ERIKSON Erik Homburger

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ERIKSON Erik Homburger

n. a Francoforte nel 1902 - m. a Hartwich (Mass.) nel 1994, psicologo tedesco.

1. Si trasferisce nel 1927 a Vienna dove insegna alla Burlingham School ad orientamento psicoanalitico. Dopo aver completato, nel 1933, il​​ training​​ psicoanalitico e aver iniziato l’attività clinica come analista infantile sotto la guida di A.​​ ​​ Freud, si trasferisce a Boston. Membro dell’Institute for Child Welfare, nel 1942 insegna, come professore di psicologia, a Berkeley alla University of California e continua a svolgere privatamente la sua attività clinica. Nel 1950, presso l’Austen Riggs Center, si occupa prevalentemente di giovani con problemi psicosociali, tra il 1960 e il 1970 insegna alla Harvard University psicologia dello sviluppo umano.

2. Profondamente influenzato dal pensiero di H. Hartmann, E. M. Kris e R. Lowenstein, e interessato, fin dai suoi primi scritti, all’applicazione della teoria psicoanalitica ai dati sociali e antropologici e alla utilizzazione, in ampia misura, di metodi osservativi basati o derivati dalla​​ ​​ psicoanalisi, ha concentrato il suo interesse sul funzionamento dell’Io, sottolineando in particolar modo la funzione sintetica dell’Io, la funzione integrativa del Sé e l’importanza dell’ambiente psicosociale. Facendo riferimento alla teoria biologica dell’epigenesi, inizia, tra il 1930 e il 1940, ad elaborare una teoria dello sviluppo psicosociale che troverà in​​ Infanzia e società​​ (1950) la sua espressione più completa. In questo scritto, ormai considerato un classico, E., sulla base di una concettualizzazione degli stadi di sviluppo epigenetico dell’Io (dove il passaggio da uno stadio all’altro è legato alle particolarità del contesto sociale) propone una teoria generale dello sviluppo psicologico che integra fattori psicodinamici e fattori sociali e rappresenta la prima teoria psicoanalitica che investe l’intero ciclo della vita, prendendo in considerazione l’adolescenza, la giovinezza, la maturità e la senescenza e negando alla maturità il carattere di uno stadio destinato a segnare la fine della crescita psicologica. Dopo aver sostenuto che ogni fase del ciclo di vita è caratterizzata da un compito evolutivo specifico, che deve essere risolto in qualche modo prima che l’individuo proceda nella fase successiva, E. individua 8 «crisi nucleari» o stadi dello sviluppo psicosociale – 1) fiducia di base / sfiducia (prima infanzia); 2) autonomia / vergogna e dubbio (primi passi); 3) iniziativa / colpa (età prescolare); 4) industriosità / inferiorità (età scolare); 5) identità / confusione dei ruoli (adolescenza-giovinezza); 6) intimità / isolamento (giovinezza); 7) capacità generativa / stagnazione (mezza età); 8) integrità dell’io / disperazione (tarda età) – e propone il concetto di modalità d’organo per render conto del meccanismo con cui la società influenza la soluzione individuale data alle diverse «crisi nucleari».

3. Sulla base del concetto di mutualità, E. sostiene la coordinazione, e la relazione reciproca, tra il bambino e la figura adulta significativa e ritiene che le istituzioni sociali trasmettano all’individuo, in ciascuna fase dello sviluppo, i diversi aspetti della realtà sociale, influenzando così la soluzione personale degli specifici problemi di ogni fase epigenetica. Ne​​ I problemi dell’identità dell’Io​​ (1956, 1959) e in​​ Gioventù e crisi di identità​​ (1968) discute il conflitto cruciale relativo alla identità e alla polarità identità-dispersione. Dopo aver sottolineato la differenza fra il concetto di identità e di identificazione e aver descritto la crisi di identità dell’adolescente come una serie di «crisi normative» che caratterizzano ciascuna fase psicosociale dello sviluppo, E. distingue nettamente tra crisi normativa e crisi psicotica o nevrotica e descrive il quadro clinico della «dispersione acuta dell’identità», che rappresenta l’unica applicazione clinica del suo schema psicosociale. È inoltre da ricordare l’utilizzazione, da parte di E., della teoria psicogenetica per la ricostruzione di grandi personaggi storici visti nell’interazione tra la struttura della loro personalità e l’ambiente storico-sociale in cui vissero. Nei suoi studi su M. Lutero (Il giovane Lutero,​​ 1958), G. B. Shaw, Gandhi, nonché nella sua discussione del «sogno di Irma» e del «caso Dora», E. utilizza la tecnica della biografia psicoanalitica per sottolineare in modo particolare le capacità di «sintesi costruttiva» che consentono l’integrazione di eventi solitamente considerati patogeni.

Bibliografia

a)​​ Fonti: opere di E.E.,​​ Infanzia e società, Roma, Armando, 1963;​​ Il giovane Lutero; Ibid., 1967;​​ La verità di Gandhi: sulle origini della nonviolenza militante​​ Milano, Feltrinelli, 1972;​​ Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando, 1974;​​ Autobiografia in parallelo con Freud,​​ Gandhi e la nuova generazione,​​ storia individuale e momento storico, Ibid., 1976;​​ L’adulto: una prospettiva interculturale,​​ Ibid., 1981;​​ I giocattoli del bambino e le ragioni dell’adulto,​​ Ibid., 1981;​​ I cicli della vita: continuità e mutamenti, Ibid., 1984; E. E. H. - J. M. E. - H. Kivnick,​​ Coinvolgimenti vitali nella terza età, Ibid., 1997. b)​​ Studi:​​ Kaplan D.,​​ La psicoanalisi dopo Freud,​​ in «Psicologia Contemporanea» 2 (1974) 36-41; Maier H. W.,​​ L’età infantile: guida all’uso delle teorie evolutive di E.H.E.,​​ J. Piaget,​​ R. R. Sears nella pratica psico-pedagogica, Milano, Angeli, 1975; Smelser N. J.,​​ Amore e lavoro: E.H.E.; e altri saggi di Leonard I. Pearlin, Milano, Rizzoli, 1983; Roazer R. H.,​​ E. tra sociologia e psicoanalisi,​​ Roma, Armando, 1982.

F. Ortu - N. Dazzi