ARDIGÒ Roberto

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ARDIGÒ Roberto

n. Casteldidone (CR) nel 1828 - m. a Mantova nel 1920, filosofo e pedagogista italiano.

1. Il pensiero di A. rappresenta il punto più avanzato ed elaborato raggiunto dal​​ ​​ positivismo italiano, affermatosi attorno agli anni ’70 dell’Ottocento fino al primo decennio del Novecento. Nasce da famiglia benestante che, a causa di rovesci di fortuna, si trasferisce nel 1836 a Mantova. In questa città A. frequenta la scuola elementare e ginnasiale. Nel 1845 entra nel seminario vescovile ed è sacerdote nel 1851. L’anno seguente è l’inizio di una crisi spirituale che lo porta, nel 1871, a deporre la veste talare. Dal 1853 si dedica totalmente all’insegnamento. Nel 1881 è all’Università di Padova come professore straordinario di storia della filosofia e vi rimane come docente fino al 1909. Gli scritti di A. sono molti e per la maggior parte nascono dall’insegnamento; essi rivelano una preparazione culturale e filosofica notevole. Le opere che hanno maggior attinenza con la pedagogia sono:​​ Lo studio della storia della filosofia​​ (1881);​​ Sociologia​​ (1886);​​ Il​​ vero​​ (1891);​​ La scienza dell’educazione​​ (1893);​​ La ragione​​ (1894);​​ L’unità della coscienza​​ (1898). Gli ultimi tre scritti costituiscono l’esposizione sistematica del positivismo ardigoiano.

2. Per A. tutta la realtà si riduce alla natura, per cui l’unica conoscenza valida è quella scientifica, che parte dal fatto come dato certo e irrefutabile. La natura e l’uomo sono soggetti alla legge dell’evoluzione, per cui la volontà umana non è più libera di quanto lo sia qualsiasi evento naturale. A. definisce la pedagogia «scienza dell’educazione» attraverso la quale «l’uomo può acquistare le attitudini di persona civile, di buon cittadino e individuo fornito di speciali abilità utili, decorose, nobilitanti». Per A. l’educazione è formazione di abitudini acquisite attraverso fattori ambientali e attraverso un processo che si svolge in quattro momenti:​​ «I. attività,​​ II. Esercizio,​​ III. abitudine,​​ IV. educazione,​​ poiché non vi ha​​ educazione​​ se non formata l’abitudine, né l’abitudine senza l’esercizio,​​ e questo suppone l’attività».​​ L’educazione è dunque l’ultimo anello di una serie di stimolazioni che producono attività che a sua volta, ripetuta con l’esercizio, conduce all’abitudine. I fattori esterni all’educando e che agiscono su di lui per condurlo all’acquisizione delle abitudini sono la​​ ​​ società, la famiglia, gli educatori di professione, le maestranze professionali, le istituzioni speciali. Nell’insegnamento sono privilegiate le materie scientifiche e per quanto riguarda il metodo didattico A. privilegia il metodo intuitivo, perché è il più adatto ad eccitare l’attività cosciente del fanciullo, ma non esclude il metodo deduttivo. La teoria pedagogica di A. presenta il limite di ridurre l’educazione ad acquisizione di abitudini per cui essa diventa puro addestramento. Nonostante questo grosso limite rimane valida la sua lezione di aderenza all’esperienza spontanea del fanciullo e di organizzazione razionale del fatto educativo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Opere Filosofiche, Padova, Draghi, 1883-1918, 11 voll.;​​ La scienza dell’educazione, Padova / Verona, 1893. b)​​ Studi:​​ Flores d’arcais G.,​​ Scienza,​​ filosofia e pedagogia nel positivismo dell’Angiulli e dell’A.,​​ in «Rassegna di pedagogia»​​ 9 (1951) 125-142; Tisato R. (Ed.),​​ Positivismo pedagogico italiano. Angiulli,​​ Siciliani,​​ A.,​​ Fornelli,​​ De Dominicis, vol. II,​​ Torino, UTET, 1976; Pironi T.,​​ R. A.,​​ il positivismo e l’identità pedagogica del nuovo stato unitario, Bologna, CLUEB, 2000;​​ R. A.,​​ una vita interamente dedicata alla scienza,​​ alla scuola. Convegno di studi,​​ Padova 21 ottobre 1999. Atti, Roma / Padova, Antenore, 2001.

R. Lanfranchi