SOLITUDINE

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SOLITUDINE

La s. è un dato permanente, ma ambiguo, della condizione umana: da una parte può presentarsi come un aspetto d’integrazione personale, di capacità personale di autonomia di vita (e quindi positivo), dall’altra può anche essere espressione dell’incapacità d’intessere relazioni sociali.​​ 

1. In questo senso viene subito ad evidenza la necessità di un impegno formativo al riguardo. È particolarmente importante chiedersi come condurre l’uomo all’ascolto del suo essere originale e profondo, come aiutarlo a sentirsi in rapporto e non in situazione di simbiosi parassitaria con gli altri, con le istituzioni comunitarie, con Dio. Infatti la s. non è in primo luogo la situazione di chi è solo e senza rapporti, diremmo senza dimensione spaziale, ma è l’espressione di un essere spirituale, che, essendo unico al mondo, è perciò irriducibile al gruppo sociale. Da questo punto di vista la s. è la condizione assoluta della vita dello spirito, l’espressione della maturità personale dell’uomo. Senza la capacità di vera s., lontani dal frastuono della massa, non c’è profondità d’esistenza. Senza di essa, infatti, non si può essere se stessi, non c’è stabilità nel proprio essere, né vera libertà dai legami terrestri in un orizzonte di fede e neppure comunione intima con Dio e con i fratelli.

2. Compito essenziale dell’educazione è accompagnare personalmente l’individuo a scoprire il valore della s., come identità personale e forza di sviluppo di ciò che vuole ed è chiamato ad essere con il suo progetto di vita. Senza quest’apprendimento, non solo l’uomo non giungerebbe ad avere un pensiero personale vero ed un’autentica reciprocità affettiva, dato che questa implica sempre un desiderio profondo di comunione, oltre che d’accettazione, rispetto e promozione della reciproca​​ ​​ alterità. Se non fosse così si correrebbe il rischio, non meno grave, di cadere nel solipsismo o nell’egoismo più sfrenato, assumendo se stesso come misura unica della propria coscienza e delle proprie e altrui azioni. Per tale motivo l’educazione deve evitare che si instauri una cattiva soggettività e deve favorire invece la relazionalità libera e l’oggettività che riporta al reale ed apre agli altri e alla trascendenza. Altrimenti può accadere che l’uomo viva la s. come fuga dal reale con il pretesto di aver acquisito la coscienza della propria autonomia. La sfida è, invece, quella di salvare l’uomo da questo rischio, educandolo a saper alternare i momenti della vita collettiva, culturale, sociale e intersoggettiva o gruppale con momenti preziosi di concentrazione dello spirito, di raccoglimento e di ascolto della verità interiore. La convinzione, in ogni epoca, dal mondo biblico all’antichità, fino al​​ ​​ Medioevo, ai mistici renani e alla mistica salesiana del XVI e XVII sec., è sempre la stessa: bisogna formare la persona ad essere capace di concentrazione e di s. perché possa​​ ritornare in sé,​​ più in là di tutte le parole, fino all’io profondo e religiosamente all’immagine di Dio in noi. In questo modo la persona può cogliere il senso profondo delle azioni che compie e possedere interiormente la propria identità personale, per esprimerla con piena libertà e originalità nelle relazioni intersoggettive, gruppali, comunitarie e nelle situazioni concrete. L’educazione è efficace solo se pone attenzione alla formazione dell’identità personale di ciascuno, ossia se aiuta la persona a staccarsi dalla semplice coesistenza sociale indistinta perché possa leggere la propria vocazione unica e insostituibile. Questo significa accompagnare la persona facendola passare dalla s., vissuta come condizione d’isolamento spaziale, alla s. della propria vocazione originale, come risultato della concentrazione dello spirito.

3. È urgente riscoprire il valore fondante del​​ «redire ad cor»​​ (san Benedetto) che non è qualcosa di supererogatorio, ma una disposizione essenziale della condizione umana. Ma per questo occorre un metodo di ricerca esistenziale che faccia passare dalla conoscenza convenzionale e acritica, alla piena e libera coscienza e possesso di sé. Questo è particolarmente importante, oggi, per non rimanere sommersi dalla marea della pressione sociale o per non essere frastornati dal bombardamento dei​​ media. Da sempre il mondo della «chiacchiera»​​ ​​ quella «antica» dei piccoli gruppi e quella «moderna» basata sull’informazione tramite i mass-media​​ ​​ è un segno patente di superficialità di vita e di inautenticità di esistenza. Allo stesso modo l’uomo, imbrigliato dal mondo della produzione e mitizzato come misura unica delle proprie azioni, rischia l’alienazione completa da sé se non sa vivere «dentro» di sé, se non sa «habitare secum», collocandosi nel cuore profondo di ogni comunione. Si tratta di condurre l’uomo attraverso le strade del​​ ​​ silenzio, a pause feconde di s. contemplativa. O, meglio, di aiutarlo ad analizzare e confrontare la Parola originale, che porta nel proprio cuore, con la totalità delle parole di tutte le culture e contesti sociali. Tutto questo favorisce una profonda integrazione ed unificazione della persona per una buona relazionalità e reciprocità costruttiva del tessuto sociale.

Bibliografia

Lubienska de Lenval H.,​​ Le silence à l’ombre de la Parole,​​ Tournai, Casterman, 1965; Baldini M.,​​ Le parole del silenzio,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1986; Martini C. M.,​​ Qualche anno dopo. Riflessioni sul ministero presbiterale, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1987; Castellazzi V. L.,​​ Dentro la s.: da soli felici o infelici, Roma, Città Nuova, 1998; Bianchi E.,​​ Le parole della spiritualità. Per un lessico della vita interiore, Milano, Rizzoli, 1999; Louf A.,​​ La vita spirituale, Magnano (BI), Qiqajon, 2001;​​ Beauchamp​​ P. et al.,​​ La s.: grazia o maledizione?, Ibid., 2001.​​ 

V. Gambino