PACE: EDUCAZIONE ALLA
La p. è un concetto complesso che richiederebbe, per essere esplorato, riferimenti a culture diverse e ad autori di ogni tempo. Basterebbe soltanto evocare il concetto greco di eirene, quello di pax romana, quello ebraico di shalom, quello evangelico-cristiano ma anche di altre culture e religioni. In generale la p., quando non è «dono» divino, è pensata come una condizione di armonia che è per lo più il risultato del superamento di un conflitto.
1. Quando in Italia si usa l’espressione «educazione alla p.» ci si collega, esplicitamente o no, ad una tradizione pedagogica che si è incarnata in figure come → Montessori, Capitini, → Milani ed altri. Ma è a partire dalla metà degli anni ’70 del sec. scorso che si è fatta strada una vera e propria pedagogia nonviolenta. Il fenomeno si accompagna da una parte alla crescita del «movimento della p.» e dall’altra alle pressioni degli organismi internazionali. In Italia, al contrario di altri Paesi (ad es. gli Stati Uniti e la Svezia), mancano corsi di studi istituzionalizzati a livello universitario: non ci sono corsi di laurea o di specializzazione e neanche insegnamenti specifici nell’ambito della Peace research. Una delle finalità principali dell’educazione alla p. è la formazione di un uomo «nonviolento», che abbia cioè fiducia in sé e negli altri; che sappia intervenire in modo creativo e personale nella realtà che lo circonda per modificarla nel senso dell’umano; che si impegni a risolvere attivamente i conflitti senza violenze e prevaricazioni ma facendo leva sulle risorse costruttive già presenti e sviluppandone altre; che sappia operare nel quotidiano con collegamenti più ampi nella dimensione mondiale, che sia sempre alla ricerca della verità senza darla per scontata o rivendicandone l’esclusivo possesso. Per insopprimibile dimensione etico-politica, l’educazione alla p. è sempre, al contempo, educazione al cambiamento e alla giustizia, alla solidarietà e alla convivialità planetaria delle culture e dei popoli. Essa ripropone dunque con forza la politicità del fatto educativo, la coerenza tra mezzi e fini, facendo scoprire la connessione tra modelli sociali e modelli educativi e fra educazione e politica.
2. I percorsi di educazione alla p., se letti in riferimento agli obiettivi appaiono caratterizzati da uno «spostamento» dall’asse cognitivo all’asse relazionale. In breve, la p. non appare come un insieme di «conoscenze», ma come una «relazione» diversa con l’altro. Relativamente ai contenuti, gli itinerari di educazione alla p. presentano una seconda caratteristica ben marcata: non sono centrati su «temi», ma su «problemi» e, in particolare, su «conflitti». Nella nostra società multiculturale l’educazione alla p. è chiamata ad affrontare nuove forme di conflittualità come quelle legate allo scontro di civiltà e alle guerre dei simboli. Sono tanti gli esempi che confermano che viviamo già da tempo in una società «iconoclasta», dove si lotta per i segni, le immagini, le icone, i simboli culturali e religiosi. È per questo che se si vuole ridurre tale conflittualità è necessario preparare la convivenza dei simboli. Particolarmente importante appare oggi il dialogo con l’Islam e l’attenzione ad evitare quegli stereotipi che lo associano con il terrorismo. Non vi è dubbio, tuttavia, che oltre a fare i conti con l’attuale contesto multiculturale e multireligioso, l’educazione alla p. deve partire dal presupposto che la cultura della guerra e della violenza è dentro il linguaggio e dentro l’immaginario per cui bisogna decolonizzare l’immaginario e disarmare la cultura (R. Panikkar). Solo così si potrà avere un pensiero nuovo e purificato dal pregiudizio che vede nella violenza e nello scontro la soluzione dei conflitti e delle ingiustizie.
3. La diffusione di percorsi di educazione alla p. nella scuola e nella società ha contribuito a «decostruire» e modificare alcuni diffusi pregiudizi sui temi della guerra, della razza, della violenza strutturale, della p. positiva e negativa, dell’aggressività, del conflitto, della competitività, del nemico. Dal punto di vista della didattica, ha richiamato l’attenzione sull’importanza delle relazioni interpersonali, degli stili comunicativi, dell’organizzazione degli spazi, dei linguaggi multimediali e delle tecniche metodologiche.
Bibliografia
Corradini L., Vivere senza guerra. La p. nella ricerca universitaria, Milano, Guerini e Associati, 1989; Farné R., La scuola di Irene, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1990; Mascia M. (Ed.), Per una pedagogia della p., Fiesole, Cultura della P., 1994; Satha-Amand C., Islam e nonviolenza, Torino, Ega, 1997; Margalit A., La società decente, Milano, Guerini e Associati, 1998; Galtung J., La trasformazione non violenta dei conflitti, Ibid., 2000; Panikkar R., P. e disarmo culturale, Milano, Rizzoli, 2003; Morelli U., Conflitto, Roma, Meltemi, 2006.
A. Nanni