SKINNER Burrhus Frederic

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SKINNER Burrhus Frederic

n. a Susquehanna (Pennsylvania) nel 1904 - m. a Cambridge (Massachusetts) nel 1990, psicologo statunitense.​​ 

1. S. può a ben ragione essere considerato tra i​​ patres​​ della moderna psicologia. Dopo aver trascorso una gioventù, quasi da bohémien, attratto com’era dalla letteratura e dalla vita d’artista, iniziò la sua carriera universitaria presso l’Università dell’Indiana, cui fece seguito quella di Minneapolis, per concludere infine con quella prestigiosa di Harvard. Per quanto riguarda la sua visione teorica, S. ebbe in mente un organismo, estremamente complesso, che solo in parte veniva controllato dagli stimoli condizionati previsti da Pavlov. Al contrario, l’organismo era fortemente influenzato dai risultati prodotti dalle proprie azioni, che egli chiamò rinforzi. Per studiarne il comportamento era quindi del tutto inutile l’apparecchiatura pavloviana che ne limitava fortemente i movimenti e che esigeva un soggetto passivo. Al suo posto era necessario uno spazio, all’interno del quale l’organismo poteva muoversi liberamente, manifestare migliaia di risposte diverse ed incrementare solo quelle che sarebbero state seguite dal rinforzo. Fu questa la famosa gabbia di S., grazie alla quale fu possibile scoprire il mondo, davvero complesso, di rapporti che legano i comportamenti ai risultati. Era possibile, controllando l’erogazione di rinforzi, consolidare abitudini motorie, sociali, cognitive. Addirittura creare dei comportamenti superstiziosi. Ed il tutto non solo in animali, più o meno complessi quali ratti e piccioni ma anche in soggetti umani. Dopo aver dedicato i primi anni della sua attività alla ricerca di laboratorio, condotta prevalentemente su organismi infraumani e che gli permise di comporre il suo libro più innovativo in campo sperimentale,​​ The behavior of organisms​​ (1938), S. si dedicò all’applicazione della sua visione psicologica, chiamata​​ Experimental analysis of behavior,​​ in ambiti diversi.

2. Di questi quello pedagogico è sicuramente tra i più interessanti, non solo perché fu possibile a S. introdurre il concetto di​​ ​​ programmazione lineare e di macchina per l’insegnamento, antesignana per molti aspetti dell’apprendimento mediante computer ma anche perché mise a disposizione del mondo della scuola un modo innovativo d’interpretare i comportamenti dell’allievo e di cambiarli orientandoli verso finalità pedagogicamente più evolute (La tecnologia dell’insegnamento,​​ 1972). Accanto a quello pedagogico vale la pena indicare anche il settore riabilitativo, in cui la tecnologia skinneriana continua a mostrare una costante efficace nel trattamento di alcuni tra i disturbi più angoscianti quali l’autolesionismo, le condotte autistiche ecc.

3. Infine anche il settore clinico risentì non poco l’impatto della visione skinneriana che si concretò nella cosiddetta​​ Behavior modification.​​ Di essa vale la pena ricordare l’attacco alla concezione psichiatrica e psicoanalitica dei disturbi psicologici ed alla scarsa solidità scientifica di molte delle teorie elaborate all’interno della psicodinamica, oltreché l’elaborazione di strategie d’intervento di provata efficacia. All’insieme di queste attività, S. ne volle aggiungere un’altra, memore com’era dei suoi interessi giovanili per la letteratura, trasformandosi in saggista best seller. Il suo​​ Walden II​​ (1948), descrizione di una società utopica regolamentata dalle leggi del comportamento da lui scoperte in laboratorio e l’altro saggio​​ Al di là della libertà e della dignità​​ (1973) in cui tentava una critica scientifica di alcuni concetti tipici della cultura occidentale, gli valsero una notevole popolarità presso il pubblico non specialistico ma nel contempo una serie pesante di critiche, mosse da filosofi, politici ecc. che ne appannarono lo smalto di saggista. Tra i tanti successi, una frustrazione.

4. Il libro che S. ritenne fondamentale per la comprensione della sua concezione psicologica​​ Verbal behavior​​ (1957) fu ferocemente stroncato da Chomsky, che ne impedì in tal modo il radicamento nella linguistica moderna. A detta di molti, però, vi è il sospetto che Chomsky abbia preso lucciole per lanterne, non avendo colto il senso dell’approccio skinneriano al linguaggio, di natura radicalmente funzionalistica ed assolutamente distante dai diktat strutturalistici del tempo. Il futuro sarà buon giudice. A conferma, infine, della sua inesauribile voglia di conoscere e di comunicare, è opportuno citare il suo ultimo libro​​ Vivere bene la terza età​​ (1984) scritto quando aveva già 80 anni, in cui suggeriva utili strategie per sopravvivere psicologicamente all’erosione della terza età, mostrando ancora una volta un’incrollabile fiducia nella scienza, da lui intesa come il migliore tra i diversi​​ ​​ problem solving​​ ideati dall’uomo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di S.:​​ The behavior of organisms,​​ New York, Appleton-Century-Crofts, 1938;​​ Walden II,​​ New York, Macmillan, 1948;​​ Science and behavior,​​ Ibid., 1953;​​ Verbal behavior,​​ New York, Appleton-Century-Crofts, 1957;​​ Beyond freedom and dignity,​​ New York, Knopf, 1971; S.B.F. - M. E. Vaughan,​​ Enjoy old age,​​ New York, Sperling & Kupfer, 1983. b)​​ Studi:​​ Carpenter F.,​​ The S. printer,​​ New York, The Free Press,​​ 1974; Meazzini P., «S. e la tecnologia del comportamento», Prefazione a S.B.F.,​​ Studi e Ricerche,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1976.

P. Meazzini