EDUCATIVA DI STRADA
Il lavoro educativo di strada rappresenta un notevole mutamento in ordine alle tradizionali logiche secondo le quali era possibile formare i soggetti in età evolutiva solamente all’interno degli appositi ambiti e luoghi istituzionali, come la scuola, l’oratorio, l’associazione, ecc. In questi ultimi anni, invece, si sta sempre più diffondendo e consolidando la possibilità di incontrare bambini, adolescenti, giovani, ed i loro gruppi, nei contesti informali dove questi trascorrono parte significativa del proprio quotidiano. Tutto ciò rappresenta una vera opportunità educativa nonostante le difficoltà da superare. In ambito civile il lavoro di strada avvia in Italia il suo percorso evolutivo all’inizio degli anni Ottanta in riferimento alle situazioni di disagio e di difficoltà sociale. Parallelamente a questo movimento, alla fine degli anni Novanta, anche in ambito ecclesiale gli operatori di pastorale giovanile, constatando l’allontanamento delle nuove generazioni dalla Chiesa, si domandano cosa poter fare per ristabilire un dialogo con i giovani. Sempre più esplicitamente si fa presente il bisogno di andare nei luoghi informali dove i giovani amano incontrarsi. Si apre così un tempo di sperimentazione anche a livello ecclesiale.
1. I modelli del lavoro di strada. Come documentato da Maurizio (1999, 12-15), in questi anni sono andate diffondendosi varie tipologie di interventi che vanno, secondo un continuum, da quelli atti a promuovere le risorse dei gruppi e dell’ambiente a quelli orientati alla riduzione del danno provocato da comportamenti devianti, passando attraverso quelli centrati sulle situazioni a rischio. Il primo modello dell’e. territoriale intende promuovere le competenze e le risorse presenti nella comunità per risolvere suoi specifici problemi in riferimento, per esempio, alla sicurezza, alla vivibilità, al senso di appartenenza e di partecipazione dei cittadini alla comunità. Il secondo modello propriamente detto e.d.s. o animazione di strada ha la finalità educativa di prevenire il disagio degli adolescenti e dei giovani affiancando il gruppo dei pari in modo da promuoverne le risorse e favorirne l’inserimento nella comunità. Il terzo modello relativo agli interventi di riduzione del danno ha lo scopo pragmatico di diminuire il rischio rispetto a specifiche e urgenti problematiche, come quella della trasmissione dell’Aids.
2. L’obiettivo. L’e.s. si propone di accompagnare gli adolescenti nella loro ricerca d’identità e di senso tramite degli educatori che sappiano porsi con discrezione al loro fianco e che, riconoscendo le loro attese e potenzialità, siano capaci di far emergere, nonostante le varie contraddizioni, quel desiderio di autenticità che è in ogni adolescente. La ricerca, infatti, perché sia incentivata deve essere riconosciuta nel dialogo. In particolar modo, è l’ascolto a riconoscere l’altro come portatore di significati ed ad offrirgli l’opportunità di capire meglio se stesso. Nel momento in cui si racconta, la persona è obbligata a prendere contatto con la propria interiorità e a chiarire anzitutto a se stesso ciò che desidera, ad oggettivare le proprie fantasie. La narrazione di sé in altre parole favorisce la presa di coscienza e la visibilizzazione della propria ricerca interiore offrendo ad essa parole e significati che la definiscano. È una ricerca che acquista sicurezza proprio perché riconosciuta dall’ascolto e dall’interesse di un adulto. Quando poi la narrazione si fa reciproca la ricerca ha l’opportunità di approfondirsi grazie al valore aggiunto portato dall’esperienza dell’altro, dalla sua storia e dalle sue idee.
3. Il luogo d’incontro. Lo spazio per eccellenza scelto dagli adolescenti e dai giovani per stare insieme agli amici nel proprio tempo libero è la strada o la piazza. Secondo i risultati della ricerca La gioventù negata ben il 71% dei ragazzi e delle ragazze passa in questi luoghi una porzione significativa della propria vita di relazione e del proprio tempo libero (Fondazione Labos & Ministero dell’Interno, 1994). La strada è l’ambiente dove incontrarsi per parlare e confrontarsi, dove esprimere idee e passioni, dove raccontare sogni ed emozioni, dove poter stare vicini anche senza dirsi nulla. Qui si scherza, si conversa del più e del meno e si prendono decisioni importanti. La strada offre l’opportunità di condividere la propria storia con quella degli altri divenendo così un potenziale luogo di riflessione oltre che di distrazione. Gli adolescenti ed i giovani abitano la strada e la piazza portandovi il loro carico di speranza e di delusione. È qui che pongono domande e cercano risposte. Per questo l’incontro in questo luogo di quotidianità dei giovani, può rappresentare un evento di grande portata educativa.
4. La strategia. Il percorso dell’e.d.s. prevede cinque tappe (Cazzin, 1999). La mappatura: previamente all’intervento diretto su un gruppo gli educatori osservano le aggregazioni giovanili informali presenti sul territorio. Lo scopo è quello di individuarne le prime caratteristiche e per scegliere la compagnia con la quale tentare l’aggancio. L’aggancio: i due educatori si presentano al gruppo prescelto chiedendo di poterlo incontrare altre volte. Chiaramente questa tappa è assai delicata perché preclusiva a tutto il percorso. Il consolidamento della relazione: superato positivamente l’aggancio c’è bisogno ora di un adeguato tempo perché gli educatori e gli adolescenti possano conoscersi ed aumentare la stima e la confidenza reciproca. In questa fase si sta col gruppo condividendo quanto i ragazzi fanno, ascoltando e dialogando con loro, aiutandoli ad approfondire le proprie domande. Questa fase è molto importante come tempo di approfondimento dei significati. La progettualità: stando insieme educatori e adolescenti stabiliscono una relazione che abbia una certa valenza affettiva. A questo punto gli educatori divenendo un punto di riferimento per l’intero gruppo possono provocarlo nella realizzazione di un progetto che risponda ai suoi interessi ed alle sue capacità. Può nascere in tal senso un’azione in cui gli adolescenti siano i primi protagonisti, si pongano in interazione col proprio ambiente e sperimentino alcuni valori. Anche questa fase ha un valore a riguardo dei significati da elaborare oltre che innescare un processo di socializzazione fra il gruppo e la comunità allargata. È una fase importante anche perché il gruppo prende coscienza delle proprie potenzialità, che è possibile portare a termine i propri sogni o progetti. Il ruolo degli animatori in questa fase è solo quello di facilitare il gruppo nel proprio fare piuttosto che assumere un ruolo attivo di leadership. Il distacco: durante la realizzazione ed alla fine del progetto è importante che gli animatori siano in grado di aiutare gli adolescenti a riflettere su quanto stanno facendo perché tutto ciò li aiuti a prendere consapevolezza di sé, della propria realtà e dei significati sottesi. A questa fase di verifica corrisponde l’elaborazione del distacco degli animatori dal gruppo. Passaggio delicato in cui i ragazzi e le ragazze prendendo consapevolezza delle proprie risorse si proiettano in avanti, verso ulteriori progetti ed interazioni, prendendo spunto e forza da quanto hanno realizzato in compagnia degli educatori.
Bibliografia
Fondazione Labos e Ministero dell’Interno, La gioventù negata, Roma, TER, 1994; Maurizio R., Il lavoro di strada in Italia: rassegna di eventi e temi, in In strada con i bambini e i ragazzi. Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza, n. 12, Firenze, Istituto degli innocenti, 1999; Cazzin A., Quattro fasi del lavoro di strada con gli adolescenti, in «Animazione Sociale» (1999) 1, 58-63; Bertolino S. - G. Gocci - F. Ranieri, Strada facendo, Milano, Angeli, 2000; Gambini P., L’animazione di strada, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Regoliosi L., La strada come luogo educativo, Milano, Unicopli, 2002.
P. Gambini