EMPIRISMO
Il termine indica un fondamentale atteggiamento di pensiero che fa derivare dall’esperienza (empeiria) ogni conoscenza.
1. L’e., che trova le sue radici nella teoria aristotelica, fa dell’esperienza sensibile ed empirica la precondizione essenziale della conoscenza intellettuale e teorica e, al pari dell’ → innatismo, si presenta nella storia della filosofia occidentale in versioni più o meno ristrette e radicali. Nel pensiero filosofico moderno l’orientamento empirista trova la sua più compiuta espressione nell’e. inglese, ricollegabile in parte alle posizioni sostenute da F. Bacon (1561-1626), che legava strettamente la prospettiva empirista al metodo e agli scopi della ricerca scientifica. A sua volta → Locke considerato il caposcuola dell’e. inglese, identifica nell’origine e nella validità della conoscenza il problema centrale della filosofia e in polemica con il razionalismo cartesiano dimostra l’insostenibilità del concetto di idea innata. Riconducendo inoltre alla sensazione la conoscenza del mondo esterno e alla riflessione (o introspezione come successivamente sarà indicata) la conoscenza del mondo interno della mente, Locke considera l’associazione di idee, e cioè i collegamenti e le connessioni che «naturalmente si creano tra le idee», la sostanza della conoscenza razionale; in tal modo egli dà inizio a quella analisi introspettiva della mente che per duecento anni costituirà il metodo principale della psicologia.
2. G. Berkeley (1685-1753) porta al limite le posizioni di Locke. I suoi contributi più significativi sono essenzialmente riassumibili: a) nella teoria della percezione spaziale (Essay towards a new theory of vision, 1709), che rappresenterà la base di tutte le successive teorie della percezione visiva, da quella di Helmholtz nel XIX sec. a quelle di Gibson, Gregory, → Piaget, Held, e b) nella teoria dei segni (Treatise on the principles of human knowledge, 1710). Berkeley fa coincidere percezione ed esperienza, riducendo la realtà delle cose al loro essere percepite (esse est percipi). D. Hume (1711-1776), approfondendo le posizioni di Berkeley, spiega il funzionamento mentale dell’uomo e dell’animale sulla base delle leggi che regolano l’associazione delle idee e finisce quindi per minare alla base la fiducia stessa nelle capacità razionali della mente umana. Identificando nelle sensazioni, negli istinti, nelle abitudini e nei pregiudizi l’unica guida per il pensiero metterà infatti in discussione la possibilità stessa dell’induzione scientifica, negando in definitiva la possibilità di scoprire una qualsiasi connessione necessaria tra causa ed effetto. Individuando nelle associazioni per somiglianza, per contiguità e per causalità i processi fondamentali che regolano l’intelletto, ritiene che i «legami segreti» che si stabiliscono tra le idee portino la mente a congiungerle con maggiore frequenza. Sostenendo inoltre che la conoscenza si limita necessariamente alla conoscenza dei processi fondamentali della mente, che può tutt’al più inferire l’esistenza di oggetti reali e di altre menti, riducendo poi il soggetto impegnato nell’attività conoscitiva ad un grumo o collezione di percezioni differenti, che si succedono l’un l’altra con incredibile velocità e che sono in perpetuo flusso e movimento, getterà l’e. nel vicolo cieco dello scetticismo radicale.
3. Nella sua polemica contro le posizioni di Hume, il filosofo scozzese T. Reid (1710-1796), che fa derivare la possibilità stessa del ragionamento dalla esistenza di una dotazione innata di istinti e di intuizioni e che rivolge particolare attenzione allo studio delle strutture del linguaggio nonché al corso dell’azione e della condotta umana, modifica l’e. radicale introducendovi una serie di presupposti innatisti. In particolare Reid identifica nel → senso comune – e cioè nella credenza condivisa nell’esistenza di un mondo oggettivo dotato di qualità secondarie, nella consapevolezza della propria identità ed esistenza reale e della persistenza delle altre persone – la base di tutta la filosofia e la garanzia della conoscenza.
4. Il suo pensiero, da cui T. Brown prenderà le mosse per formulare le leggi della associazione secondaria, influenzerà profondamente l’associazionismo di → James e J. S. Mill (1806-1873). In particolare Mill, che propone nel suo Analysis of the phenomena of the human mind (1829) – «la più pura espressione della filosofia associazionista» – il principio della «associazione sincrona», considera gli oggetti della nostra conoscenza come costituiti da una somma di sensazioni diverse che, associate strettamente l’una all’altra costituiscono i «percetti» e quindi le «idee». A sua volta Mill, con la sua «chimica mentale» estende il principio delle idee sincrone anche alla formazione delle idee complesse e reintroduce nella prospettiva empirista elementi che riconoscono alla mente una possibilità di attività autonoma. Per Mill dunque – che nel Sistema di logica (1843) sostiene la plausibilità della «scienza della natura umana» e cioè della psicologia – proprio l’esperienza fornisce l’idea della uniformità dei fenomeni naturali: sino a che tale idea non venga di fatto smentita, si ha dunque il diritto di estendere universalmente il valore delle conoscenze particolari acquisite sulla base della osservazione induttiva, nonché di confermare la validità, sia pure provvisoria, delle leggi e dei concetti scientifici.
5. L’orientamento empirista, che si era manifestato in Francia in forme estreme ed esasperate nel sensismo di Condillac, nel meccanicismo di La Mettrie nonché nel riduzionismo di Cabanis e di Helvetius, assumerà in Germania caratteristiche peculiari. L’e., dunque, sottolineando il ruolo della sensazione e dell’esperienza nella formazione delle idee, contribuirà a determinare la definizione wundtiana dell’oggetto e del metodo della psicologia e costituirà non solo il riferimento teorico privilegiato della teoria wundtiana e dello strutturalismo di E. B. Titchener, del funzionalismo e del comportamentismo watsoniano, ma continuerà ad esercitare, in forme spesso non facilmente riconoscibili, un notevole peso nell’impostazione del problema del rapporto tra esperienza e strutture innate che si presenta ancor oggi come di non facile soluzione.
Bibliografia
Geymonat L., Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, Garzanti, 1976; Mecacci L., Storia della psicologia del novecento, Roma / Bari, Laterza, 1992; Danzinger K., La costruzione del soggetto, Ibid., 1995; Sellars W., E. e filosofia della mente, Torino, Einaudi, 2004.
F. Ortu - N. Dazzi