JAMES William
n. a New York nel 1842 - m. a Chocorua (New Hampshire) nel 1910, filosofo e psicologo statunitense.
1. Nato in una agiata e raffinata famiglia di intellettuali segue negli anni della prima giovinezza la famiglia in numerosi viaggi in Europa e compie in parte la sua formazione scolastica in Francia e in Svizzera. Dilaniato tra vocazioni artistiche e scientifiche, tormentato dalla esigenza di conciliare la sua forte propensione al misticismo con il pensiero scientifico frequenta dapprima la Lawrence Scientific School ed entra poi nel 1863 alla Harvard Medical School. Dal 1865 trascorre 18 mesi in Germania dove approfondisce lo studio della medicina. Dopo la laurea (1869) attraversa un periodo di profonda depressione, che lo porterà alle soglie del suicidio; lavora tra il 1873 e il 1876 all’Harvard College come istruttore di anatomia e di fisiologia e, nonostante la sua scarsa propensione per il lavoro sperimentale, apre quello che è considerato il primo laboratorio di psicologia degli Stati Uniti. Inizia, nonostante le sue perplessità sulla condizione prescientifica della → psicologia, da lui paragonata alla «fisica prima di Galileo e alla chimica prima di Lavoisier» a tenere dei corsi di psicologia in cui discute in particolare i rapporti tra biologia, fisiologia e psicologia. Nel 1885 è nominato professore di filosofia e, tra il 1889 e il 1897, insegna psicologia. Nel 1890 pubblica la sua opera principale The principles of psychology.
2. Abbandonato il suo interesse sistematico per la psicologia, J. si dedica alla filosofia, divenendo uno dei principali esponenti del pragmatismo americano. Continua tuttavia a occuparsi di psicologia, pubblicando tra l’altro una versione ridotta dei Principles e proponendo in Talks to teachers on psychology and to students on some of life’s ideals (1902), una applicazione in campo pedagogico delle sue tesi filosofiche e psicologiche. Nuovamente in Europa, tiene ad Edimburgo una serie di conferenze, le Gifford Lectures, che saranno pubblicate con il titolo The varieties of religious experience: a study on human nature (1902). Nel 1905 partecipa al V congresso di psicologia a Roma, presentando una relazione sulla «Nozione di coscienza». Negli ultimi anni pubblica importanti opere di filosofia, tra cui A pluralistic universe (1909), fortemente influenzata dal pensiero del filosofo francese H. Bergson.
3. Nella sua opera principale, The principles of psychology, considerato il classico della psicologia statunitense, J. applica alla comprensione dei fenomeni psichici un metodo insieme fenomenologico e genetico-funzionale di matrice darwiniana. Dopo aver sostenuto che la psicologia è una scienza naturale e che soltanto una conoscenza del funzionamento nervoso e cerebrale può consentire una conoscenza profonda delle nostre idee, propone una spiegazione degli eventi mentali in termini fisiologici. La memoria viene così spiegata in termini di vie cerebrali e le emozioni vengono interpretate sulla base della teoria (nota come teoria di J.-Lange), già formulata nel 1884 nell’articolo What is an emotion? Identificando l’emozione con le sensazioni somatiche che la accompagnano, J. sosteneva essenzialmente che tali manifestazioni somatiche precedono e rendono possibile l’emozione, che diventa così consapevolezza (psicologica) dello stato corporeo alterato venuto progressivamente ad instaurarsi. Sulla base di un empirismo radicale, inteso come accettazione della varietà e ricchezza delle forme dell’esperienza oltre che della centralità dello studio del funzionamento del sistema nervoso, J. sostiene la necessità di integrare i dati ottenuti con l’introspezione con quelli derivanti dall’utilizzazione rigorosa dell’osservazione di laboratorio e del metodo comparativo, e dà inizio a quello spostamento dall’analisi della coscienza allo studio del comportamento che porterà al comportamentismo watsoniano. Secondo J., inoltre, la mente è sempre impegnata in una attività di scelta e la coscienza, «che è sempre più interessata ad una parte del suo oggetto che ad un’altra e accetta, respinge o sceglie continuamente ciò che pensa [...] è caratterizzata dal perseguimento di mete future e dalla scelta dei mezzi per raggiungerle». La coscienza dunque (che farebbe la sua comparsa nell’uomo come strumento di adattamento all’ambiente) può adeguatamente essere descritta dalla metafora di un fiume che scorre. In polemica con l’elementismo degli strutturalisti, J. propone quindi il concetto di flusso di coscienza, di un continuum cioè, in perenne mutamento, non ulteriormente scomponibile e analizzabile. Ritiene inoltre che un costituente fondamentale della coscienza personale, che è possibile cogliere utilizzando il ricorso all’introspezione, sia rappresentato dal Sé empirico, e cioè da «tutto ciò che si è tentati di chiamare con il nome di me». Nel Sé empirico, secondo J., sono identificabili diversi aspetti, descrivibili come «Sé materiale» – e cioè il corpo, i propri genitori, i propri oggetti –, «Sé sociale» – e cioè il modo in cui ci considerano gli altri («ogni uomo, scrive J., ha tanti sé sociali quanti sono gli individui che lo riconoscono e ne portano l’immagine nella loro mente») – e «Sé spirituale» e cioè la dimensione interna o soggettiva dell’uomo, le sue facoltà o disposizioni psichiche.
Bibliografia
Allport G. W., W.J. and the behavioral sciences, in «Journal of H. S. Behavioral Sciences» 2 (1966) 145-147; Dazzi N., Introduzione a W.J. Antologia di scritti psicologici, Bologna, Il Mulino, 1981; Guarnieri P., Introduzione a J., Bari, Laterza, 1985; Johnson M. G. - T. B. Henley (Edd.), Reflections on the principles of psychology: W. J. after a century, Hillsdale, Lawrence Erlbaum Associates, 1990; Montolalu J. J., Truth as dynamic experience in W.J. ‘s pragmatism, Romae, P. Universitas Urbaniana, 1995; Costa C., L’io e Dio. L’esperienza religiosa in W. J., Roma, Armando, 2002; Stara F., Passione, azione e ragione: il credo pedagogico di W.J., Ibid., 2004.
F. Ortu - N. Dazzi