CASTIGHI

image_pdfimage_print

 

CASTIGHI

Consistono, in senso ampio, nell’infliggere una pena o dolore (psicologico o fisico) o nel privare di un bene allo scopo di far espiare una mancanza e / o di ristabilire un ordine (morale, giuridico o sociale). In prospettiva pedagogica i c. appartengono alla sfera affettiva dell’educazione e si propongono nell’ambito dei mezzi di motivazione (​​ premi).

1. Il tema dei c. occupa un vasto capitolo della storia della pedagogia e della scuola. Basti qui fare alcuni cenni. Ha avuto un forte e duraturo influsso la concezione predominante nell’antichità: «L’orecchio del ragazzo è sopra la schiena, ed egli dà ascolto quando è battuto». Nella​​ ​​ Bibbia (Prv 29,15) si avverte che «il bastone e il rimprovero procurano sapienza». Nella Roma antica la «ferula» è il mezzo comune su cui il maestro basa la propria autorità. Alla fine del primo secolo della nostra era i metodi brutali cominciano ad essere messi in discussione; tuttavia la disciplina scolastica continua ad essere severa e i c. frequenti. Nel clima umanistico rinascimentale, educatori particolarmente sensibili, come M. Veggio (1406-1448), chiedono che «non si impauriscano troppo i bambini con minacce e percosse». Una considerazione sempre più oculata viene fatta poi all’interno delle congregazioni insegnanti (​​ Gesuiti,​​ ​​ Barnabiti,​​ ​​ Scolopi,​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane) e dai maggiori pedagogisti dell’età moderna, convinti, come​​ ​​ Comenio, che ci sono «mezzi più efficaci della frusta». Tra gli educatori del sec. XIX va citato don​​ ​​ Bosco, assertore convinto del​​ ​​ sistema preventivo e della «pedagogia dell’amore», che cerca di liberare gli allievi «dai dispiaceri, dai c., dai disonori». Contro la prassi educativa troppo legata ancora a una disciplina severa, prende posizione, agli inizi del nostro sec., il movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove. Riprendendo la tesi rousseauiana della «bontà naturale», alcuni dei loro fautori sono giunti però a posizioni di condanna radicale di quanto potrebbe minacciare la «spontaneità del bambino». La riflessione pedagogica sui c. è oggi più attenta e articolata.

2. Il c. educa solo se incluso nell’arco di un intervento che, difendendo dalle attrazioni fuorvianti, aiuta a cambiare in senso positivo la condotta. Questo spesso richiede un lungo cammino. Per sé il c. può essere usato solo in caso di insufficienza soggettiva o oggettiva dei mezzi positivi di sostegno motivante, per arrestare un comportamento sbagliato, connettendolo con un’immagine punitiva che faccia riflettere e scegliere meglio, resistere a false suggestioni e pulsioni. A livello psicologico, il c. induce una tensione distogliente di sofferenza fisica, affettiva, morale; produce conflitto, rifiuto e fuga da ciò che lo ha provocato o lo potrebbe provocare. È antieducativo destinarlo a punire, far espiare, ristabilire la parità offesa. Urta e danneggia il c. che è espressione di vendetta e di aggressività, che umilia e offende la personalità intima e sociale (lo fanno quasi sempre i c. fisici). Infantilizza il «bisogno di pagare» per sentirsi in pace.

3. Quando si ama e si è amati, tutto può servire da c.: lo stesso amore offeso, mostrato sofferente. Sono c. educativamente validi il giudizio critico espresso al momento opportuno, il tratto relazionale bene amministrato. Ma forse il c. educativamente più valido è la coscienza e l’esperienza, magari rinforzata, del bene non fatto, del valore non conseguito, del talento e della opportunità sprecati, dell’ordine offeso, della buona relazione interrotta. L’autopunizione soggettiva per la condotta errata corregge più di ogni danno materiale subìto o del c. esterno. L’educatore deve preparare e coltivare le condizioni perché tali esperienze abbiano luogo nei confronti del bene oggettivo.

4. È debole e perfino non educativo il c. imposto e subìto al di fuori dei rapporti interpersonali e dei progetti in corso. Il metodo preventivo che imposta l’educazione su valori e su forti relazioni positive, riduce i c. o li rende subito educativamente efficaci. Il ricorso ai c. penosi come «camere di riflessione», maltrattamenti, punizioni gravi, costrizioni, ha effetti incerti o ambivalenti, spesso controproducenti, colpendo la​​ ​​ stima di sé, non includendo la possibilità e l’offerta di contro esperienze, non dando indicazioni per la risalita immediata e continua. Vale il c. che include indicazioni per riparare, che fa reagire con forti motivazioni di ordine affettivo e morale, sociale. Anche il c. fisico, grave o leggero, educa solo in contesti abituali di amore e ragione.

Bibliografia

Auffray A.,​​ Come castigava un santo,​​ Torino, SEI, 1956; Vuri V., «Premi e c.», in L. Volpicelli (Ed.),​​ La pedagogia,​​ vol. X, Milano, Vallardi, 1972, 199-269; Prellezo J. M.,​​ Dei c. da infliggersi nelle case salesiane. Una lettera circolare attribuita a don Bosco,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 263-308; Scurati C.,​​ La disciplina nella scuola,​​ Brescia, La Scuola, 1988; Miller A.,​​ La fiducia tradita, Milano, Garzanti, 1995; Pietropolli Charmet G. (Ed.),​​ Ragazzi sregolati. Regole e c. in adolescenza, Milano, Angeli, 20052.

P. Gianola