e interdisciplinariedad: el curriculum integral, Madrid, Morata,​​ 42000.

G. Groppo