EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA

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EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA

L’e.p. è quella parte della riflessione e del discorso sull’educazione che affronta problemi quali: a) se la​​ ​​ pedagogia sia scienza e quale tipo di scienza; se sia scienza unica o il nome collettivo di una pluralità di scienze; b) nel secondo caso, ricerca il fondamento epistemologico della loro collaborazione interdisciplinare (​​ interdisciplinarità). Questa problematica ha una sua storia che in questa sede non è possibile richiamare anche solo sommariamente. Allo stato attuale della ricerca, le risposte a questi interrogativi sono molteplici e discordanti; tuttavia nuovi orientamenti dell’e. contemporanea rendono possibile una migliore impostazione dei problemi e fanno intravedere interessanti piste di soluzione.

1.​​ La nozione di scientificità.​​ Per rispondere al primo gruppo di problemi, occorre chiarire la nozione di scientificità. Nel linguaggio ordinario il​​ rigore​​ e l’oggettività​​ sono generalmente ritenuti i caratteri fondamentali della scienza. Però a livello delle teorie epistemologiche, essi sono interpretati in modo notevolmente diverso. Il successo innegabile avuto dalle scienze fisico-matematiche nell’epoca moderna comporta sempre il pericolo di una concezione riduzionista della nozione di scientificità. Si deve riconoscere tuttavia che, in questi ultimi decenni, sta diffondendosi tra gli epistemologi un nuovo orientamento: senza sminuire la grande lezione di rigore e oggettività data dal modello rappresentato dalle scienze empirico-matematiche, si tende a concepire la scientificità, non più in modo rigidamente univoco ma secondo un significato analogico che ammetta altri modelli di lettura scientifica del reale, rigorosi e oggettivi anche se diversi da quello matematico. All’interno di questa prospettiva si colloca la presente trattazione. Conveniamo di chiamare​​ scienza​​ qualunque complesso di conoscenze, espresse mediante uno specifico linguaggio formale, frutto di ricerche fatte secondo un determinato​​ ​​ metodo e riguardanti un determinato oggetto, caratterizzate sia dal rigore e dall’oggettività che dalla sistematicità e dall’autocrescita. Questo concetto di scienza dovrebbe essere applicabile in modo analogico a tutte le scienze: dalle scienze della natura alle scienze umane, alla filosofia e secondo alcuni anche alla teologia. Il​​ rigore​​ e l’oggettività​​ restano caratteristiche prime e fondamentali della scienza.​​ Attribuiamo però al termine «oggettività» due significati distinti. Il primo è il più immediato: dire che la scienza è oggettiva significa che le sue affermazioni trovano riscontro nella realtà, sono vere. Il secondo significato è invece più tecnico; forse sarebbe meglio esprimerlo col termine «oggettualità», perché significa che ciò di cui si occupa la scienza non è la realtà esterna al conoscente, ma il punto di vista con cui la scienza guarda questa realtà e che per convenzione viene detto «oggetto». Nonostante l’apparenza contraria, questi due significati non si escludono, sono invece strettamente connessi e interdipendenti, almeno all’interno della teoria gnoseologica del realismo critico. Questa infatti suppone che dalla realtà esterna al conoscente (ricca di tanti aspetti differenti che nel conoscente diventano punti di vista diversi) la scienza, mediante una particolare griglia di lettura, detta «metodo di ricerca», si ritaglia e costruisce mentalmente il suo oggetto, che poi esprime con un linguaggio «formale» ma non necessariamente matematico. Quindi oggetto e metodo di una scienza sono interdipendenti, per cui l’opzione per un determinato oggetto è condizionata dal metodo scelto per conoscerlo; per conseguenza la scelta di un determinato metodo rende possibile la costruzione mentale di un oggetto, il quale, non essendo totalmente estraneo alla realtà esterna perché astratto da essa, ne esprime degli aspetti reali, senza tuttavia esaurirne la ricchezza. Fine intrinseco di ogni scienza è di dare una spiegazione rigorosa del suo oggetto. Perciò decide quali sono i problemi importanti posti da tale oggetto; formula ipotesi plausibili per la loro soluzione e definisce i criteri in base ai quali sarà in grado di verificare l’oggettività delle ipotesi formulate. Questi criteri (detti protocolli o anche postulati-base) sono costituiti da proposizioni che esprimono generalmente «dati di fatto» ritenuti evidenti all’interno della scienza; però possono essere anche parametri concettuali, quali ad es. i risultati di ricerche raggiunti da altre scienze e riconosciuti come sicuri all’interno della scienza in questione. Sulla base di questi criteri viene verificata l’oggettività o verità delle «spiegazioni» che la scienza dà del suo oggetto. Questa verifica deve poter essere fatta da tutti i soggetti che hanno accettato tali criteri. Così intesa, l’oggettività​​ del sapere scientifico si identifica con «l’intersoggettività» ed è detta «debole» e sempre parziale, in quanto non riguarda mai tutti gli aspetti della realtà esterna al soggetto ma solo quelli contenuti nell’oggetto; infine è anche contingente, nel senso che può essere sempre perfezionata o sostituita da spiegazioni più adeguate. La seconda caratteristica della scienza è costituita dalla​​ sistematicità​​ e dall’autocrescita.​​ La ricerca scientifica non si accontenta di ricerche frammentarie, ma tende a organizzare tutte le sue conquiste in sintesi organiche. Si conviene pertanto di chiamare scienza solo quel tipo di sapere che si presenta come​​ sistema​​ di conoscenze collegate da nessi logici formalmente corretti, il cui scopo è quello di arrivare a creare​​ teorie​​ complessive del proprio oggetto. Una scienza, che, affinando sempre più il suo metodo di ricerca, progredisce in estensione e comprensione del suo oggetto, è capace di​​ autocrescita,​​ perché scopre in esso nuovi ambiti (estensione)​​ e più profondi livelli di intelligibilità (comprensione),​​ prima inaccessibili a causa dell’inadeguatezza o grossolanità della griglia di realtà (cioè del metodo e dei criteri di protocollarità) utilizzata o anche a motivo delle novità insorte nella realtà, prima impensabili. L’autocrescita della scienza comporta un continuo processo di revisione e riformulazione delle sue teorie per adeguarle sempre più alla realtà.

2.​​ Scientificità e pedagogia: le​​ ​​ scienze dell’educazione.​​ Alla luce di questa concezione della scientificità possiamo dare una risposta al primo gruppo di problemi che ci siamo posti nei riguardi della pedagogia. Siccome qualunque frammento di realtà è suscettibile, dal punto di vista della conoscenza, di una molteplicità di punti di vista, cioè di oggetti e di relativi metodi, e quindi di scienze differenti, è evidente che la realtà «educazione» diventa necessariamente fonte di una pluralità di scienze differenti, ognuna delle quali rappresenta solo una spiegazione parziale di essa. Quindi non è solo legittimo ma è necessario parlare di «scienze dell’educazione». Ognuna di esse, definendo in precedenza i suoi postulati-base e il suo metodo di ricerca, ritaglia dalla complessa realtà educativa solo quegli aspetti conoscibili attraverso il metodo scelto e, partendo da ipotesi plausibili, costruisce teorie passibili di verifiche alla luce dei postulati-base decisi in partenza. Da questo punto di vista, il termine​​ ​​ «pedagogia», se inteso come studio scientifico della realtà educativa, deve considerarsi il nome collettivo delle scienze dell’educazione. E che esistano effettivamente numerosi studi scientifici sull’educazione, differenti dal punto di vista dell’oggetto e del metodo, è un dato incontrovertibile. Ciascuno di essi appartiene ad una scienza «madre» differente (filosofia, storia, psicologia, biologia, medicina, sociologia, antropologia, diritto, ecc.) dal punto di vista dell’oggetto e del metodo; tutti però hanno come scopo comune di contribuire, ciascuno con il suo apporto, limitato ma insostituibile, a «spiegare» quella realtà esterna al soggetto che è l’educazione. Ma l’educazione non è soltanto una realtà da conoscere; è anche e soprattutto una prassi, un complesso di azioni da compiere, caratterizzate dalla libertà e dall’intenzionalità, che fanno riferimento, consapevolmente o no, a norme più o meno tradizionali di un’arte educativa, la quale a sua volta dipende da una concezione del mondo e dell’uomo. Questa prassi educativa esige di essere «valutata» in quanto progetto in funzione di finalità plurime, ordinate gerarchicamente in rapporto alla finalità suprema della qualificazione della vita personale, individuale e comunitaria. Quindi l’educazione, da questo angolo di visuale, dà origine ad una pluralità di oggetti studiati da molteplici discipline, che richiedono per una loro composizione ed integrazione una fattiva collaborazione interdisciplinare.

3.​​ Il fondamento epistemologico dell’interdisciplinarità tra le scienze dell’educazione.​​ Il problema delle condizioni che rendono possibile la collaborazione interdisciplinare tra le scienze dell’educazione è affrontato alla voce​​ ​​ interdisciplinarità. Nella diversità delle opinioni antiche e nuove a riguardo, ci si riferisce in particolare alla teoria delle «tradizioni di ricerca» di L. Laudan (Austin, Texas, 1941). Essa, pur essendo ampiamente debitrice verso i contributi di K. Popper, di Th. Kuhn, di P. Feyerabend e di I. Lakatos, rappresenta una forma aggiornata e equilibrata nell’ambito dell’e. contemporanea. Considerando i problemi scientifici nella duplice prospettiva, diacronica e sincronica, Laudan evidenzia un fenomeno caratteristico, e cioè che le teorie scientifiche, prodotte dalle varie scienze, non operano mai da sole ma sempre a gruppi, in cui si completano, si precisano, si sostengono a vicenda. Si tratta di teorie di scienze diverse (però aventi come scopo comune di studiare una determinata realtà, nel caso nostro l’educazione) che condividono un insieme di assunti generali riguardanti questa realtà (denominabili costrutti mentali «transpecifici»); e determinati principi metodologici per la soluzione dei problemi che riguardano l’oggetto di ciascuna. Tali teorie, pur appartenendo a scienze diverse, sono in un certo senso imparentate tra di loro, cioè formano un gruppo omogeneo, una «tradizione di ricerca»; possono pertanto dare origine ad un’autentica collaborazione interdisciplinare. In questa prospettiva all’interno delle scienze dell’educazione si possono individuare un gruppo di teorie filosofiche psicologiche sociologiche etiche tecnologiche, riguardanti l’educazione sia come realtà da spiegare sia come prassi da valutare, progettare e operazionalizzare, che siano compatibili tra di loro per il fatto di possedere costrutti concettuali e parametri metodologici transdisciplinari. Una loro collaborazione effettiva renderà possibile un’interpretazione dell’educazione ed una progettazione della prassi educativa più vicina alla realtà e più conforme alle finalità educative viste nella loro integralità. Nel caso di una pedagogia cristianamente ispirata, tale collaborazione tra le scienze dell’educazione include anche la​​ ​​ teologia dell’educazione.

Bibliografia

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G. Groppo