ANZIANI

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ANZIANI

La definizione di a. manca di un criterio oggettivo o condiviso. Per l’OMS si è a. a 60 anni, per l’ISTAT a 65. Altre definizioni correlano l’ingresso nella «terza età» con l’uscita dalla vita attiva; per altri ancora si è a. alla soglia di un rischio elevato di non autosufficienza (75 anni o «quarta età»). Fino alla relativizzazione totale di questa specifica condizione: «una persona è anziana quando si sente tale».

1. I momenti più indicati dagli a. stessi (Frisanco, 1988) come svolta verso la vecchiaia sono fatti coincidere con eventi patologici precisi o con la perdita della propria efficienza fisica (esiti invalidanti di malattie) e con la perdita degli affetti familiari: eventi luttuosi (morte del coniuge), il costituirsi dei figli come nucleo familiare autonomo. L’immagine dell’a. si caratterizza proprio per il senso di una perdita che si può estendere anche al ruolo professionale che innesca il processo di invecchiamento. Il soggetto, deprivato della propria posizione e funzione sociale, viene catapultato in una situazione diversa che probabilmente viene sentita come negativa, penalizzante, regressiva.

2. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è inarrestabile se si considera che dal censimento 1951 a quello del 2001 è più che raddoppiata l’incidenza della popolazione con 65 o più anni sul totale dei residenti in Italia: dall’8,2% al 18,7%, raggiungendo una popolazione di 10 milioni 700 mila persone. A elevare l’incidenza relativa della popolazione anziana concorre anche la diminuzione della natalità e della mortalità. Negli ultimi 10 anni la crescita più cospicua è stata quella degli ultrasettantacinquenni (+42%) o della «quarta età». L’attenzione con cui oggi si guarda a questa fascia di popolazione è giustificata da una serie di dati di rilevanza geriatrica: è documentato come i 75 anni facciano da spartiacque tra due età di rischio molto diverso rispetto alle malattie e alla non autosufficienza.

3. I​​ ​​ bisogni che segnano la condizione dell’a. possono essere molteplici e tra loro cumulabili: oltre alle povertà materiali (reddito, abitazione) vi è la carenza, inadeguatezza, improprietà delle risposte dei servizi (povertà istituzionali) e, soprattutto, i bisogni relazionali. In proposito le occasioni di stabilire rapporti appaiono generalmente limitate, circoscritte da una sorta di meccanismo di tipo socio-culturale per cui gli a. si incontrano e passano il loro tempo quasi esclusivamente con persone della propria età. Non molto diffusa è la fruizione di occasioni e servizi di tipo culturale, pur avendo proprio l’a., paradossalmente, più tempo per goderne e su questo incide la pregressa propensione o meno a fruirne, dato che le opportunità sembrano essere determinate dal livello di «risorse» (culturali, fisiche, economiche, familiari) che l’a. ha utilizzato nel corso della sua vita. In tal senso i più gratificati sono coloro che hanno condotto una vita più attiva; gli uomini rispetto alle donne; chi vive in casa rispetto a chi occupa un posto in strutture residenziali; chi ha maggiori possibilità economiche e più elevati livelli di autosufficienza (Frisanco, 1988). Una delle più grandi conquiste sociali di questi tempi, l’aumento della aspettativa di vita dell’uomo, tende ad essere presentata come un problema: lo attestano le cronache, le inchieste e anche i dibattiti di politica sociale e sanitaria. Infatti, le «immagini» sociali dell’a. sembrano connotarlo maggiormente in negativo come improduttivo, malato, inutile, superato (culturalmente) o risparmiatore, più che in positivo, per la migliore qualità media della vita o come risorsa, valore di testimonianza, nuovo consumatore. Così l’attenzione si focalizza prevalentemente sui costi ed i rischi della specifica condizione, mentre appare meno incisiva la valutazione delle risorse e delle potenzialità degli a.

4. Eppure l’universo degli a. non è una realtà omogenea, compatta; presenta al suo interno diverse condizioni che si riflettono sulla qualità della vita e sulla struttura dei bisogni: l’essere autosufficiente o non; di terza o quarta età;​​ ​​ uomo o​​ ​​ donna (se le donne vivono mediamente più a lungo, la loro vecchiaia è maggiormente segnata da un più elevato rischio di non autosufficienza e di confinamento domestico); di basso o medio / alto livello di status socioeconomico; di contesto urbano / metropolitano o non urbano / rurale; del centro-nord o del sud; di un’area più o meno dotata di una rete di servizi. La realtà dell’a. è caratterizzata da una variegata eterogeneità di situazioni e percorsi non riducili alla generalizzazione di una immagine pauperistica. È una realtà che per lo più si presenta vitale, con notevoli risorse ed opportunità e capace di giocare un ruolo specifico ed originale a livello relazionale e sociale. Come attestano recenti indagini è una condizione con tanti «più», in termini di anni da vivere, di salute, di risorse materiali (circa il 50% è abbiente), di istruzione (questa è la prima generazione di a. con titolo di studio superiore alla quinta elementare), di voglia di vivere e di fare in virtù di un atteggiamento positivo nei confronti della vita quotidiana. Gli a. sono diventati anche un target molto studiato dal marketing per la loro propensione al risparmio e all’investimento e sono altresì più in grado di autorganizzarsi e di partecipare, come si rileva dalla loro ampia presenza nell’associazionismo di promozione sociale e di tipo solidaristico.

5. Il rapporto tra a. e​​ ​​ servizi appare tuttavia ancora problematico e non è ascrivibile tanto all’emarginazione sociale dei vecchi di oggi, trasferita nel campo del diritto alla salute o alla assistenza. È qualcosa di più profondo, che nasce da visioni parziali ed errate della biologia dell’invecchiamento. C’è chi ritiene la vecchiaia un processo immodificabile, determinato e del tutto involutivo. I servizi che nascono da questa visione sono di tipo contenitivo e assistenziale e forniscono un intervento anche illimitato nel tempo, ma il più possibile sempre uguale e al minor costo possibile, dal momento che non si attendono risultati. Non serve quindi valutare individualmente i bisogni e costruire i piani di intervento, poiché non vi sono obiettivi da raggiungere. All’opposto, vi è chi ritiene la vecchiaia una realtà inevitabile ma modificabile, che non comporta soltanto processi di involuzione, ma anche processi positivi, di compenso attivo alle perdite che l’età provoca nell’organismo. L’a., in questa prospettiva, può essere «guidato» ad una migliore realizzazione da comportamenti più salutari. Ciò porta a costruire servizi ad alto contenuto educativo, riabilitativo o addirittura preventivo, da cui ci si aspetta un importante guadagno in autosufficienza e salute che giustifica le risorse impiegate. È quindi necessario valutare e formulare obiettivi, piani di lavoro, verifiche in servizi dinamici, duttili, intensivi dove è prioritario e irrinunciabile un discorso di qualità. Si tratta di «inventare» un nuovo modo di affrontare questo fenomeno e di differenziare quanto più possibile le risposte in rapporto alle variegate strutture di bisogno dei diversi gruppi di a.

6. È ormai acclarato il triplice scopo dell’offerta di servizi per gli a.: 1) elevare la qualità della vita secondo l’obiettivo di «aggiungere vita agli anni» e mantenere il più a lungo possibile l’autosufficienza; 2) fronteggiare precocemente bisogni che altrimenti generano situazioni di povertà composite e patologie conclamate, che richiedono l’allontanamento dell’a. dal suo ambiente consueto di vita e un maggior costo per tutti; 3) facilitare l’accesso ai servizi spesso ostacolato da problemi di disinformazione circa le prestazioni e le opportunità esistenti, non solo per quanto concerne i servizi socio-sanitari, ma anche quelli pensionistici-previdenziali, culturali, del tempo libero, del turismo sociale ecc. In tal modo si ovvierà anche alla sostanziale non corrispondenza tra servizi fruiti e servizi di cui l’a. ha bisogno o che domanda. Inoltre si può ottenere valore aggiunto ai servizi attraverso la promozione e valorizzazione delle varie forme di​​ ​​ volontariato (anche di a. che aiutano altri a.) da inquadrare nell’ambito di un progetto locale. La sfida maggiore che si presenta oggi alle nostra società è la riduzione del divario esistente tra aspettativa di vita totale e aspettativa di vita attiva,​​ priva di disabilità.​​ Si tratta di attivare reti di solidarietà sul territorio che abbiano come riferimento gli a. in quanto «soggetti attivi protagonisti» – non «oggetto» di interventi di tipo assistenziale e riparatorio – e di far sperimentare loro processi esistenziali di significatività comunitaria in modo da contrastare la mancanza di ruolo e di relazione e quindi la «non autosufficienza sociale».

Bibliografia

Hanau C. (Ed.),​​ I nuovi vecchi. Un confronto internazionale,​​ Rimini, Maggioli, 1987; Frisanco R. (Ed.),​​ Quarta età e non autosufficienza,​​ Roma, TER, 1988; Facchini C.,​​ Invecchiare: un’occasione per crescere. Attività culturale e sociale e benessere. Rapporto 2002 Spi Cgil-Cadef, Milano, Angeli, 2003; Fondazione Leonardo (Ed.),​​ Quarto rapporto sugli a. in Italia 2004-2005, Ibid., 2006.

R. Frisanco