UMORISMO

image_pdfimage_print

 

UMORISMO

La voce u. suggerisce più accezioni. Ne connotiamo il significato prima in un raffronto tra voci differenti e poi in una delineazione del termine.

1. L’u. si differenzia dalla satira e dalla comicità. Questa viene caratterizzata più dal bizzarro, dalla parodia, dal burlesco e buffonesco; la satira invece dall’ironia, dal sarcasmo, dalla beffa e dal grottesco. All’u. si attribuisce l’arguzia, il garbo, la sottigliezza, il buonumore. È il gusto arguto, lepido e tollerante di rilevare e raffigurare l’aspetto ameno e risibile di persone e avvenimenti, per una loro bonaria disamina. L’u. non si concede facilmente a classificazioni rigide. Piuttosto si coglie il senso dell’u. (variabili fattoriali di R. B. Cattell) di chi sa osservare la realtà nei suoi aspetti più faceti e sa esprimerla nei motti di spirito, come di chi sa reagire con il sorriso o la risata, dando così espressione alla sua valenza interpersonale e sociale. L’u. suppone compresenti e in reciprocità i differenti protagonisti, che posseggono la disposizione a cogliere contraddizioni e curiosità della vita umana, per saperne sorridere con tolleranza e distacco. Si presuppone in questo perspicacia nell’osservare le situazioni, spirito critico nel leggerne i risvolti, intuito nell’evidenziare collusioni tra reale e ideale. E se ogni sua interpretazione pone l’accento sul pensiero come momento indispensabile, non può esserne misconosciuto il carattere di socialità nella ricerca di comunicazione virtuosa. Fare dell’u. significa coinvolgere nel sorriso, stabilire un legame sociale nel gruppo, gestire un potere sociale: si sorride con qualcuno, ma anche di qualcuno o qualcosa. E pur coscienti dell’influsso che si esercita sul clima d’ambiente, l’u. non è una sorta di ammaestramento morale, bensì consapevolezza che il suo messaggio ha efficacia in un adeguato contesto sociale.

2. Interpretiamo il fenomeno u. sotto il profilo cognitivista e psicanalitico. Nell’ottica cognitivista, il messaggio umoristico presenta sempre dissonanze che sbilanciano logica e linguaggio: sono l’imprevista inversione di senso, la grande distanza tra premesse e conseguenze, la distonia tra il senso delle parole e i termini usati. Da questo emerge con evidenza uno scarto inatteso tra probabile e inverosimile, esaltazione e irrisione, percezione e aspettativa. Si tratta in fondo di un messaggio paradossale, consegnato come usuale e scontato, o di linguaggio eterodosso nell’uso di parole e del loro senso (tecniche verbali) o nei ragionamenti sofistici o assurdi (tecniche concettuali), presentato però come ragionevole e piano, pur prevalendo il gusto divergente e il pensiero laterale. Alla base dell’u. starebbe dunque un processo di organizzazione attiva dell’esperienza, i cui prodotti derivano da variazioni percettive e concettuali. Sue operazioni privilegiate sono la provocazione inattesa, per cui si cerca la valenza di un’idea (apprezzamento) e non il valore della verità (coerenza); e la risoluzione dell’incongruenza come regola cognitiva che permette di spiegare i singolari collegamenti. Nella lettura psicanalitica, l’u. viene interpretato come risparmio di energia emotiva e catarsi del represso. La tensione aggressiva, derivante dal crescente bisogno di controllo, darebbe vita alle battute di spirito, per cui l’u. sarebbe un processo di aggressività che tende alla catarsi (​​ Freud), o un atto di protezione o di difesa dalla realtà che scarica la tensione nell’u.​​ (J. C. Flugel).​​ Una recente interpretazione sostiene che l’u. si fonderebbe in sostanza sui paradossi della​​ ​​ comunicazione, specie non verbale, per cui sarebbe il dinamismo dell’inconscio a dar vita a manifestazioni inedite o singolari, che suscitano u.

3. Nella prospettiva educativa, il fenomeno u. non può essere riletto che assumendolo nella sua qualità pluridimensionale: vale a dire valorizzando insieme gli elementi contenutistici e funzionali, come quelli relazionali e di contesto. Senza dubbio però la valenza pedagogica dell’u. risiede in specie nel tipo di comunicazione e relazione che viene istituito, e in quel senso di​​ ​​ saggezza che riconcilia con se stessi, sintonizza piacevolmente con gli altri e umanizza insuccessi e responsabilità. Così nel suo stile contribuisce a educare al senso della realtà e della buona relazione con sé, con gli altri, con le cose e con Dio stesso, e risponde a una sfida educativa odierna che sollecita a costruire un rapporto vero e sensato, pieno di umanità.

Bibliografia

Grol-yahn M.,​​ Saper ridere, Milano, Longanesi, 1981; Fry W. F.,​​ Una dolce follia. L’u. e i suoi paradossi, Milano, Cortina, 2001; Bernardi M.,​​ Educazione e libertà, Milano, Fabbri, 2002.

G. B. Bosco